Se non lavori tanto non lavori abbastanza. Anche nel 2023, decenni dopo le lotte per i diritti dei lavoratori, le regole di ingaggio di certi lavori non cambiano. La ristorazione è uno di questi, non il solo, non l’unico. Ma quello in cui quasi tutto è alla luce del sole, nelle osterie come nel fine dining, dove in più serve costante aggiornamento e una certa dose di creatività che rubano tempo anche fuori dal lavoro. Una specie di vocazione, come il sacerdozio o l’esercito, “istituzioni avide” le chiamava il sociologo Lewis Coser, che escludono dalla società chi ne fa parte sostituendo il proprio sistema di rapporti a quello normale.
Il senso di appartenenza a un micromondo con regole e miti propri contribuisce a formare una comunità parallela in cui i partecipanti sono spesso soggetti attivi e consenzienti, come in una relazione tossica che pretende eroismi quotidiani, con la retorica del sacrificio protagonista di racconti epici con la baldanza stanca e soddisfatta dell’adrenalina che tarda a scemare. Fedeli alla giacca bianca, con il mantra della disciplina e dell’organizzazione militare, gli allievi di Escoffier dedicano al lavoro pensieri, corpo, anima. Un lavoro usurante, che non ammette errori, ma tagli, ferite, bruciature e una grande dose di stress.
Alcuni ristoranti corrono ai ripari con azioni volte a migliorare la quotidianità dei dipendenti, dallo psicologo nel team del Celler de Can Roca, alle chiusure stagionali di Mugaritz e Uliassi, dal tetris dei turni per dare giorni di riposo consecutivi, ai rigidi orari di servizio, come al Reale di Castel di Sangro dove si cena alle 19.30.
Ma c’è anche chi, come Nobelhart and Schmutzig di Berlino, ha ritoccato i prezzi alzandoli nel fine settimana, per aumentare il personale, e redistribuito alcuni compiti per liberare risorse per i momenti più caldi, mentre il nuovo Vyn in Svezia – aperto 4 giorni a settimana – ha eliminato quasi del tutto dai piatti le decorazioni non necessarie, che richiedono un cuoco occupato per tutto il tempo a posizionare petali o minuscoli germogli.
È indispensabile: per far quadrare i conti un ristorante deve fare un tot di servizi per un tot di coperti per cui serve un tot di dipendenti. E destinare una risorsa per svolgere un lavoro alienante e ripetitivo è una scelta cui si può decidere di rinunciare. Può servire a far quadrare il bilancio di aziende con margini esigui, in cui il costo del personale incide in maniera rilevante. Come lamentava qualche mese fa Francesco Sanapo, di Ditta Artigianale, per lo stesso fatturato un’impresa della ristorazione necessita di quasi quattro volte i dipendenti di altre imprese: «aziende che fatturano 1 milione di euro con 5 collaboratori, spendono circa 180mila euro, noi ne spendiamo quasi 700mila». Pensiamoci la prossima volta che ci lamentiamo di non poter prenotare all’ora che ci pare.
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