La ricetta del Pd per ripartire? Pasta aglio olio e peperoncino. Lo scorso sabato, alla grande manifestazione di Piazza del Popolo indetta dal Partito democratico, la scrittrice e attivista Chiara Valerio, intervenendo sul palco, ha deciso di usare la cucina come metafora della politica e della convivenza sociale.
“Tutte le persone che conosco sanno cucinare pasta aglio olio e peperoncino”, ha detto con l’eloquio che la contraddistingue. “Ogni persona a modo suo. Tempo di cottura, peperoncino intero, in polvere o frantumato. Piccante o meno piccante. Aglio con l’anima o senza. Tutte le persone che conosco sono capaci di giudicare se la pasta aglio olio e peperoncino è meglio o peggio di quella di un altro. E il verbo giudicare non ha automaticamente una eccezione negativa o eroica, significa solo esprimere un giudizio. E questo perché in Italia, la cucina è cultura”.
D’altronde chi potrebbe negare che la cucina sia cultura? Di sicuro nessuno che lavora nel campo dell’enogastronomia che questi concetti li porta avanti da decenni. Se non fosse che poi la scrittrice va a toccare un nervo scoperto: “Siamo tutti in grado di produrre cucina e criticare ciò che facciamo, di accogliere le altrui critiche, senza offenderci”. E qui, chi segue il mondo culinario, potrebbe avere da ridire. Basta, infatti, leggere i commenti sotto ai vari Tripadvisor di turno per rendersi conto che l’accezione negativa del verbo giudicare esiste anche in cucina, eccome. E se il non offendersi non appartiene proprio al genere umano, figurarsi al genere culinario, dove ognuno si sente detentore della ricetta unica e definitiva.
Che “non ci sia tifoseria nel cibo” come sostiene Valerio, andatelo a dire a Carlo Cracco che, qualche anno fa, in diretta tv preparò un’amatriciana con l’aglio (esatto proprio l’aglio di cui sopra) e apriti cielo! Contro di lui si scatenò l’inferno: da una parte il partito dell’aglio dall’altra quello della cipolla. Nel mezzo quelli del “né con l’uno, né con l’altro”, che si sa, in politica come nella vita rappresentano una quota considerevole. Neanche tiriamo in ballo l’annosa questione delle declinazioni: arancino o arancina è ormai un caso di scuola, oltre che di gender. Infatti, a tiralo fuori è la stessa Valerio, omettendo però che la scelta dell’uno o dell’altro abbia scatenato faide familiari che a confronto le discussioni tra destra e sinistra impallidirebbero.
Ci autocitiamo per quanto riguarda la recensione critica (qui sì, intesa come accezione costruttiva, visto che è proprio il compito della critica gastronomica) alla cucina di Niko Romito al Bulgari di Roma che nei mesi scorsi scatenò una tifoseria da stadio di proporzioni enormi, tra commenti nazionalpopolari (“Avete affossato il made in Italy!”), di incitamento alle armi (“È giusto che la critica gastronomica si faccia valere”) e complottiste (“Romito avrà pestato i piedi a qualcuno” “Romito avrà fatto pagare il Gambero Rosso”).
Insomma, la cucina è sì cultura, è condivisione, è accettazione (di ingredienti e cucine altrui), ma di sicuro non è pacifista. Spesso è spettacolarizzazione alla stregua dei programmi politici in Tv (vedi Masterchef o Quattro Ristoranti). E a volte è anche politica e premierato.
Ma quindi non salviamo proprio niente del discorso di Chiara Valerio? Assolutamente sì. Dall’idea di usare la cucina come metodo alla cucina intesa come cultura. E vada anche per la razza con la r minuscola che, come la scrittrice, vorremmo considerare semplicemente un pesce e non un’incitazione all’odio.
Infine, ci piacerebbe sì credere che “se parlassimo di diritti civili, politici e climatici come parliamo di cibo saremmo un’utopia realizzata”. Di fatto, l’interesse verso la cucina sembra infiammare di passione le piazze più di qualunque leader politico riesca ancora a fare (non a caso il cibo insieme agli animali è uno degli argomenti più “sfruttati” nella comunicazione social anche e soprattutto dei politici). Il fatto che lo abbia capito perfino il Partito Democratico, da sempre accusato di essere radical chic e lontano dal linguaggio del Paese, non può che essere un bene. E di sicuro il discorso dell’attivista è stato più comprensibile degli “elefanti nel corridoio” di bersaniana memoria.
Se poi non servisse a risollevare le sorti dei Dem nei sondaggi, Elly Schlein potrebbe sempre “consolasse con l’ajetto”, come si dice a Roma. Anzi aglietto, olio e peperoncino per tutti gli iscritti.
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