Rosso o arancione, ancora per tutto il mese di aprile, e con la concreta possibilità che anche il weekend del 1 maggio dovrà sottostare allo stesso criterio prudenziale che ha visto prevalere la linea rigorista del governo Draghi. Dunque l’Italia non riapre, almeno fino al 30 aprile. E per quel che ci interessa in questa sede, in tutta la Penisola, le attività di ristorazione dovranno aspettare il mese di maggio per iniziare a parlare di ripresa, secondo modalità che è prematuro e impossibile anticipare. Nel nuovo decreto, valido a partire dal 7 aprile, però, una sorta di clausola – inserita nel testo per mediare con le posizioni di chi chiedeva una ripartenza anticipata del Paese – introduce un appiglio cui aggrapparsi. Così recita, infatti, il comma 2 dell’articolo 1: “In ragione dell’andamento dell’epidemia, nonché dello stato di attuazione del Piano strategico nazionale dei vaccini di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, con particolare riferimento alle persone anziane e alle persone fragili, con deliberazione del Consiglio dei ministri, sono possibili determinazioni in deroga al primo periodo e possono essere modificate le misure stabilite dal provvedimento di cui al comma 1 nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, del decreto-legge n. 19 del 2020”.
In sintesi, se nelle prossime settimane un territorio – che sia regione, provincia o comune – dovesse poter dimostrare di avere dati epidemiologici sotto controllo e – non meno importante – dimostrasse di essere regola con le vaccinazioni ad anziani e categorie fragili, allora il governo potrebbe autorizzare un allentamento delle misure. Che si tradurrebbe, nei fatti, in una riapertura di bar e ristoranti nell’orario diurno, dunque a pranzo, con servizio al tavolo, perché della cena davvero si è persa ogni traccia all’orizzonte. Davvero una piccola speranza cui aggrapparsi, per un settore che – denuncia la Fipe – è al collasso, con 22mila imprese che hanno già cessato definitivamente l’attività e 243mila posti di lavoro persi, mentre gli aiuti garantiti dall’ultimo decreto sostegni non sembrano sufficienti a placare la crisi. D’altro canto, proprio nelle ultime ore, anche in Francia il presidente Macron è stato nuovamente costretto a blindare il Paese, estendendo a tutto il territorio una zona rossa che si protrarrà per le prossime quattro settimane (con coprifuoco fissato alle 19), lasciando aperte solo le scuole e prolungando l’agonia del settore della ristorazione, chiuso senza soluzione di continuità dalla fine di ottobre scorso.
In Italia, intanto, il Movimento Imprese Ospitalità MIO Italia agita vento di tempesta; l’associazione presieduta da Paolo Banchini dà appuntamento al 6 aprile a tutti quei ristoratori che decideranno di ribellarsi alle regole, riaprendo a pranzo e cena in barba alle restrizioni: “Giunti a questo punto, il ministro alla Salute ha il dovere di rivelare al Paese e al settore dell’ospitalità a tavola – che vale il 30% del Pil – quale sia il suo progetto. Il ruolo ricoperto gli impone di assumere la responsabilità della franchezza. Ha deciso di trascinare sul lastrico tutti i ristoratori italiani?”. Non sembra certo questa, come abbiamo già ribadito, la strada giusta per rianimare un settore che è però allo stremo delle forze.
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