Il web, il tuo inferno. Nella tragedia di Giovanna Pedretti, ristoratrice lodigiana della pizzeria Le Vignole, molte cose andranno spiegate dalle indagini. Ma una cosa è certa: tutto comincia con quel messaggio di Giovanna, in cui racconta al mondo che un cliente del suo locale ha scritto una recensione orrendamente omofoba, e che lei lo ha allontanato. E finisce oggi, quando il corpo senza vita della donna viene ripescato nel fiume Lambro. In mezzo, i giorni in cui la denuncia di Giovanna ha prima sollevato sconcerto e indignazione: e in cui Giovanna poi è finita a sua volta sotto accusa, non creduta, quasi smentita, insultata.
Dietro è difficile non vedere i meccanismi diabolici della comunicazione sui social, dove tutto diventa virale senza verifiche, anche nel settore dove Giovanna lavorava, al quale ha dedicato la sua vita. Fino a quel post che non potrà mai più spiegare.
Dopo gli applausi e la solidarietà, a Pedretti era toccato venire messa in discussione: quando il food blogger Lorenzo Biagiarelli aveva analizzato pubblicamente il suo post di denuncia, arrivando alla conclusione inattesa. La recensione su Google in cui l’innominato avventore si lamentava per la presenza di una tavolata gay (e di un giovane disabile) non sarebbe autentico.
“Il font della recensione è diverso da quello usato da Google”, “sia la recensione che la risposta presentano simili errori di ortografia”, “sembrano scritte dalla stessa mano”. Aggiunge Biagiarelli: “Lo stesso testo della recensione è pericolosamente simile a un’altra che a suo tempo destò le stesse reazioni”.
In pratica Biagiarelli accusa Giovanna di essersi inventata tutto. Le telefona, lei in qualche modo si spiega. Ma arrivano al ristorante le telecamere della Rai, e di nuovo i dubbi sulla autenticità della sua denuncia vengono a galla. Nel giro di una manciata di giorni, Giovanna passa dal ruolo di simbolo a quello di bugiarda. Ma perché dovrebbe essersi inventata tutto? La sua tranquilla, onesta vita di ristoratrice non aveva certo bisogno di pubblicità a buon mercato. Non era una cacciatore di like, non le serviva diventare famosa. La sua vita era il suo locale.
Eppure, Giovanna scrive quel post. Forse in buona fede, forse non immaginando la potenza dell’attenzione che avrebbe portato addosso. E ancor meno immaginando la violenza dell’ondata di ritorno, quando il suo racconto viene messo in discussione e parte la shitstorm, la tempesta di insulti, implacabile come sperticati erano stati gli applausi Non era fatta per reggere tutto questo, Giovanna. E forse la sua morte dovrebbe essere una lezione per tutti: per quelli che le hanno creduto forse troppo in fretta, per quelli che l’hanno accusata e insultata sui social senza pensare che dietro quel post c’era una donna.
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