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Tra il racconto dei Promessi Sposi, le ricerche del professor Stella e il lavoro dello chef Alessandro Negrini ai fornelli di Aimo e Nadia, ricostruiamo i dieci piatti (e ingredienti) che Alessandro Manzoni di cui oggi, martedì 23 maggio, ricorre il 150esimo anniversario della morte amava mangiare e di cui tesseva le lodi.
I 10 piatti preferiti da Alessandro Manzoni
- Pane e Pomodoro (panzanella)
- Insalata di frutta e verdura con Grana Padano
- Polenta
- Raviolo di reviggiolo burro e cannella
- Anatra laccata al miele di Valtellina e millefoglie di verdura
- Pasticcio di piccione
- Aragosta in salsa
- Testina di vitello glassata
- Panattone
- Cioccolatte
Vi raccontiamo questi piatti e gli ingredienti che li compongono insieme ai “protagonisti” che li hanno studiati, realizzati, raccontati e degustati.
Manzoni, goloso come Dumas
A differenza di Alexandre Dumas, Alessandro Manzoni non scrisse un “suo” ricettario, né firmò mai un “Grande Dizionario della Cucina”. Anche se, come Dumas, lo scrittore italiano era goloso, di dolci in particolare, e nonostante di cibo parli spesso nei suoi scritti, nelle lettere e nei romanzi. Nel centocinquantesimo anniversario della morte, l’Italia celebra uno dei suoi più lucidi intellettuali. Lo ha fatto la Politica, con il discorso del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha ricordato il guardare oltre dello scrittore e la sua capacità di immaginare il grande valore dell’essere umano al di là delle appartenenze etniche o geografiche. Se, però, in politica è stato preso come un avversario del nazionalismo e del sovranismo, in gastronomia Alessandro Manzoni era molto italico-centrico. Come dire: da questo punto di vista, tutto sommato, il Ministro-Cognato alla Sovranità Alimentare potrebbe approfittarne per ribadire la sua paura di sostituzioni etniche almeno dal punto di vista alimentare.
Alessandro Manzoni e il Panattone fuori stagione
Per esempio, a proposito del Panettone, anzi Panattone, di cui si lamentava in suo scritto che è stato rieditato dalla milanese Casa di Manzoni in cui si lamenta che sia un dolce disponibile solo a Natale e che la moglie dopo una “panattonata” diventava più tranquilla. Ecco, con la de-stagionalizzazione del panettone partiamo per raccontare il Menu Manzoniano di Alessandro Negrini e Fabio Pisani chef e soci di Stefania Moroni nel VOCE di Aimo e Nadia all’interno (all’esterno, anzi) del rigoglioso giardino della casa milanese dello scrittore. Una proposta che fa parte di un evento di più ampio respiro che renderà omaggio a Manzoni agli inizi di luglio: una grande cena ispirata ai piatti probabilmente amati dallo scrittore e realizzati con la consulenza del linguista e filologo Angelo Stella presidente dal 2006 del Centro Nazionale di Studi Manzoniani e che sarà chiusa proprio dal Panettone milanese.
Manzoni, i sapori della Toscana
Ma andiamo per ordine e partiamo dal principio, insieme ad Alessandro Negrini. “Lo scrittore visse per un po’ a Firenze, poco a Venezia, un bel po’ a Parigi e sicuramente molto a Milano – racconta lo chef – Insieme al professor Stella abbiamo cercato di capire i suoi gusto e abitudini alimentari attraverso gli scritti e quindi abbiamo cercato insieme di costruire un menu che Manzoni avrebbe potuto amare”. Il menu estivo dedicato allo scrittore milanese si aprirà con una preparazione ispirata alla sua residenza toscana. “Abbiamo unito pomodoro e pane sciapo, un po’ pensando a dei sapori toscani basici come quelli che possiamo trovare in preparazioni tradizionali, dalla panzanella alla pappa al pomodoro – spiega Alessandro Negrini – Un omaggio al suo soggiorno fiorentino”. In questo, nel passaggio dalla Toscana a Milano, lo scrittore è vicino anche ad Aimo Moroni che arrivò nel capoluogo lombardo in treno all’età di 12 anni, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. E che a Milano ha portato un pezzo della sua regione, lui originario di Pescia in provincia di Lucca, come Nadia, sua compagna di vita e di avventure e insieme a lui nell’insegna milanese oggi guidata dalla figlia Stefania.
Omaggio all’orto e al frutteto manzoniano
“La cena del Desco del Manzoni, ai primi di luglio prossimo, si apre con un antipasto ispirato alla villa di campagna dello scrittore – racconta Alessandro Negrini – Amava molto ritirarsi a soggiornare e scrivere nella sua residenza di Brusuglio, vicino a Cormano, dove lui stesso racconta di amare molto sia l’orto che il frutteto che lì aveva realizzato. Così, abbiamo pensato – anche vista la stagione estiva che probabilmente coincide con i ritiri manzoniani in villa – di proporre una insalata di frutta e verdura arricchita di quello che lui chiamava Formaggio Grande di cui era goloso e che abbiamo identificato come un Grana Padano”.
Erbe di campo nel tortello di Raveggiolo
Nei Promessi Sposi sono diversi i formaggi che riempiono di acquolina lo scrittore mentre racconta le disavventure di Renzo Tramaglino. Se in un passo scrive che “… vide pendere una frasca da una cosuccia solitaria, fuori di un paesello…Chiese un boccone; gli fu offerto un po’ di stracchino e del vino buono: accettò lo stracchino”, che in realtà doveva trattarsi di Gorgonzola (località cui Renzo si trovava ormai nei pressi). Infatti, negli “Atti” della grande inchiesta parlamentare diretta intorno al 1880 da Stefano Jacini si legge che con il nome di stracchino (che era comunque un formaggio tradizionale delle zone della Bergamasca) circolava in realtà anche un prodotto assai simile all’attuale gorgonzola a due paste, un erborinato dunque. Ma poi, quando Renzo torna in paese dopo la peste, l’amico presso cui si ferma gli mette in tavola un paio di “raveggioli”. E qui non ci sono dubbi: era proprio quel formaggio di cui Manzoni era ghiotto e che proviene dall’Appennino Tosco-Romagnolo dove è uno dei protagonisti delle piadine locali: un formaggio molto fresco, a metà tra ricotta e giuncata. Lo scrittore inserisce questa sua passione nel romanzo e Alessandro Negrini ci fa un tortello: “Il formaggio si lavora con un po’ di borragine e poi si condisce con burro fuso ed erbe aromatiche insieme a un pizzico di cannella che ai tempi del Manzoni cominciava a intrigare i palati più colti”.
L’anatra, il miele di Valtellina e il Cioccolatte
“Il piatto principale è un omaggio al soggiorno francese di Manzoni e al suo amore per il miele della Valtellina che cita nei suoi scritti – racconta lo chef – Il volatile viene laccato con il miele amato dallo scrittore e accanto è servita una millefoglie di verdure. La cena, poi, termina con il Cioccolatte, che Manzoni scoprì a un certo punto della sua vita e che sostituì il caffè, ‘quel liquido nero’ cui lo scrittore non ha mai dedicato parole di piacere. Nella lettera a un amico francese, Manzoni confessava di non amare neppure il cacao che trovava amaro e astringente: era una novità per quei tempi e cominciava a farsi strada come bevanda. L’amico francese gli consigliò di sciogliere il cacao in un poco di latte: piacque a tal punto a Manzoni, che non abbandonò mai l’uso di sorseggiare la bevanda, battezzata Cioccolatte, durante la giornata”.
Il mondo contadino, la fame, il cibo
Alessandro Manzoni aveva una profonda conoscenza del mondo contadino che ai suoi tempi era quello in cui viveva la gente del popolo. Il suo capolavoro è tutto intessuto di richiami alla fame, agli orti, al pane e alla sua tassazione. Addirittura, usò il forno delle Grucce di un suo amato panettiere, per raccontare l’assalto del popolo infuriato per l’aumento del prezzo del pane dopo la revoca del calmiere da parte del Gran Cancelliere dello Stato di Milano, Antonio Ferrer: ne ricevette in dono delle sfogliatelle di cui andava goloso e lui ringraziò “del dono che lo gratificava nella gola e nella vanità”. E che la giornalista Susanna Cutini ha ricreato in ricetta nel suo Taccuinum de Eccentellissimi (Ali&no Editrice) come una sfogliatella ripiena di crema pasticcera a base di mandorle, cannella, vaniglia, liquore d’amaretto, pasta sfoglia, uovo e zucchero a velo. Simbolo del mondo e dell’alimentazione contadina è l’enorme cavolo con cui si presenta Perpetua che lo tiene sottobraccio e che è alla base di una miriade di piatti lombardi perché del cavolo – come del maiale – non si butta via nulla, neppure il torsolo. E poi la polenta, la carne dei poveracci. E i piatti delle osterie che seguono Renzo nel suo errare: carni inn umido, lasciate a stufare nel tegame vicino alle braci, le polpette, alias mondeghili, ancora oggi tra i simboli della gastronomia milanese. E gli involtini, piatto ricco: una getta di lonza (capocollo fresco) di maiale ripieno di salsiccia: da leccarsi i baffi e da consumarci mezza pagnotta insieme!
Menu borghesi e il brodo di pollo (o di cappone)
Interessante, per far luce sulle tavole al tempo di Manzoni, è un libro uscito qualche tempo fa e firmato da marina Marazza: Le Due Mogli di Manzoni. Qui la voce narrante è quella di Teresa Borri, vedova Stampa, la seconda moglie di Manzoni la cui vita quotidiana si intreccia sempre con il ricordo di Enrichetta Blondel, la prima consorte dello scrittore cui dedicò ben 15 parti anche se le sue figlie femmine morirono tutte intorno i 26 anni. “Gli piace bere vino, non riesce a stare senza il sesso, è un chocolate addicted, è un camminatore compulsivo, si spaventa a morte per un nonnulla e soffre di balbuzie”. Si racconta nel libro e tra i piatti preferiti si citano, ad esempio, il pasticcio di piccione, l’aragosta in salsa, la lingua al verde e la testina di vitello. Ma ecco che quando lo scrittore deve ritrarre Lucia, nel capitolo 24, che è accolta nella casa del sarto dopo tutte le sue disavventure, Manzoni racconta una domenica di festa grande per l’arrivo dell’arcivescovo di Milano: sta sobbollendo nel pentolone in cucina il cibo più goloso: il brodo di cappone che si mangia solo nei momenti clou. I capponi che richiamano i 4 pennuti che tiene per le zampe Renzo quando va dall’avvocato Azzeccagarbugli – una sorta di contrappasso? Qui è Lucia che viene invitata a sorbirne, con del pane, a richiamare quel brodo di pollo che era il comfort food per eccellenza delle donne malate, deboli o partorienti. Ma che qui richiama la sontuosità del grande brodo delle migliori occasioni e ribadisce quanto profondamente goloso doveva essere lo scrittore dell’Italia Unita per antonomasia. Aperto al mondo e al futuro, all’amore per il prossimo e al rispetto dei valori dell’uomo più profondi, ma al tempo stesso anche un grande sovranista alimentare. Per la gioia di Lollobrigida (Francesco).