Eterno Visionario è il Pirandello di Michele Placido, che uscirà nelle sale il prossimo novembre. L’attore e regista con l’autore siciliano condivide più di una somiglianza, a partire dalla depressione, che curava a suon di pasta al forno e polpette. Lo racconta in un’intervista al Corriere della Sera, dove confessa il suo amore per Ornella Muti, che ha risposto con una bella sberla al suo tentativo di baciarla, e poi quello per la sua terra, la Puglia, di cui conserva tanti ricordi, soprattutto olfattivi. «Ne ho sempre sofferto. Come l’ho curata? Andando il sabato e la domenica in analisi a casa di mia madre. Preparava la pasta al forno e le polpette, e tiravamo fuori tutto, ogni confessione. Da quei pranzi uscivo ripulito».
Nato ad Ascoli Satriano, in provincia di Foggia, Placido ha deciso di raccontare la famiglia di Pirandello ora che è arrivato all’«età giusta». Un racconto intimo «scritto da un giornalista che lavorò al Corriere della Sera, Matteo Collura, che è di Agrigento come Pirandello, ha l’età mia e l’ho fatto debuttare come sceneggiatore». In lui, si ritrova soprattutto nella depressione, di cui ha sempre sofferto. La cura, però, un tempo c’era eccome e per l’attore non era la terapia ma il pranzo a casa di mamma: «Preparava la pasta al forno e le polpette, e tiravamo fuori tutto, ogni confessione». Accadeva il sabato e la domenica, giorni in cui andava in «analisi»: «Da quei pranzi uscivo pulito».
Oggi Michele Placido vive con una donna più giovane di lui di 38 anni, «mi ha prolungato la giovinezza», conosciuta a Parabita, nel Leccese. «Al matrimonio a San Nicola Cisternino Al Bano si mise a cantare. L’attore celebre pugliese che sposa la ragazza salentina». È sempre lei la protagonista di Eterno Visionario, in cui interpreta Marta Abba, musa di Pirandello: «Mi sento un po’ come Flaubert: Madame Bovary c’est moi. Tra Pirandello e Marta Abba c’erano 33 anni di differenza, praticamente come noi. È l’autore che più mi ha segnato».
Prima di tutto, però, c’è stato Pummarò, il suo esordio a 44 anni, film del 1990 che racconta il viaggio di Kwaku, ragazzo ghanese alla ricerca del fratello emigrato in Italia, dove lavora come raccoglitore di pomodori nel Sud. «Gli emigranti che raccolgono pomodori sfruttati dal caporalato. Lo girai io perché nessuno voleva farlo» racconta Placido «se pensiamo a quello che è successo a quel povero indiano, sono stato profetico».
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