«Mi sono seduto al ristorante e mi hanno offerto l’aragostona. L’ho comprata e ora vado a liberarla». Salmo, il rapper di Olbia, in Sardegna, la cui fama è diventata internazionale, non ci ha pensato due volte e, quando il cameriere gli ha mostrato il grosso crostaceo, ha preferito provare a ridargli una seconda possibilità, piuttosto che farlo cucinare e mangiarselo.
La vicenda viene raccontata in un video sul canale TikTok del cantante nel quale si vede il rapper in ciabatte da spiaggia, costume, canotta e borsello che arriva sull’arenile ed entra in mare dove, vicino a degli scogli affioranti, libera l’aragosta tenuta dentro un sacchetto di carta. Sul post del rapper, con in radio il remix di Overdose d’amore di Zucchero e impegnato in un tour che lo vede negli stadi delle più grandi città italiane, si legge anche «In un mondo dove puoi scegliere di essere qualsiasi cosa, sceglie di essere gentile».
Salmo, per essere precisi, non è il primo a salvare un’aragosta dalle cucine sarde: già l’anno scorso era diventato virale un video sempre sui social, di una turista svizzera che in un ristorante di Golfo Aranci, in Gallura, aveva deciso anche lei di non mangiare il crostaceo, ma di acquistarlo e liberarlo. La scena era stata ripresa proprio dal titolare che poi l’aveva condivisa in rete.
Sul tema sofferenza delle aragoste, c’è un dibattito acceso da parecchi anni. Non solo sul mangiarle o meno, ma più che altro sul metodo di cottura, ovvero buttarle vive nelle pentola di acqua bollente, una pratica basata sull’idea che questi esseri viventi non provino dolore. Idea che molte ricerche scientifiche stanno mettendo in dubbio.
La questione non è discussa solo dai più convinti animalisti, però, ma vede la partecipazione anche di chef di rilievo e stellati. Tra i primi Giorgio Locatelli, che ormai da anni non cuoce più le aragoste vive. La decisione la spiegò lui stesso in una trasmissione tv, nella quale raccontò di quanto rimase scosso da ragazzino quando vide la sua prima aragosta buttata viva dai pescatori nell’acqua bollente e sentì il tipico “grido” o fischio che l’animale emette quando viene a contatto con l’acqua bollente. “Grido” o fischio considerato da alcuni dolore e da altri solo il passaggio del vapore nel carapace. Un’esperienza che lo portò a non mangiare più aragoste per diversi anni, ammorbidendo però la sua decisione col tempo in modo da poter inserire quel cibo così prelibato nel suo menu. Locatelli, ha poi ricambiato idea e, oggi, pur non bandendo l’aragosta dal suo ristorante, però, non le bolle più vive, ma utilizza uno strumento che le anestetizza in modo che non soffrano.
La questione, però, esiste, e se alcuni Paesi non ne vogliono nemmeno sentir parlare, altri si sono mossi nella stessa direzione di Locatelli. Lo ha fatto la Svizzera nel 2018, obbligando i cuochi a stordire i crostacei prima della cottura, e lo hanno fatto Norvegia e Austria. In altri Paesi, come come Olanda e Gran Bretagna, invece, sono stati presentati disegni di legge per impedire la crudele pratica. Non lo ha fatto L’Italia, dove è assolutamente legale cuocere le aragoste vive nell’acqua bollente: nel nostro Paese ciò che è vietato è solo trasportarle nelle tipiche casse piene di ghiaccio. È necessario, invece, trasportarle in casse di acqua salata, condizione più vicina al loro habitat naturale.
Anche gli chef, in ogni caso, hanno opinioni diverse: lo chef stellato svizzero Bernard Fournier, per esempio, ha sempre dichiarato di essere contrario e di ritenere che tanto valesse smettere proprio di cucinarle le aragoste, visto che ucciderle prima di cuocerle, significava rendere la carne del crostaceo stopposa e con poca polpa. In linea con la sua opinione, anche alcuni chef italiani come Luigi Pomata dell’omonimo ristorante a Cagliari e Rocco Pace del ristorante Crik & Crok di San Vito Lo Capo.
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