Un utensile da cucina con più di duemila anni di storia, che ha attraversato i secoli senza mai sparire. Il testo, oggi noto soprattutto per la cottura della piadina romagnola e della torta al testo umbra, veniva già usato dagli antichi romani, ma nel corso del tempo ha subito numerose modifiche, cambiando – da comune a comune del centro Italia – forma, materiale, utilizzo e nome.
L’origine del testo risale all’epoca romana, quando la parola latina testum indicava un recipiente di terracotta utilizzato per la cottura dei cibi. I primi testi non erano affatto delle semplici piastre, ma veri e propri forni portatili: venivano riempiti di brace per diffondere il calore in modo uniforme, cuocendo il cibo dall’alto e dal basso. Accanto ai testum, si usavano le tegule, tegole di terracotta arroventate che servivano da base di cottura. Nel tempo, il concetto si è trasformato, e il termine testo è sopravvissuto per indicare la piastra su cui si preparano focacce non lievitate. Se nei secoli passati il testo era realizzato esclusivamente in argilla, oggi il materiale più diffuso è la ghisa, più resistente e in grado di trattenere il calore a lungo. Le dimensioni variano, con diametri che possono raggiungere i 50 cm, rendendolo un utensile piuttosto pesante ma fondamentale per la cucina tradizionale dell’Italia centrale.
Torta al testo umbra
Nonostante le sue origini romane, il testo ha trovato una casa stabile in diverse regioni italiane, dove è stato adattato alle tradizioni locali. In Emilia-Romagna, è il re della piadina, spesso chiamato anche teglia, mentre in Umbria è inseparabile dalla torta al testo, una focaccia non lievitata che accompagna salumi e formaggi. In Lunigiana, tra Liguria e Toscana, il testo assume un aspetto ancora più particolare: è formato da due elementi, una base detta sottano e un coperchio conico chiamato soprano, simile alla tajine nordafricana, per preparare i testaroli. In Liguria, oltre ai testaroli e ai panigacci, il testo è anche una lastra di ghisa arroventata che viene posta sopra le pietanze per una cottura “sotto al testo”, tecnica che ricorda le antiche pentole romane. Sull’Appennino tosco-emiliano esiste una variante in pietra arenaria, chiamata “lastra”, mentre nel modenese si usa un piccolo testo di terracotta noto come tigella per cuocere le crescentine. Infine, nella cucina della montagna pistoiese, i testi sono chiamati forme o piastre e sono attualmente utilizzati principalmente per la cottura dei necci (le crespelle tipiche del luogo fatte con farina di castagne).
L’uso di piastre di cottura simili al testo non si limita all’Italia. Strumenti analoghi si ritrovano in molte cucine mediterranee e mediorientali, un segno dell’influenza dell’Impero Romano su diverse culture. In Nord Africa, ad esempio, la tajine non è poi così diversa dal testo lunigianese, mentre in Medio Oriente si utilizzano piastre di metallo o terracotta per cuocere pane e focacce sottili. Anche nella cucina greca e turca si trovano strumenti simili, dimostrando come la cottura su pietra o metallo sia una tecnica universale, nata dalla necessità di cuocere rapidamente impasti semplici e nutrienti.
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