L’agave è ed è stata vitale per le popolazioni indigene dell’Ecuador che con questa pianta si approvvigionavano, si lavavano e addirittura si vestivano. Le radici schiacciate di alcune varietà venivano utilizzate per lavarsi i capelli o, una volta colorate con la cocciniglia, per comporre dei tessuti, il fusto legnoso di altre varietà serviva e serve tutt’ora per costruire strumenti musicali e i boccioli dei fiori messi in salamoia in una miscela di aceto bianco e aceto d’agave, diventano degli ottimi e commestibili “capperi d’agave”. Una pianta della quale non si butta via nulla, a maggior ragione la sua linfa, che in seguito a una doppia distillazione si trasforma in miske. Una bevanda indigena ancestrale, come racconta El País.
Denigrata come l’acqua degli indios o l’acqua dei poveri, la sua importanza nella cultura ecuadoriana ha cominciato a svanire, così come il mestiere del mishquero, ovvero la persona che si occupa dell’estrazione del nettare (chawarmishki) intercettando il punto esatto in cui è meglio tagliare la piña (il cuore dell’agave) e con quale angolazione. Finché alcuni nostalgici hanno cominciato a diffondere il verbo, uno su tutti Diego Mora il fondatore di Casa Agave a Quito. Distilleria, museo e spazio turistico, oggi il principale centro propulsore di miske in Ecuador, con in parte il merito di aver fatto ottenere a questo distillato la denominazione di origine. “Qui in Ecuador – racconta Mora a El País – le piante hanno una luce perpendicolare per 365 giorni all’anno, il che si traduce in zuccheri che contribuiranno alla sua distillazione”.
Innanzitutto la pianta deve avere almeno dieci anni, dopodiché la si taglia solo al centro per raccogliere il liquido interno. Ben lavorata e ben trattata, fornirà dieci litri di succo al giorno per quaranta giorni; quattrocento litri per pianta raccolti dalle mishqueras: se un tempo i raccoglitori di chawarmishki erano uomini, oggi sono quasi esclusivamente donne. Poi il succo viene fermentato spontaneamente, quindi distillato due volte e, nel caso del miske reposado, viene fatto invecchiare all’interno di botti di rovere. Et voilà il miske, il distillato che si candida a diventare famoso come il tequila. Le carte in regola le ha tutte.
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