Le osterie e i bar sono alleati contro la depressione. Lo dice uno studio della Fondazione Alicia, centro di ricerca catalano nato nel 2008 dall’intuizione del giornalista Toni Massanés mettendo insieme innovazione tecnologica, gastronomia, salvaguardia e promozione del patrimonio agroalimentare e gastronomico, studi sociali e molto altro ancora. Un posto dove discipline e competenze diverse si mescolano con l’obiettivo di migliorare la qualità dei prodotti alimentari e del modello alimentare del paese, con ogni mezzo possibile. Non solo laboratori in cui sviluppare tecniche innovative, nuovi prodotti e diverse textures (utili per rispondere a specifiche esigenze nutrizionali), aule didattiche per migliorare abitudini alimentari fondamentali per prevenire patologie e formare addetti alla ristorazione collettiva e consumatori consapevoli, terreni agricoli dove fare sperimentazione sul campo, ma anche riflessioni sulle problematiche sociali, come la corretta alimentazione come fondamentale strumento per un invecchiamento sano, e la socialità e la cultura come antagonisti all’isolamento sociale.
In questo contesto si inserisce uno studio condotto dalla Fondazione Alicia e presentato durante il congresso Madrid Fusion 2025. Per quattro mesi, nel villaggio catalano di Sant Joan de Vilatorrada, sono stati osservati cinquanta residenti di età compresa tra i 40 e i 90 anni, soggetti che manifestavano segni di depressione o patologie associate alla solitudine e l’isolamento sociale. Durante il periodo della ricerca i partecipanti, per diversi giorni a settimana, hanno pranzato in compagnia in un ristorante del loro paese, con un menu bilanciato e salutare. Un primo risultato assicurato, perché dalle ricerche emerge che chi vive e mangia da solo è più esposto a una cattiva alimentazione: spesso non si cucina un pasto completo, talvolta non cucina del tutto, mangia cibi pronti e ultraprocessati, non equilibrati, non nutrienti, né gratificanti; «anche il modo in cui si mangia incide su come si assimila il cibo» spiegano dalla Fondazione. Senza contare il valore emotivo del cibo, il ruolo che ha nell’attivare la memoria: lo vediamo costantemente quando leghiamo i nostri ricordi ai cibi del passato.
La qualità della loro dieta – fondamentale ingrediente di un invecchiamento sano e di una buona qualità di vita anche in età avanzata – non è stato l’unico vantaggio: la ricerca ha dimostrato un evidente miglioramento della loro salute mentale. La solitudine è uno dei mali che affligge le persone, soprattutto gli anziani, usciti dalla socialità lavorativa. Quando i legami affettivi o sociali sfumano, l’isolamento diventa un problema, spesso cliniche e studi medici sono spesso gli unici luoghi in cui conversare con qualcuno. «Se sostituiamo la visita dal medico con un pasto fuori casa, si aprono nuove vie di socializzazione e contribuiamo a tessere nuove reti per alleviare la solitudine» ha spiegato l’infermiera e ricercatrice Anna Ramírez in una tavola rotonda a cui hanno partecipato anche l’antropologo e presidente della Fondazione Ristoranti Sostenibili, Sergio Gil, e il segretario generale dell’Industria Alberghiera e della Ristorazione spagnola, Emilio Gallego. Questo alleggerirebbe anche il sistema sanitario.
La prospettiva di un pasto in compagnia rappresenta un’arma contro la solitudine e una medicina contro le patologie a essa correlabili. Il bar diventa dunque un presidio non solo di socialità ma anche di salute sociale, che incide sul benessere della comunità nel suo insieme, alleviando, tra le altre cose, il peso sulla sanità pubblica. C’è inoltre noto il ruolo della cosiddetta luce accesa nel contrastare la proliferazione di zone di marginalità e criminalità, lo sviluppo di aree di abbandono. I locali pubblici sono un punto di incontro, di scambio, un luogo di aggregazione e una agorà che genera coesione e partecipazione alla vita e alla salute della comunità.
Non è un mero esercizio di riflessione: i nostri paesi devono fare i conti con l’invecchiamento della popolazione, e con le sue conseguenze sulla sanità pubblica e sulla comunità. Occorre però costruire dei luoghi di socializzazione adatti a tutti, in modo da intercettare desideri e necessità di un gruppo composito di persone con esigenze, fragilità, abitudini, economie e stili di vita diversi, basti pensare a certe patologie che richiedono cibi adeguati, per composizione o anche solo per struttura. La silver economy rappresenta una scommessa anche in Italia, e anche per noi osterie e bar possono essere strumenti attivi nell’evoluzione delle comunità.
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