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"Non solo carne coltivata italiana, abbiamo anche la spigola. Non ci fermiamo". Parla il ceo della startup tricolore

Al contrario di quanto si possa pensare, soprattutto in quest’ultimo periodo, la ricerca sull’agricoltura cellulare non è una questione ad appannaggio di paesi stranieri, ma anche l’Italia vede la presenza di aziende avanguardiste che continuano a sperimentare. Ne abbiamo parlato con chi ha fondato la prima realtà nostrana

  • 07 Dicembre, 2023

La legge sullo stop alla carne coltivata approvata poche settimane fa dal governo Meloni ha cercato di mettere una pietra tombale su qualcosa che ancora materialmente non esiste e sul quale ricercatori di tutto il mondo stanno studiando già da molti anni. Era il 2013, infatti, quando Mark Post presentò al mondo il primo hamburger da agricoltura cellulare rivoluzionando così il modo in cui vediamo gli animali e il sostentamento proteico che sono in grado di offrirci. Se ultimamente il resto del mondo si sta muovendo attraverso ingenti finanziamenti a questo settore, provenienti a volte proprio da chi storicamente ha fatto dell’allevamento intensivo il suo core business, l’Italia, nel suo piccolo e con tutti i nuovi limiti normativi, non sta a guardare. Ne abbiamo parlato con Stefano Lattanzi ceo di Bruno Cell, realtà che da quasi 5 anni si sta facendo strada nella ricerca e sviluppo di carne coltivata.

Cos’è Bruno Cell e come nasce?

Tecnicamente siamo una start up innovativa che nasce nel 2019 su mio interesse insieme ai professori Biressi e Conti con cui collaboravo precedentemente a un altro progetto che inizialmente si chiamava Bruno Meat. Il nome vuole omaggiare Giordano Bruno e l’obiettivo è sempre stato quello di portare la carne coltivata in Italia facendo incontrare il mondo della ricerca accademica con quello dell’impresa. Per fare questo cerchiamo soluzioni tecnologiche innovative, anche brevettandole, per poter risolvere i problemi della carne coltivata nel percorso di scalabilità.

Stefano Lattanzi, Ceo di Bruno Cell

Stefano Lattanzi, Ceo di Bruno Cell

Come vi finanziate?

I fondi di Bruno Cell sono di origine privata, ma finalmente possiamo annunciare anche di aver vinto un importante bando europeo all’interno del progetto Farm To Fork, con un grande consorzio che nei prossimi anni farà studi di fattibilità per capire potenzialità o eventuali limiti della carne coltivata. Noi siamo parte di questo consorzio vincitore e nello specifico avremo la responsabilità delle linee cellulari.

Come vede il futuro della carne coltivata in Italia dopo l’approvazione della legge che ne impedisce produzione e vendita?

Noi ci siamo opposti a questa legge in tutte le sedi opportune, ma di fatto non veniamo attaccati dalla legge anche perché, come indicato dal codice ATECO, noi facciamo ricerca. Certo è che questa legge ci ha ostacolato nel percorso di finanziamento perché nessun investitore straniero va nella nazione più complicata dal punto di vista normativo. Su questo dovremo essere bravi il doppio degli altri per riuscire a conquistare investitori italiani e stranieri. In ogni caso ritengo che questa legge non sia in linea con il pensiero della maggior parte degli italiani che sono stati disinformati senza sapere come stanno realmente le cose.

Siete i primi a occuparvi di agricoltura cellulare in Italia?

Nell’ambito della carne coltivata Bruno Cell è stata la prima realtà a occuparsene. Quello di cui mi stupisco è che a distanza di anni siamo ancora gli unici. Però ci sono molte realtà economiche che si muovono intorno a questo mondo. Nonostante non ci sia una produzione c’è già un indotto legato per esempio ai macchinari, come Solaris, una società che produce bioreattori e rifornisce grandi realtà all’estero, o Cellex azienda romana, anche questa di bioreattori, partita nel settore biomedicale e che sta esplorando questa nuova realtà.

Come sono i vostri rapporti con le altre realtà all’estero? Vi confrontate?

Ci si confronta molto in quanto è un ambito fortemente avanguardista. Se uno guardasse solo al proprio ombelico non andrebbe lontano. Partecipo continuamente a conferenze internazionali dove presentiamo il nostro progetto e dove c’è sempre modo di interfacciarsi e confrontarsi con altre realtà che stanno seguendo questa strada.

State facendo sperimentazione sulla produzione di una carne specifica o su diversi animali?

Noi lavoriamo su linee cellulari di bovino, ovino e suino, ma c’è un professore dell’Università della Tuscia che collabora con noi che è detentore dei diritti di una linea cellulare di spigola che all’estero già viene molto apprezzata in quanto sembra funzioni molto bene.

Ha mai assaggiato carne di vostra produzione?

Ancora no.

Le è capitato di andare in paesi dove già si produce, come Singapore o Israele, e assaggiarla?

Non sono mai andato, ma sono molto curioso. Avevo provato a partecipare a un tasting a Francoforte, ma poi si è rivelata una cosa finta in quanto si assisteva allo show cooking di questa carne ma senza poterla assaggiare, credo per problemi normativi.

Quali sono gli ostacoli da superare per ottimizzare la produzione di carne coltivata?

Quello principale è il costo del medium di coltura, ovvero del liquido in grado di fornire nutrienti e fattori di crescita per le cellule. Se si riuscisse ad abbattere il costo di questo liquido, calerebbe di conseguenza il costo della carne coltivata.

Secondo lei quando arriveremo a mangiare carne coltivata in Europa?

Ritengo che in una decina di anni avremo un certo tipo di produzione, magari di nicchia o ibrido, ovvero prodotti che si intrecciano con quelli a base vegetale (come quelli venduti a Singapore, ndr). In ogni caso credo che in questo arco di tempo si avrà uno sviluppo molto importante.

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