È un po' un outsider della gastronomia, Alessandro Borghese. Un autodidatta di lusso che si muove con disinvoltura dentro e fuori dal piccolo schermo. Tre anni sulle navi da crociera, qualche esperienza internazionale, ha oggi una società di catering, di advertising e consulenza (la AB Normal), due ristoranti a Venezia e a Milano e un altro di prossima apertura – Alessandro Borghese - il lusso della semplicità – e un elenco lunghissimo di programmi tv. Sul suo sito scrive di sé che è «uno dei cuochi più famosi d’Italia e protagonista indiscusso del successo della cucina in televisione», e «che ha rinnovato il concetto di cultura e professionalità nel settore della ristorazione». Non sarà troppo? Lo chef più famoso d'Italia si racconta e sulla guida Michelin dice: «È la massima autorità per giudicare. Se mi danno la targa sono contento, ma non è la mia ossessione».
Alessandro Borghese: un outsider della cucina
Arriva sul palco dell'Auditorium di Identità Golose, dopo Alajmo e prima di Pepe, Klugmann, Bottura, Romito, Ducasse. Perfettamente a suo agio in questo parterre de roi, viene a raccontare un po' della sua storia, la passione per la cucina trasmessa dal padre e le sufficienza di chi lo considera solo un figlio di, «come se mia madre avesse un ristorante!» ribatte. Pretende che gli vengano riconosciuti i suoi meriti. «Ho cominciato 16 anni fa in tv con In cucina con Ale, ho portato nel mondo della televisione gastronomica tantissimi grandi chef: ho avuto tante soddisfazioni anche non essendo nato nel mondo degli chef che fanno grandi stage in Francia, e ho un buon rapporto con tutti quanti, ho fatto il mio cercando di non far fastidio. Io invece sono autodidatta, mi sono costruito uno stile mio». Borghese – classe 1976 – ci tiene a ribadire la sua professionalità. «A quasi 50 anni se non sapessi fare nulla non starei qui». Gli addetti ai lavori, però, sembrano non accorgersi di lui: «non sono sulle guide (in realtà è presente sulla guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso, con una forchetta e una valutazione di 75/100, ndr), ma non penso di dover fare dei passetti in più, sto bene con me sto, mi sono conquistato tutto quel che ho, anche se il mondo dell’alta ristorazione e della critica mi ha sempre guardato un po’ strano».
Ma quando esce la Michelin guarda se è stato inserito? «La Michelin è la massima autorità per giudicare, e la più attendibile. Non sono mai entrato nel circuito, forse per colpa mia: in questi anni la mia testa è stata nel cucinare, nel fare ristoranti e in tutto il resto. Certo che se mi danno la targa sono contento, è un riconoscimento gradito per tutti, ma non è la mia ossessione altrimenti avrei dedicato la mia vita a quello. Per ottenere la stella Michelin bisogna dedicarsi a quella roba lì. Ho avuto già tante vite, magari ci sarà anche quella». Della serie: non è mai troppo tardi, dal resto anche Marchesi ha aperto il suo ristorante a via Bonvesin de la Riva a 48 anni.
Quando parlano male di me, metto un cuoricino
Anche se la critica lo ignora, il Borghese ristoratore è soddisfatto: «ho i locali che lavorano, per fortuna, vado in giro e alle persone piace quel che faccio, poi ci sono clienti e clienti, quelli che criticano e quelli che non lo fanno». Da personaggio televisivo e imprenditore della ristorazione: come difendersi dagli haters? «Devi essere un sasso nel fiume. Se sei felice di quel che fai hai soddisfazione, se dai seguito a quel che dicono gli altri non finisci più. I social sono uno strumento di comunicazione eccezionale per il cuoco ma sono una vetrina, ed è normale che ci sono anche tante persone che parlano male: abbiamo fatto del parlare male un mestiere retribuito. Una marea di gente parla male di me, quando succede sai che faccio? Metto un cuoricino».
Alessandro Borghese e 4 Ristoranti
Con 4 Ristoranti batte l'Italia dei piccoli centri, visitando la provincia con le sue insegne meno note, quelle che magari non vanno mai in prima pagina, ma rappresentano l'ossatura della nostra ristorazione che – dice – gode di ottima salute, «è cresciuta tantissimo, abbiamo piccole realtà molto interessanti, i giovani hanno voglia di fare ristorazione». Tutto bene, dunque? «Se chiedi a ragazzi di fare uno o due piatti tipici nella propria regione stentano, invece dovrebbero avere come patrimonio, conservare le proprie radici. Si pensa che fare un semplice piatto di pasta non sia più abbastanza, i giovani vogliono stupire a tutti i costi, magari fanno uno stinco eccezionale che però porta clienti un paio di volte al mese, mentre non sanno fare un piatto semplice, con 4 ingredienti. E per quello si deve essere bravi. Anche in 4 Ristoranti ho premiato spesso dei giovani che hanno voglia imprenditoriale, fanno sacrifici, hanno tecnica e gli riesce bene, ma spingo nel recupero della nostra tradizione gastronomica. Andando in giro cerco di inseguirla, se per esempio sto a Mantova - anche se ogni volta che faccio un programma c’è qualcuno che si ammazza perché dovrebbe vincere - conosco qualcosa e poi la porto al ristorante, ai ragazzi che lavorano con me e alla gente che viene a mangiare: quello della cucina è un mestiere in cui non si finisce mai di imparare». La tradizione italiana, nelle sue variabili, è un punto di riferimento: «Siccome si stiamo svendendo qualsiasi cosa perdendo pezzi a favore dell’estero, mi attacco alla colonna della nostra tradizione: basterebbe quella. Puntando su cucina e coste in Italia non dovremmo fare più un cazzo».
Il format originale da cui nasce 4 Ristoranti prevedeva solo 3 ristoratori che andavano in giro a provare dei locali, «l'ho cambiato, aggiungendo la mia figura». Una figura di peso, capace di cambiare le sorti della puntata, «ma in realtà spesso e volentieri fanno tutto loro, se secondo me hanno giocato sporco forzando i punteggi per vincere, allora ribalto i risultati, ma di solito non serve. Ovvio che è un divertissement televisivo, parliamo di intrattenimento». Certe volte ce lo si scorda, «come quando i leoni da tastiera si avventano su qualcuno». Ma è un programma divertente, per famiglie, «e in 10 anni di 4 Ristoranti abbiamo cambiato il modo in cui si va al ristorante».
Imparare e dubitare
Con l'esperienza accumulata in tanti anni di trasmissione, Borghese ha ormai le antenne sempre ritte per riconoscere i ristoranti: «Quando vedo una carta infinita so che forse c'è un problema e se vedo in menu pizza sushi frutti di mare un po’ mi preoccupo. Ma più che avere dei parametri ormai certe cose le capisci a pelle, a volte – commenta - vedo certi cuochi con fiamme sui pantaloni e un sacco di stemmi attaccati alla casacca». Se quella bocca potesse parlare! Di episodi da raccontare ce ne sarebbero di sicuro tanti, «gli imprevisti ci sono sempre». Uno per tutti? «Nella puntata in Sardegna, vinta poi da Abbamele di Mauro Ladu, abbiamo fatto una tappa in Mamoiada, una terra di grandi tradizioni. Inizio a mangiare una sa cordula, il pastore con noi continuava a dire, annusando l’aria, che c’era qualcosa che non andava. Non capiamo; alla fine ci dice: “C’è odore di merda”. L'intestino non era stato pulito bene». Inutile raccontare come è andata a finire.