Quando Eleonora Satta ha deciso di frequentare il corso Professione Cuoco del Gambero Rosso aveva già un lavoro – un buon lavoro – nel campo dell'informatica, ma anche un progetto di vita che la portava verso la terra. Recuperando l'eredità familiare, quella di suo nonno mezzadro, facendone qualcosa in più in un progetto di ristorazione agricola. Per dare seguito questa idea ha capito che le serviva formazione, esperienza sul campo, esperienza. Oggi il suo progetto si ampliato chiamando in causa genetisti e ricercatori dell'università che lavorano sul recupero di semi e grani dalla valenza storica, rani che lei produce nell'azienda agricola Janas e porta in tavola nella Locanda di Colle Ombroso, in Umbria. Ma tutto è cominciato nelle aule del Gambero Rosso. Ecco tutta la storia.
Quale corso hai frequentato?
Professione cuoco del 2010
Quale è stato l'insegnamento più importante in quel corso?
Tenere sempre alta la motivazione. Mi ha fatto capire che dovevo perseverare per ottenere risultati e ho capito anche che la cucina non è uno scherzo. Due cose fondamentali, dato che ho frequentato il corso avendo già un progetto ben chiaro in mente.
Raccontacelo!
Volevo tornare a quel che faceva mio nonno, che era mezzadro: coltivare la terra, e cucinare in una piccola realtà con quel che producevo. L'idea era di andare dietro alla cucina, più indietro di quel che abitualmente fanno gli chef che pure lavorano un'ottima materia prima. Volevo scegliere il cibo sin dalla radice coltivandolo io stessa, poter incidere sul suo sapore all'origine, perché il sapore dl cibo cambia in base a come viene coltivato. Volevo partire da lì.
Quale è il tuo percorso?
Ho cominciato come lavapiatti, facendo lavoretti estivi, mentre in parallelo ero impiegata nel campo dell'informatica. Mentre frequentavo il corso cercavo un terreno. Un giorno ho visto un annuncio, anche se era vecchio sono voluta andare a vedere il posto, in Umbria. Era un ex ristorante argentino, ed era ancora sul mercato. Me ne sono innamorata appena scesa dalla macchina, era quello che cercavo. Ho cominciato un anno e mezzo dopo la fine del corso, quasi 10 anni anni fa.
Dopo il corso hai continuato la formazione?
Ho fatto uno stage di 6 mesi da All'oro, ho scelto loro, insieme a Davide Mazza, che era tra gli insegnanti, perché volevo una realtà in cui lo chef fosse anche proprietario, perché mi interessava la gestione economica, e poi perché dovevo farmi le ossa: un ristorante stellato richiede una grande resistenza, che mi ha dato poi la forza psichica e fisica di reggere. E se oggi riesco a seguire da sola 35 coperti lo devo anche a quest'esperienza. Poi ho fatto altre cose, ho continuato a fare assistenza durante i corsi amatoriali del Gambero e tenuto delle lezioni, soprattutto di cucina sarda, date le mie origini. Continuo ancora oggi, soprattutto di panificazione.
Chi è stato il tuo primo maestro?
Chi mi ha spronato a fidarmi del mio istinto e a credere che potevo cucinare in un certo modo è stato Davide Mazza così anche l'altro tutor, Antonello Migliore. A livello tecnico, invece, sono stata una spugna. Stavo cambiando vita, sapevo che per farlo dovevo sgrossarmi e diventare competente più velocemente possibile. Per questo facevo anche la sera i corsi amatoriali sfruttando ogni momento per imparare in fretta e assorbire più che potevo e nel frattempo continuare a cercare un terreno adatto. Stavo facendo un salto nel vuoto, lasciando un posto sicuro con un buono stipendio, non volevo perdere tempo.
E poi come ti sei mossa?
A dire la verità 10 anni fa non ne sapevo molto, è nato tutto in modo larvale. Prima l'azienda agricola in cui coltivo soprattutto grani antichi in collaborazione con alcune università, poi la locanda: un ristorante agricolo in cui usiamo quel che produciamo noi e alcune piccole realtà che condividono la nostra stessa filosofia. Lo stesso vale per i vini, biologici e biodinamici. È un progetto dove c'è una visione di complessiva di agricoltura e ristorazione.
Quale è legame con le università?
I grani che coltiviamo non sono diffusi, ma rientrano in progetti di recupero di grani che hanno una valenza storica. Seguiamo progetti con l'Università di Firenze, Panta Rei di Perugia, e poi con la Rete Semi Rurali insieme ad altri contadini lavoriamo con genetisti, per esempio Salvatore Ceccarelli, in un progetto di evoluzione partecipata. Un lavoro che facciamo anche con girasole e mais.
Spiegaci meglio...
Sono entrata in contatto con dei genetisti e abbiamo cominciato a collaborare: loro hanno trovato qualcuno che coltivava e metteva in campo, sperimentando, i loro semi, io avevo bisogno di qualcuno che avesse competenza e volontà di seguirne la storia. Dopo le prime sperimentazioni il progetto si è esteso, la farina è piaciuta tantissimo e da un ettaro siamo arrivati a 15 ettari.
Che grani coltivate?
Sette grani teneri come jervicella, verna, gentil rosso, solina, frassineto e due duri, senatore Cappelli, forse il più noto tra questi, e timilia che risale al 4 secolo, del periodo greco e un farro monococco, l'ultimo uscito dalla collezione Strampelli. Di questo ci avevano dato 5 anni fa pochi grammi di semi, ora ne abbiamo un ettaro. Poi facciamo un lavoro di miscelazione sul campo, un evolutivo. Ovviamente abbiamo anche collaborazioni con alcuni chef, per esempio Paolo Trippini, che ho conosciuto al corso e spesso usa i nostri prodotti.
Cosa producete?
I grani con cui facciamo delle farine molite a pietra che poi uso per il pane e le paste. C'è un orto che nasce per il ristorante, facciamo olio, miele, marmellate per i formaggi, birra di grano cruda, coltiviamo legumi, abbiamo anche degli animali che però non macelliamo, non ce la facciamo: vivono con noi. Per le carni mi rivolgo ad aziende vicine.
Cosa hai imparato i questi anni?
Ho imparato a star sveglia con la testa e interagire quel che succede intorno.
Chi prendi come modello in cucina?
Questo mondo lo osservo, ma dall'esterno, penso che uno può prendere la tecnica o l'esperienza ma poi basta. Insomma non ho modelli, mi piace la cucina basata su un territorio, come quella di Salvatore Tassa, molto creativa e istintiva, concreta, e chi usa due o tre ingredienti e li valorizza come anche faceva Riccardo Di Giacinto.
Quale è la tua cucina?
Anche se non sono molto brava a raccontare quel che faccio, mi sembra tutto molto istintivo, ma c'è un ragionamento dietro: pochi elementi del territorio, in primo piano c'è sempre il prodotto, mio o di qualcuno che conosco e che so quel che vuole fare arrivare. Mi piace molto lavorare con le spezie che mi faccio arrivare.
Un piatto di cui sei particolarmente soddisfatta?
Ci sono dei piatti invernali che mi piace tantissimo fare, dalle lunghe cotture: mi piace lavorare per le persone seguendo i piatti. Coltivo un mais che è il frutto di 30 mais di diverse parti del mondo con cui faccio una polenta solida che scotto su una padella di ceramica, una fetta di polenta croccante su cui metto cavolo nero, crema di pecorino e pepe rosa. Un piatto che mi piace fare perché è coinvolgente, ci sono tanti sapori insieme e dà un'emozione che è quella che cerco io quando vado a mangiare fuori. Ma il tema è soprattutto un altro: la gestione del piatto che nasce dal campo.
Cosa intendi?
Se faccio un grano in un terreno o in un altro, il risultato è diverso: più vanigliato o sapido, perché i prodotti interagiscono con la terra, e la terra cambia da un metro all'altro. Oggi abbiamo 30 ettari in affitto, facciamo una rotazione triennale in maniera naturale, durante il quali i terreni riposano o vengono coltivati con altro (canapa grano saraceno e altro), per rinvigorirsi. Quando coltivo in un posto lo faccio sapendo che questo influenza il risultato anche in termini di sapore.
Dove sta andando secondo te la cucina?
Mi pare ci sia un doppio binario, in questa zona esistono piccole realtà come questa, attente alla materia prima e al servizio, e aziende enormi. È una ristorazione anni '80, molto turistica, con ristoranti che accolgono decine di persone a prezzi bassissimi, persone portate dai pullman e infilate dentro; non so quanto possano durare le piccole realtà di fronte a dei giganti così. Però mi sembra anche che rispetto a prima, quando bisognava spiegare tutto, oggi le persone siano più preparate e pronte a un certo tipo di esperienza. Quando ho cominciato ero quasi solo io a fare questo tipo di lavoro.
Progetti futuri?
A breve si deve trebbiare. Secondo come va, esisti o non esisti come azienda e come ristorante, se usi i tuoi prodotti. Questa è la prima cosa. Poi ho cominciato un progetto sulla panificazione, vorrei fare un piccolo panificio in azienda. In cucina mi aiuta un ragazzo del Senegal, un rifugiato, che a casa sua panificava, è appassionato e ha un'ottima mano: diventando parte della nostra azienda diventa parte della nostra storia, mi piacerebbe che fosse lui a consegnare e fare da volto di questo progetto che così avrebbe una valenza sociale oltre che agricola.
La Locanda di Colle Ombroso - Azienda Agricola Janas - Porano (TR) - Località Colle Ombroso S.P. 55 KM 4,8 - 0763 616588 - http://www.locandacolleombroso.com
a cura di Antonella De Santis