Sapete perché il sale al supermercato è sempre introvabile? Così gli psicologi del consumo, puntando su quello che è un bene di prima necessità, ci costringono a girare tutti gli scaffali, riuscendo a irretirci con le altre offerte occhieggianti. Un bene di prima necessità, un tempo prezioso, oggi visto come qualcosa di assodato. Eppure non tutti sanno la differenza tra il salgemma e il sale integrale, per esempio, o che la cottura in crosta di sale è tra le più efficaci che ci siano.
Cristallo di sale. Foto di Paolo della Corte
Innanzitutto non è l’uso più esatto del termine (che in chimica ha un significato diverso), ma è la denominazione corrente del cloruro di sodio utilizzato in cucina (oltre che nell’industria alimentare) come condimento e conservante. In commercio ce ne sono di diverse tipologie, dal salgemma al fino, dall’integrale al sale in fiocchi.
Detto anche halite, è un sale minerale estratto dalle miniere. Sale fossile, si forma dall’evaporazione di antichi laghi salati o mari, incolore o con varie colorazioni (come il rosa dell’Himalaya o il rosso delle Hawaii) date dalle impurità dell’ambiente circostante.
Fior di sale. Foto di Paolo della Corte
E’ il sale prodotto per evaporazione naturale (nei climi caldi, col metodo delle saline) dalle acque del mare o di laghi e sorgenti salate. A temperature più rigide si produce per evaporazione artificiale o congelamento.
Sale raffinato (o sale da cucina) perfettamente bianco, che è stato ridisciolto in acqua e nuovamente fatto cristallizzare, in polvere o in minuscoli cristalli.
Sale integrale. Foto di Paolo della Corte
Sale marino non raffinato, di colore grigiasto, che conserva tutti i nutrienti originari. Tra i più noti, il sale integrale dell’Atlantico francese.
Pregiato ingrediente in cucina, è il sale che si cristallizza sulla superficie dell’acqua per il semplice effetto dell’aria e del sole. Raccolto a mano, non subisce poi alcun trattamento di raffinazione.
È un sale a cristalli piramidali, cavi all’interno, croccanti e friabili. I fiocchi si formano grazie a un sistema di vasche e di evaporazione più lenta, che ha tradizione antica a Maldon, in Inghilterra. Famosi anche i fiocchi di sale di Bali e di Cipro.
Foto di Francesco Vignali
Mette insieme cottura arrosto, sottovuoto e il condimento, nel Mediterraneo da sempre si usa per cuocere il pesce, nel Nordeuropa tuberi e radici, in Cina il pollo. Se la cottura in crosta di sale, dal semplice (e talvolta triste) branzino casalingo, ha sfondato nei teatri gourmet – non c’è grande ristorante al mondo dove oggi non abbia ruolo – lo si deve, per primo, ad Alain Passard, maestro della cucina francese che vent’anni fa, nel pieno di una crisi esistenziale, ritrovò la creatività grazie ai vegetali, cominciando trattarli con le tecniche della carne: le barbabietole in crosta di sale servite all’Arpège sono tutt’ora leggendarie, presentate intere in tavola e rotte di fronte al commensale.
Foto di Francesco Vignali
Da lì l’onda del ritorno a tecniche e cotture ancestrali è stata travolgente e quello che fa stravincere la cottura in sale (a secco o impastato con albumi) rispetto agli involucri di altri ingredienti come l’argilla, utilizzata in molte culture per la carne, è la capacità di resistenza al calore nel tempo, che permette alla crosta di non spaccarsi dopo ore e ore di cottura. Se si pensa come lo stesso Passard, in numerose ricette, consigli di cuocere i vegetali 30 minuti a 170 gradi per ogni 100 g di prodotto, per un sedano rapa da 1 kg il calcolo equivale a ben 5 ore.
Il sale aiuta a modificare la textura dei vegetali, terreno di sperimentazione per molti chef, soprattutto della new wave nordica, e qualcuno si spinge ben oltre la cottura fine a se stessa. Un interessante lavoro su questo tema, ad esempio, è stato portato avanti da Sebastian Frank, talentuoso chef austriaco dell’Horvarth di Berlino. Frank cuoce in forno, in un involucro di pasta di sale, un sedano rapa e, nello stesso involucro, lo lascia stagionare per un anno. Il sale estrae i liquidi e concentra il sapore: all’apertura della palla di sale, dopo 12 mesi, il sedano rapa ha perso la maggior parte del suo volume, assumendo sembianze e dimensioni di un sasso, ma è diventato un insaporitore formidabile, tanto che il cuoco austriaco lo grattugia a sugellare i piatti, come fosse tartufo o bottarga.
a cura di Pina Sozio
Per approfondire la tematica trovate uno speciale sul sale nel numero di maggio del mensile del Gambero Rosso, che potete trovare in versione digitale su App Store o Play Store
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