Per tutti si chiama latte di soia, ma tecnicamente – dall’estate 2017 – la Corte di Giustizia Europea ha bandito questo termine, decretando l’obbligo della dicitura “bevanda vegetale”, che si tratti di soia, riso, avena o cocco. Quella di soia resta una delle alternative vegetali più popolari e diffuse in tanti Paesi, ma non mancano le controindicazioni.
Ma prima di tutto: cos’è il latte di soia? Si tratta di una bevanda originaria della Cina, dove la soia (un legume) viene utilizzata fin dall’antichità in varie ricette: prima testimonianza di quella del latte risale alla Dinastia Hannel del 164 a.C., un esperimento che si diffuse ben presto anche in Giappone e Corea.
Stiamo parlando di un’emulsione di grassi, acqua e proteine, contenente all’incirca il 3% di proteine, il 2% di grassi e carboidrati e lo 0,3% di minerali. Una bevanda ricca di proteine, vitamina B2 e fosforo, con poche calorie e un basso indice glicemico.
Per la precisione, dal punto di vista calorico parliamo – per 100 grammi di prodotto – di 3,30 Kcal da carboidrati, 17,10 Kcal da grassi e 11,60 Kcal da proteine. Per un valore totale di circa 32 Kcal: una bevanda piuttosto ipocalorica, se paragonata a quella di riso (57,5 Kcal) o quella di avena (47 Kcal).
Non mancano, però, le controindicazioni. Anzi, per molti medici e nutrizionisti il latte di soia è sconsigliato nella dieta giornaliera (specialmente quella dei più piccoli). La causa principale di queste avvertenze è la presenza di fitoestrogeni, ormoni di tipo vegetale che potrebbero intaccare l’equilibrio della tiroide. Fra i vari studi al riguardo, l’aumento della proliferazione delle cellule epiteliali del seno, con conseguente aumento della possibilità di contrarre un tumore.
È sconsigliato soprattutto per donne in età fertile, in gravidanza e uomini di qualsiasi età, poiché i fitoestrogeni possono diminuire il numero di spermatozoi, abbassando la fertilità maschile. A giovarne – solo attraverso un consumo sporadico di circa due volte a settimana – potrebbero essere le donne in menopausa: gli ormoni, infatti, possono alleviare un po’ i fastidiosi sintomi legati a questa fase. C’è poi il problema degli isoflavoni (sostanze vegetali appartenenti alla categoria dei fitoestrogeni): questi, secondo diversi studi, aumenterebbero l’ormone tiroestimolante (TSH), che col tempo può portare a un malfunzionamento della tiroide.
Il latte di soia resta comunque una valida alternativa per chi soffre di intolleranza al lattosio (ve ne avevamo parlato qui), ma anche per chi è affetto da allergia alle proteine del latte, e poi per chiunque scelga di seguire una dieta vegana. A patto che il consumo sia moderato e, soprattutto, previo consiglio medico.
Per chi volesse utilizzarlo, prepararlo in casa è molto semplice: basta ammollare i semi di soia per almeno 8 ore, aggiungere acqua e frullare con un mixer elettrico. Si porta poi a ebollizione il liquido ottenuto con i residui solidi, ricavando così una bevanda densa e corposa. Per le dosi, ci vogliono circa 800 ml di acqua per 100 grammi di soia.
a cura di Michela Becchi
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