Nel mare di parole, spesso imprecise e talvolta di parte, spese per l’uscita di scena sorprendente di Alberto Quadrio dalla cucina del nuovo Portrait Milano ha senso partire dall’unica nota ufficiale sul tema, quella della proprietà ossia la Lungarno Collection della famiglia Ferragamo.
Eccola testualmente: «Il 10_11 Bar Giardino Ristorante, con il suo format rilassato di casual dining - che vede la cucina italiana più semplice, buona ed autentica protagonista della sua offerta gastronomica - è stato accolto con grande entusiasmo dalla città di Milano e dai suoi visitatori che ogni giorno ci cercano e l’apprezzano. È per questo che al momento, l’inserimento nella proposta di un format gastronomico di fine dining non rientra tra i nostri obiettivi a breve e medio termine. Le ambizioni e i desideri di Alberto Quadrio vanno in un’altra direzione e per questo le nostre strade si separano». Alla fine. è tutto qui, una grande illusione: in primis, quella del bravo Alberto Quadrio allettato comprensibilmente dall’idea di entrare nel ‘salotto buono’ della cucina, servendosi dell’apertura milanese dell’anno. Ma anche quella di chi ha creato una storia forzata, credendo (o facendo finta di credere, peggio ancora) al pensiero che prima o poi, a fianco del casual dining ci sarebbe stato il ristorante per 20 coperti con una vera mise en place e un menu che andasse oltre la non banale (e buona, va detto) pasta in bianco, diventata un caso nazionale per la popolarità rapidamente acquisita e il dibattito aperto tra quanti la considerano gioiello di semplicità, purezza e quanti sostengono sia un piatto banale per un Portrait, che non giustificherebbe mai i 26 euro di prezzo.
L’attenzione deve essere per il cliente
Lasciando da parte l’ultimo aspetto (si potrebbero citare un mare di esempi per contestare il rapporto prezzo/qualità a Milano, a partire da un toast al bar) che alla fine distrae nel giudizio, Quadrio resta un eccellente professionista – con esperienze in maison di livello – che non sarà perdita incolmabile per il Portrait nella stessa misura in cui il suo breve passaggio a Milano non significherà la fine della carriera per un 33enne di talento e ambizioso. Magari dovrebbe stare più attento ai tanti cantori che ne hanno fatto un campione dopo poche partite importanti. Quanto successo, in effetti, è anche frutto di un sistema che non va catalogato nello stucchevole refrain attuale «il fine dining è finito». A parte che al Portrait manco è iniziato, semmai vive di una fase di ridefinizione soprattutto all’interno degli hotel. Sono anni che Bulgari ha chiesto a Niko Romito di non fare alta cucina per il mondo. Four Seasons – a parte qualche eccezione – pensa soprattutto ai suoi ospiti (Milano ne è l’esempio perfetto pur contando su un eccellente cuoco come Fabrizio Borraccino). Il ‘re’ Armani era quasi dispiaciuto della Stella Michelin durata due anni e sicuramente le nuove strutture in arrivo – come quella firmata da Philippe Plein – non sono intenzionate a spingere.
Gli chef e le proprietà
C’è semplicemente la consapevolezza di far mangiare bene la gente e tenere i conti sotto controllo, stupisce ancora che, nel 2023, tra la proprietà (vale anche per i ristoranti fuori dagli alberghi) e gli chef ci siano incomprensioni così clamorose come quella tra Quadrio e Lungarno Collection. Poi, a Milano, c’è un termine di paragone che è un ulteriore problema: un esempio virtuoso quale il Mandarin Oriental che si permette di avere un Tre Forchette straordinario quale il Seta by Antonio Guida e un bistrot di lusso come il Garden, eccellente per piatti e cocktail. Ma quando ha debuttato correva l’anno 2015, venne ingaggiato un dream team – con decine di cuochi e camerieri - che preparò l’apertura per nove mesi. Spesa senza limiti per trovare subito il successo (arrivato) di critica e pubblico. Otto anni fa, un’altra epoca: anche e soprattutto questo invita a tenere la barra dritta – tutti compresi - e a non farsi incantare dalle sirene.