Report getta nuove ombre sulla filiera di uno dei prosciutti più famosi al mondo. L’inchiesta andata in onda su Rai 3 domenica 17 novembre ha sollevato forti dubbi sulla mancanza dei controlli sulla provenienza dei mangimi somministrati agli animali allevati per il Parma Dop. E sulla loro conformità al disciplinare di produzione.
Una puntata dedicata agli allevamenti suini, che torna su una ferita già aperta lo scorso anno con l’inchiesta sui capi a rischio contaminazione biologica affrontando questa volta il tema delle autocertificazioni. Sì, perché a dispetto di una specifica contenuta nel disciplinare di Prosciutto di Parma Dop, la produzione sembrerebbe andare avanti senza controlli sul campo, affidandosi quindi quasi esclusivamente agli allevatori.
A scoperchiare il vaso di Pandora è l’inchiesta realizzata dalla giornalista Giulia Innocenzi, da cui affiorano tutti i punti critici legati al disciplinare del Prosciutto di Parma Dop e le carenze nei controlli da parte dell’organismo certificatore. Stando a quanto stabilito nelle regole di produzione del Consorzio aggiornate nel 2023, l’alimentazione dei suini dovrebbe sottostare al rispetto di stringenti requisiti. Tra questi la provenienza del mangime destinato ai maiali, che da disciplinare deve provenire integralmente, o almeno al 50%, dalla “zona geografica limitata”.
Il punto è che, come sottolineato da alcuni esperti consultati da Report, questo requisito potrebbe non essere sufficiente per garantire la qualità e l’autenticità del prodotto, tanto meno del mais somministrato ai capi di bestiame. Basti pensare che in soli dieci anni si sono persi circa mezzo milione di ettari di mais. Un motivo in più per importare quasi sei milioni e mezzo di tonnellate l’anno, tra cui anche una quota rilevante di Ogm.
Ad aggravare la situazione c’è però il fatto che il Csqa – l’organo di controllo che dovrebbe vigilare sull’autenticità della Dop e che ha già ricevuto sospensioni in passato – continui a non operare sul campo, basandosi solo esclusivamente sulle autocertificazioni. Lo dimostrerebbe la conversazione registrata, trasmessa da Report, tra un allevatore e la direttrice generale del Csqa, Maria Chiara Ferrarese, la quale avrebbe ammesso l’omissione dei controlli sull’alimentazione dei suini, in accordo con l’associazione di categoria, senza informare il Ministero dell’Agricoltura. «Questa cosa non la dovete divulgare. Noi abbiamo praticamente omesso il controllo dell’alimentazione nel piano. Parlando con l’associazione abbiamo capito che è un grosso problema il requisito del 50% della materia prima e non vogliono che ci siano controlli nelle loro aziende. Ma attenzione: questa cosa il Ministero non la sa tutta», riferisce in un audio Ferrarese.
Una serie di pratiche che sollevano dubbi sulla trasparenza e sull’efficacia del sistema di certificazione, mettendo a rischio il marchio Dop ma anche la credibilità dell’organismo di controllo, non nuovo a episodi di questo tipo. Nel 2022, l’ente di certificazione Csqa era infatti stato sospeso per quattro mesi dall’Ispettorato repressioni frodi del ministero delle Politiche agricole per «ripetute violazioni del Piano dei controlli» sul Prosciutto di Parma. Un provvedimento analogo a quello toccato due anni prima all’Istituto Parma qualità – il precedente certificatore della prestigiosa Dop – prima sospeso dal ministero e poi licenziato dal Consorzio per non aver vigilato sui maiali fuori standard. Un altro caso di violazione dei requisiti del disciplinare attuati proprio dall’ente certificatore.
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