I numeri non lasciano spazio a dubbi e anche noi che siamo stati alla tre giorni bolognese ne siamo convinti: la Slow Wine Fairè una delle manifestazioni più riuscite in Italia e, giunta alla quarta edizione, il rodaggio si può considerare ormai concluso. 15mila i visitatori nei tre giorni, 300 i buyer internazionali arrivati da 20 paesi nel mondo. Numeri che segnano un +20% rispetto allo scorso anno. 1050 le cantine presenti (dall’Italia e da ben 29 paesi) 250 le aziende di Sana Food, la novità del 2025.
In più, oltre i banchi d’assaggio, non si contano gli incontri B2B, le masterclass (ben 17) e i dibattiti svolti per un totale di un centinaio di eventi organizzati. E ora si guarda già alla quinta edizione, in programma il 22, 23 e 24 febbraio 2026.
Dei tanti assaggi che abbiamo fatto quest’anno durante le tre giornate della manifestazione, vi proponiamo una selezione di 13 etichette, che alla qualità organolettica uniscono caratteristiche uniche di tipicità e autenticità. In poche parole si tratta di vini rispettosi, nel bene e nel male, di quello che la natura offre ogni anno.
12 ettari, 50mila bottiglie per una produzione tutta incentrata sull’alta quota. La famiglia Rosset produce vini di gran carattere, figli del clima alpino come questo Nebbiolo ’22. Frutto rosso in evidenza e un palato freschissimo, dove il tannino è delicato e ben integrato alla materia e il finale è estremamente sapido. Vino di grande beva e figlio di un vero terroir.
Pochi gli ettari, poche le bottiglie prodotte, tanto il carattere che troviamo nei vini di Roberto Rondelli. Il Roja è un Dolceacqua Superiore frutto di un piccolo appezzamento di vecchie viti coltivate ad alberello. Superbo l’ingresso in bocca, avvolgente e cremoso, devia poi in una freschezza acida da manuale e in una sapidità molto molto appagante. Davvero un grande vino.
Solo due ettari vitati per questa piccola ma bella realtà agricola da tenere sott’occhio. Il rispetto per la natura circostante sta alla base della loro produzione e i vini sono il vero specchio dei suoli valtellinesi, ma anche del clima che cambia di anno in anno. Buonissimo il Rino in un’annata particolarmente fortunata, la 2021. Foglie secche, frutto rosso e un bel tocco terroso anticipano un sorso di grande finezza, leggiadro e saporito, di grande profondità.
Dici Elisabetta Dalzocchio e automaticamente pensi al Pinot Nero, a Rovereto, alla Vallagarina. Piccola, piccolissima azienda, solo due ettari di vigna e altrettanti di bosco. Due sono anche i vini prodotti, tra annata e Riserva. Abbiamo assaggiato un buonissimo 2019, dai toni di piccoli frutti rossi come lamponi e ribes, dalla bocca fresca ma anche molto saporita e avvolgente. Un piccolo grande capolavoro.
Sarebbe bello se il Trebbiano in Romagna riguadagnasse il prestigio che merita, visto che in alcune zone della regione regala risultati davvero soddisfacenti. Il Cavaliere Bianco è un grande esempio per la tipologia. Frutto di una vigna unica e storica offre profumi di frutto bianco, agrumi, mandorla ed erbe aromatiche, al palato e fresco e saporito, l’acidità è ben bilanciata e il finale appaga per la sua profondità.
Quello che ci aspettiamo da un Bolgheri Rosso giovane, fresco e pimpante. Giacomo Satta, ormai alle redino dell’azienda familiare ha le idee molto chiare sui vini e sono tante le etichette che lo dimostrano. Il 2023 profuma di frutto rosso, ma non mancano cenni di rosa e spezie. La bocca regala una bellissima acidità, ben integrata alla materia, che sfuma verso sensazioni sapide. Il tannino è morbido e maturo, la lunghezza non manca di certo.
Non è di certo la prima volta che assaggiamo e apprezziamo il il Verdicchio di Matelica di Collestefano, ma da un primo assaggio la 2024 ci sembra davvero una grande annata. Tipico negli aspetti varietali che richiamano il Verdicchio, è altrettanto schietto e sincero quando si tratta di comunicare al meglio l’eleganza e la finezza di Matelica. Acidità spiccata ma dosata, saporito al punto giusto, profondo, lunghissimo, complesso.
Piccolissima realtà abruzzese di cui abbiamo apprezzato tutta la gamma, ma quello che ci è rimasto più impresso è senza dubbio il Montepulciano. Ampio, avvolgente, cremoso, ha tannino fine e morbido, corpo che dà il giusto spessore soprattutto perché è ben equilibrato da una spina acido-sapida. L’equilibrio non manca, il finale (pulitissimo) neppure.
Ci troviamo in una delle zone vitate più alte del Lazio, in provincia di Rieti ed è qui che la Cantina Le Macchie elabora alcune etichette di sicuro fascino, ottenute sia da varietà tradizionali sia da uve internazionali che qui sembrano aver trovato il loro habitat ideale. Siamo rimasti davvero sorpresi da La Sciantosa ’22, bianco ottenuto da uve Malvasia che subiscono un lungo periodo di macerazione sulle bucce. Macerazione che si intravede dal colore (per quanto non si arrivi a tonalità arancioni) ma soprattutto da naso e bocca. Profumi di frutta candita, spezie dolci e fiori secchi anticipano un sorso vibrante di freschezza, dove la parte tannica è perfettamente dosata col corpo del vino e non incappa in sensazioni amare o tese a contrarre il sorso. Davvero un vino ben riuscito.
A distanza di quattro anni stupisce davvero il Falerno del Massico Bianco prodotto da la Masseria di Sessa, piccola ma interessante realtà della provincia di Caserta. Il colore non fa minimamente pensare agli anni trascorsi, è un bel giallo paglierino tendente al dorato molto luminoso. Il naso è scandito da note di frutto giallo, fiori bianchi, mandorla fresca ed erbe aromatiche. La bocca ha acidità da vendere, ma tutto è perfettamente integrato. Niente sensazioni asprigne, anzi: soave al punto giusto, sapido e profondo, mostra tutta l’eleganza di un grande bianco del sud Italia.
I vini rosa del sud Italia che ci piacciono davvero. Autentici e di carattere, non amano scimiottare le regioni d’Oltralpe ma vogliono esprimere tutto ciò che il calore e i vitigni vogliono trasmettere. In questo caso parliamo di un Primitivo per l’85%, il saldo è di Aglianico. Rosa scuro, profuma di piccoli frutti rossi, rosa lievemente passita, spezie. La bocca ha sapore, il tannino è lieve, la freschezza non manca ed è accentuata soprattutto da una bellissima sapidità marina.
Un’anteprima assoluta, tanto che la bottiglia assaggiata è un Cirò “atto a divenire”. Nonostante ciò la lettura gusto olfattiva di questo grande rosso calabrese è già chiara. Naso complesso e molto nitido, il frutto è rosso, la spezia non manca, ma ci sono anche cenni floreali e di arancia sanguinella. Al palato si sente il calore del sud, ma anche la stoffa di un grande vitigno, il Gaglioppo, e di un grande territorio, quello di Cirò. Grande già ora non potrà che migliorare nel tempo.
Un bianco in terra di grandi rossi. Marco Canneddu a Mamoiada non ha dubbi su ciò che devono esprimere i suoi vini. Freschezza, beva, eleganza. Lo è per i rossi, ma lo è anche per questo bianco da uve Granazza, varietà tradizionale barbaricina. I profumi ricordano la mela cotogna, la scorza di limone candita, ma anche lo zenzero e l’anice. La bocca è sapida, il tessuto regala corpo e struttura, ma poi è la freschezza del vino di montagna che bilancia tutto e offre beva e profondità.
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