Come si producono le acciughe del Cantabrico: viaggio affascinante nelle acque del Nord della Spagna

30 Nov 2024, 12:16 | a cura di
Siamo stati in Cantabria a scoprire come si fa il "caviale del Nord", quelle alici polpose e rosee che non vengono usate solo come ingrediente, ma servite come piatto. Viaggio alla scoperta delle alici del Cantabrico

Il silenzio è religioso, il respiro è impercettibile, la testa è china, gli occhi non hanno distrazioni, le mani si muovono precise ma in modo sciolto e delicato. Nella cattedrale dell’acciuga a celebrare il rito sono le sobadoras, le signore di Santoña che ancora oggi, dopo decine e decine di anni, portano avanti la tradizione della sfilettatura artigianale delle alici del Cantabrico. Pratica che consiste nell’eliminare ogni parte superflua del pesce, come spine, lisca e pelle, prima di essere confezionato. Nella quiete totale a parlare è solo l’acqua delle vasche in cui vengono risciacquate le acciughe dopo sei mesi di pressa e salatura; lo strofinìo lento e preciso di un pezzo di rete da pesca che le donne maneggiano per portare via la pelle dal dorso dell’acciuga; lo sforbiciare chirurgico per tagliare coda e parti laterali superflue e rendere i filetti di acciuga più omogenei possibile; e il raschiare delicato del coltellino per eliminare ogni traccia di spina. Nel reparto di sfilettatura del Gruppo Consorcio sono quindici le sobadoras, vanno avanti per ore per pulire quattro, cinque chili al giorno del «caviale del Nord, così lo chiamano alcuni» dice Pilar García, guida turistica, e inserire i filetti uno per uno nella latta o nel vetro prima di mandarli alla sigillatura della confezione. Un lavoro che richiede pazienza e tanta manualità per realizzare un prodotto conservato che prima di arrivare in tavola fa un viaggio molto lungo. E pensare che è stato un italiano, un genovese, a “scoprire” che qui si pescava bene e a insegnare agli spagnoli come lavorare i piccoli pesci che buttavano via non intuendone il potenziale. Ma andiamo a scoprirla anche noi, questa storia.

Italia e Spagna: un amore nato grazie alle alici

«Giovanni Vella fiutò l’ottima occasione e si accorse che la gente non mangiava le alici, considerate pesce di scarto, senza valore, perché di piccole dimensioni», spiega Pilar García, la guida turistica che ci accompagna nel tour. Fu lui a mettere piede per la prima volta in quella terra “santa” per le acciughe. Erano gli anni intorno al 1880. Dopo di lui, a stanziarsi furono altri italiani, soprattutto genovesi e siciliani, quest’ultimi importando in zona anche le tecniche italiane di salatura. La popolarità dell’acciuga in Cantabria, però, cominciò solo negli anni Cinquanta del secolo scorso: «In Italia non si pescava abbastanza e c’erano poche zone di pesca per il bocarte (così si chiama in zona il pescato di acciughe, ndr) – spiega Pilar – ed è così che molti italiani si sono insediati proprio a Santoña insegnando, soprattutto i siciliani, l’arte della salatura del pesce».

Vella, Oivieri, Cefalù, Sanfilippo. Di famiglie spagnole di origini italiane che portano avanti ancora cognomi di casa nostra a Santoña ce ne sono tante. Aldo Brambilla – quarantasei anni, riccioluto, occhi a mandorla e incarnato latino – è uno degli spagnoli con sangue lombardo: è lui a portare avanti la storia delle alici del Cantabrico che unisce le due nazioni. Brambilla è l’uomo del mare, quello che, per Gruppo Consorcio (azienda tutta italiana con stabilimenti in Spagna), coordina le operazioni al porto per portare in fabbrica le migliori alici da lavorare e salare. Smartphone alla mano, chat, app e gps attivi per comunicare con i suoi collaboratori e controllare il movimento di ogni peschereccio. Mentre le navi stanno per ormeggiare, sulle sponde del porto sorvolano decine di gabbiani: sentono l’odore del pesce, della carne, del sangue che si avvicina, e planano sul molo di Santoña come a voler regnare sul posto e lasciare intendere che i padroni sono loro.

Il viaggio dell’acciuga del Cantabrico

La sirena suona una volta, vuol dire che le barche hanno superato anche questa notte e sono sulla rotta del ritorno, navigano lentamente sul mare piatto del Cantabrico fino alla riva che finalmente darà sollievo alle facce provate e soddisfatte dei pescatori. A inizio giugno la temperatura del mattino al porto è mite, ideale per pescare ottime alici: «La campagna di pesca comincia il 1 marzo e si chiude il 25 giugno, quando la temperatura del mare è di circa 15 gradi», spiega Brambilla: a temperature più elevate le alici non si fanno trovare, cercano l’acqua fredda e scendono nel blu dei fondali. C’è anche una «pesca di ritorno», racconta Aldo: «avviene fra luglio e agosto, ma le acciughe sono più grasse e di qualità inferiore». Nei racconti di Aldo ci si perde, mentre la sirena suona una seconda volta: si parte con l’asta del pesce, i pescatori hanno la campionatura pronta e in bella vista. Le vaschette di plastica sono poggiate su un nastro metallico che resta immobile per permettere ai potenziali acquirenti di valutare bene il bocarte.

Sobadoras

Le acciughe del Cantabrico hanno una carne polposa e spessa, il colore interno è di un marrone rosato. «Per far capire quanto sono più grandi rispetto ad altre tipologie di acciughe, basti valutare il “grano”, il carato: se l’acciuga è di qualità, per farne un chilo servono da trenta a quarantadue pezzi», racconta Aldo Brambilla mentre la sirena suona per la terza volta: l’asta è cominciata, scattano le offerte per aggiudicarsi le migliori cassette. Gli sguardi sono attenti, i pulsanti roventi. «Si fissa un prezzo di partenza, ma tutti conoscono un po’ le dinamiche che porteranno al prezzo finale. Poi si fanno battute al ribasso di un centesimo alla volta».

Nello stabilimento di salatura

Santoña è la città dell’acciuga, il quartier generale degli stabilimenti di salatura e confezionamento. Dalla Lonja (asta ittica, ndr) alla fabbrica di Gruppo Consorcio si impiegano esattamente venti minuti di tragitto e il bottino di bocarte, protetto da ghiaccio, viene subito lavorato quando ancora tutte le acciughe sono in rigor mortis e non hanno nemmeno tempo di andare in decomposizione o di putrefarsi. Tanto che, nonostante i nostri timori, nello stabilimento di salazón non c’è nessun odore fastidioso di pesce, si avverte anzi un aroma delicato, sinonimo di freschezza. «Le anchovas, liberate dal ghiaccio di protezione, vengono messe in grandi vasche tutte insieme e sottoposte a una presalatura» ci spiega Fernando Prada, il caporeparto: è lui che ci conduce in questo viaggio quasi teatrale in cui la lavorazione delle acciughe somiglia a una coreografia: sono una sessantina gli operai, uomini e donne che afferrano, decapitano, eviscerano ogni giorno 10mila pesci. Una scena che dura solo pochi mesi l’anno, stagionale. In estate è il turismo ad assorbire la manodopera.

Ma torniamo nel salone delle acciughe: dopo la presalatura e l’eviscerazione, si comincia a disporre tutto in grandi tini di plastica alti e tondi: uno strato di acciughe, uno di sale, alternati, fino ad arrivare alla bocca del tino. «Una volta riposte nei barili e pressate, le alici rimangono lì per sei mesi sotto sale a una temperatura fra i 18 e i 20 gradi», racconta Fernando spiegando il processo di maturazione. «Questo procedimento impedisce l’aggressione da parte dei batteri esterni: la pressione elimina l’aria e l’acqua, e pian piano le alici si disidratano». Trascorsi i sei mesi vengono “liberate” e portate nelle mani delle sobadoras. In quel reparto le alici vengono sciacquate per un solo minuto – cronometro alla mano – vengono scolate in appositi contenitori bucherellati, dopodiché riposte in riga su un panno sottile, poi avvolte e strizzate nel panno stesso per eliminare gli ultimi residui di acqua. A quel punto iniziano le operazioni di sfilettatura.

L’acciuga: una storia lunga

L’acciuga è imprevedibile, si affida a variabili incontrollabili come sono quelle che governano il mare e il cambiamento climatico. Poi, la loro sorte è affidata all’asta: anche qui nessuno sa come andrà ed è proprio questa adrenalina legata all’incognita a rendere affascinante il mondo del bocarte. Santoña è il quartier generale delle acciughe del Cantabrico, un posto in cui la storia, da ogni dove, ha attraversato il mare e ha messo radici: ci sono i siciliani e i genovesi, c’è il ricordo di Juan de la Cosa – inventore del mappamondo e proprietario della caravella Santa Marìa di Cristoforo Colombo che proprio in quella città era nato – anni, secoli di storia che hanno dato vita al santoñismo, una specie di fede legata al mare, alla natura, alla tradizione da cui tutti gli abitanti del luogo sono stati contagiati; anche i cani: i perros de agua sono famosi in città e si possono vedere navigare, anche loro, nelle acque fredde di quel mare affascinante e magico che è il Cantabrico.

Foto GRUPO CONSORCIO - DIVCreativo David de la Iglesia 

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