Chi ha provato a fare un panettone a casa, spesso con scarsi risultati per mancanza di tecnica o ancor più per mancanza di una strumentazione adeguata, sa quanto tempo ci voglia. Ed è proprio dal tempo necessario che partiamo per rispondere alla domanda più frequente in questi tempi: perché un panettone artigianale costa così tanto?
«Per fare i panettoni bisogna partire dal lievito madre», ci spiega Renato Bosco, primo classificato nella nostra classifica dei panettoni artigianali, con una produzione totale che si aggira sui settemila pezzi venduti per la maggior parte a rivenditori e in parte a prezzo pieno di 38/40 euro al cliente finale. «Partiamo due mesi prima con la gestione del lievito, calibrandone la temperatura ideale e le percentuali di farina 0. È un lavoro importantissimo perché se sbagli il lievito butti il panettone: è successo un paio di volte di doverne gettare quantità importanti, una perdita enorme per degli artigiani come noi, e quest’anno che abbiamo cambiato sede, ci abbiamo messo un po’ a trovare il giusto equilibrio».
È anche per questo che il panificatore pizzaiolo veneto è disposto ad avere dei collaboratori di fiducia che siano ben retribuiti e che lo affianchino in tutto e per tutto in queste fasi delicate. A questo si aggiungono gli stipendi di altre sette persone fisse, nel periodo natalizio interamente dedicate alla produzione del grande lievitato, e di due/tre persone con contratto a tempo determinato che si occupano solo delle spedizioni.
Una volta ottenuto il lievito adatto, parte la produzione vera e propria: «Arriviamo in laboratorio alle 6 di mattina per un primo rinfresco, alla sera prepariamo il preimpasto e alle 8 del giorno dopo prepariamo l’impasto che dopo 5/8 ore inforniamo; a questo punto il panettone è pronto dopo un’ora e riposa tutta la notte a testa in giù per raffreddarsi. Ne va da sé che ci vogliano dalle 34 alle 38 ore per avere un panettone idoneo alla vendita».
Dopodiché viene imbustato – «C’è una signora, munita di guanti, mascherina, cappello e grembiule, che imbusta i panettoni uno a uno spruzzando all’interno del sacchetto l’alcol puro (fatto da noi con le bacche di vaniglia) per la conservabilità, dato che non utilizziamo mono e digliceridi», riposto all’interno della scatola ed etichettato. «Sono tutti costi che non riguardano il food cost, dallo stipendio di chi si occupa dell’imbustamento, al packaging, alla cella di lievitazione, che rimane sempre attiva, alla stanza adibita al raffreddamento dei panettoni. Le bollette in questo periodo, difatti, lievitano».
Certo, più ne fanno e più abbattono i costi di produzione, «ma comunque non raggiungeremo mai i volumi dell’industria, credo che una qualsiasi industria dolciaria prepari oltre 30mila panettoni al giorno, è chiaro che abbiano delle linee di produzione più performanti e possano beneficiare di una economia di scala imparagonabile a quella degli artigiani, anche quelli come me, penso a un Vincenzo Tiri (ha da poco aperto un locale a Potenza tutto dedicato ai panettoni, ndr), che producono parecchio». Tra l’altro sono imparagonabili anche i prodotti che ne escono fuori, se siete curiosi leggete quanto è emerso durante la degustazione alla cieca dei panettoni industriali.
Sembra assurdo, ma non lo è poi tanto, in questi conti della serva la materia prima gioca un ruolo marginale: che venga usata la vaniglia Bourbon (che costa 525 euro al kg), come nel caso di Bosco, i tuorli veri (sapete sì che l’industria non sguscia uova una a una?!), i canditi e l’uvetta di qualità o la farina di un piccolo mulino, l’incidenza sul costo totale è di circa il 25%. La materia prima utilizzata, però, incide enormemente sul prodotto finale: raramente se si assaggia un panettone artigianale, si torna indietro.
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