Non più di qualche settimana fa, le orecchiette preparate a mano dalle signore di Bari Vecchia sono finite persino sul New York Times, pietra dello scandalo di un dibattito scoppiato in merito alle modalità di preparazione e vendita della pasta fresca, in uso tra i vicoli del capoluogo pugliese. Querelle che ha valicato i confini nazionali, forse destando fin troppo clamore. Tanto rumore per nulla? Non stando all’ultima delibera della giunta regionale, sollecitata a pronunciarsi sul tema proprio per ristabilire l’ordine e ricondurre il caso diventato argomento di costume sul terreno che gli pertiene. All’ordine del giorno della seduta, dunque, l’approvazione delle “linee guida per l’immissione sul mercato degli alimenti prodotti in casa”, come sono le orecchiette di Bari Vecchia, realizzate a mano in casa, e vendute sull’uscio, in banchetti allestiti tra i vicoli (a prezzi molto onesti, ma senza rilasciare ricevuta fiscale).
“La preparazione e somministrazione degli alimenti presso locali utilizzati principalmente come abitazione privata è un’attività che sta diventando sempre più comune sia in Europa che in Italia. Sebbene la quantità di alimenti prodotti e somministrati attraverso questa nuova tipologia di imprese alimentari non sia elevata, la non corretta applicazione della normativa comunitaria e nazionale in materia di sicurezza alimentare può costituire un problema di salute pubblica non trascurabile”, si legge nella premessa della delibera. Che rimanda, poi, alla legislazione comunitaria, richiamando la normativa sull’igiene degli alimenti in attività riconducibili alle categorie di Home food e Home Restaurant. Il documento si concentra dunque esclusivamente sugli aspetti igienico-sanitari, con l’obiettivo di “valorizzare le tipicità enogastronomiche del territorio, salvaguardando le tradizioni culturali e culinarie domestiche della Puglia”, nel rispetto però delle disposizioni nazionali e comunitarie in materia di sicurezza alimentare. Non si affronta, invece, l’aspetto commerciale dell’attività (limiti di operatività, quantità produttive consentite), delegato alla competenza di altre amministrazioni.
Ma cosa stabiliscono le richiamate linee guida sancite da Bruxelles? “La preparazione con regolarità in ambito domestico di alimenti non destinati al consumo domestico privato ma alla immissione sul mercato con fini commerciali, ivi compresa la somministrazione presso la stessa abitazione, è considerata attività di impresa alimentare (Reg. CE 178/2002)”. Quindi, chi vuole operare in tal senso deve, innanzitutto, concedere piena disponibilità ai controlli da parte delle autorità competenti. E segnalare sul campanello dell’abitazione la presenza di un’attività di somministrazione o vendita alimentare. Inoltre, l’attività di microimpresa domestica dev’essere preventivamente notificata all’autorità sanitaria. Passando alla pratica, l’attività deve garantire le condizioni d’igiene dei locali, procedure conformi per la realizzazione e la conservazione del prodotto, etichettatura coerente (tipologia di prodotto, data di acquisto e scadenza). Ma, volendo essere pignoli, la normativa stabilisce anche che chi produce cibo destinato alla vendita abbia svolto in precedenza attività di formazione adeguata alla tipologia del prodotto; e che tutta la documentazione commerciale (acquisto materie prime, eventuali rapporti commerciali con altre attività di somministrazione, etc.) sia conservata e prodotta in caso di controlli.
Richiamato l’apparato di regole – segno dell’impegno dell’amministrazione regionale a esprimere voce in capitolo – il rigore dei controlli e l’applicazione delle norme restano comunque discrezionali, soggetti all’elasticità delle autorità competenti nel valutare rischi e dimensioni dell’impresa, come ribadisce il testo della disposizione. Ma certo l’interessamento puntuale della Regione Puglia non è casuale. Si preannunciano tempi duri per le signore delle orecchiette?
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