Un'abitudine familiare e casalinga che, una volta approdata nei ristoranti, rompe tutti gli schemi. Meno avanzi nel piatto e, di conseguenza, un minor spreco alimentare. Potrebbe essere una reazione alle restrizioni che hanno reso freddo e sterile il servizio durante la pandemia, o semplicemente un rinnovato invito ad abbracciare la convivialità. Parliamo della nuova tendenza del dine-sharing, la tavola condivisa, che potrebbe sconvolgere alcune solide regole della ristorazione e cambiare completamente il concetto di servizio al tavolo.
Le pietanze sono servite a tavola in grandi teglie, vassoi, zuppiere, pirofile, tegami, raviere e ciotole comuni, ma anche cocotte e piattini da condividere. Tutto al centro, e tutto shared pescando con la propria posata, o intingendo direttamente il pane per una scarpetta collettiva. In USA questo genere di servizio non è una novità, e nel mondo della ristorazione informale è noto con il nome di "family-style".
Piatti condivisi
In ogni paese e cultura i piattini da cui mangiare in compagnia fanno parte del consumo tradizionale, come ad esempio le tapas in Spagna, le meze della cucina levantina, le decine di antipastini che aprono le danze in Lucania, e i cicchetti veneziani. Per non parlare di pietanze che nascono proprio per essere consumate in gruppo: il hot pot asiatico, la tajine marocchina, la fonduta valdostana/svizzera di formaggio fuso, e la fondue bourguignonne di carne: tutti piatti che culturalmente nascono per la condivisione, frutto di un passato povero e rurale. Pensiamo anche alla nostrana abitudine contadina della polenta, anticamente versata sulla tavola con disposta al centro un'unica salsiccia (quel poco che le famiglie potevano permettersi). I commensali mangiavano la loro parte di polenta muovendsi verso il centro, e chi per primo arrivava all'ambita carne, vinceva la proteina.
Il dine-sharing parte dalla Svizzera
"Adoriamo ordinare tanti piccoli piatti che trasformano la tavola in una lavagna per fare spuntini tra amici, e il dine-sharing permette di assaggiare molte più pietanze" si legge in Tip Berlin, guida al meglio della tavola nella città tedesca, e che alla condivisione a tavola dedica ampio spazio. Andreas Caminada, chef svizzero bistellato, con il suo "Fine Dining Sharing Experience Nest" qualche anno fa colse il desiderio di cene meno formali e minimaliste, incentrate invece su gesti più intimi per far sentire i commensali come a casa. La filosofia secondo la quale gli ospiti possono connettersi, non solo con il cibo, ma tra loro, e applicata in tutti e tre i suoi ristoranti Igniv con sedi a Bangkok, St. Moritz e Zurigo.
È la fine dell'impiattamento?
La nouvelle cuisine prima, con chef del calibro di Alain Ducasse e Gualtiero Marchesi, e la cucina molecolare poi, hanno elevato il minimalismo in cucina con l'impiattamento e la presentazione utilizzati per evidenziare il genio culinario dello chef ma anche l'unicità dell'esperienza vissuta a tavola.
Con il dine-sharing tutto questo potrebbe cambiare. Non ci si preoccuperebbe più di pulire sbavature, tenere in piedi esili architetture edibili, rispettare proporzioni auree di texture e geometria. Addio schiume, "acqua di..." e "aria di..." nell’impiattamento. Il dine-sharing porterà davvero il tramonto dell’espressione creativa nel grande piatto ottagonale, la candida boule asimmetrica, e alle destrutturazioni in ciascun piatto meticolosamente perfetto? Le tecniche di dripping, smearing, le quenelles posizionate su scacchiere come tele di Mondrian, o i sottili equilibri creati da vuoti e volumi. Roy Caceres prima di sbarcare a Roma con Metamorfosi (chiuso nel 2021), e la recente apertura di Orma, al ristorante dove ha vinto la sua prima Stella Michelin, la Locanda Solarola a Castel Guelfo di Bologna, usava bendare i propri clienti per non "distrarre" il palato con l'estetica del piatto.
Si rischia davvero che con l'ultima moda del dine-sharing tutto questo non serva più?