Febbraio a Sanremo fa freddo, l’umidità rovina anche i capelli più laccati. Il mare è irrequieto, il Festival della canzone italiana accende i cuori di milioni di italiani puntata dopo puntata, le strade poco distanti dal lungomare accolgono fiumi di turisti della musica che sperano di incontrare il loro cantante preferito sotto il loro albergo blasonato, le mani di giorno in giorno sono sempre più unte nella lunga ricerca della focaccia più buona, più tipica come la sardenaira rossa con olive taggiasche e alici, che buona che è, più impegnativa socialmente come quella alle cipolle bianche. C’è chi passeggia e chi cammina come maratoneti kenyioti.
A Sanremo a febbraio i ristoranti apparecchiano e sparecchiano con frenesia serata dopo serata, sia quelli che affollano le vie intorno all’Ariston sia quelli arrampicati sulle salite del centro storico, ti siedi stanco dopo lunghe e bellissime giornate di lavoro o di villeggiatura musicale, scorri il menu, ci pensi su, e poi chiedi al cameriere qualche informazione, vista la gentilezza e la professionalità ne approfitti e poni qualche quesito ulteriore su un antipasto che ti stuzzica. «Prendo le verdure alla griglia». «Sono verdure di stagione», risponde il cameriere efficiente. «Bene, quali sono?», chiede il cliente domandone. «Tutti di stagione, zucchine, melanzane e peperoni», informa l’altro sempre gentile. Pausa, ma il silenzio non dura tanto. Il cliente saputello non esita e con un pizzico di arroganza veste i panni del cliente bacchettone, replica piccato col sopracciglio alzato: «Ma non sono di stagione». Sorrisi pieni di imbarazzo, eppure non c’è nulla da ridere.
Non è la prima volta che capita, non sarà l’ultima, non riguarda solo Sanremo, è tutta Italia che non sa più che verdure si mangiano di mese in mese, cosa dà la terra seguendo il tempo che passa. Rimane più sconsolazione che rabbia. Le responsabilità sono molteplici, le colpe impossibili da attribuire a tutti gli attori in gara. Probabilmente anche noi dobbiamo interrogarci sulla narrazione mancata su questi temi, o quella fatta, anche se inconsapevolmente, sulla destagionalizzazione. È da illusi chiedere alle cucine di non servire ortaggi fuori dalla loro stagione di origine? È da rompiscatole pretendere dalle famiglie di smetterla di mangiare i pomodori a dicembre? O ai gruppi di acquisto solidali, che fanno dell’etica la loro stella polare, di non ordinare pesanti cassette di verdura piene di quello che non dovrebbe esserci? Probabilmente sì, è da illusi, perché ormai di stagione non ci sono neppure i fiori che vengono regalati ai cantanti sul palco dell’Ariston.
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