L’industria alimentare in Italia cresce a ritmo triplo rispetto al Pil del Paese. Considerato il quadro generale – le acque in cui naviga il nostro prodotto interno lordo non lasciano ancora tirare un sospiro di sollievo – non è certo il caso di brindare. Ma il dato emerso dall’indagine del Food Industry Monitor (osservatorio promosso dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e il gruppo bancario Ceresio Investors, giunto alla quinta edizione) merita di essere analizzato. Perché evidenzia, in relazione al biennio 2019-2020, previsioni estremamente positive per il comparto dell’agroalimentare, spinto da un mix di fattori, specifici dell’industria di settore, che l’analisi non manca di sottolineare: artigianalità, legame con il territorio, innovazione dei processi produttivi. Il dato è stato raccolto tra 823 aziende italiane del food, non solo imprese a gestione familiare, che costituiscono la base più ampia del comparto, ma anche cooperative e controllate dall’estero (ma al 98% la produzione è fatta interamente in Italia). Il fatturato aggregato che ne risulta è pari a 63 miliardi di euro, distribuiti tra 15 comparti dell’industria alimentare.
Con filiere decisamente incoraggianti per redditività e solidità finanziaria, a cominciare dal caffè. Seguono il food equipment, i distillati, le farine. Poi, con un distacco maggiore, vino, pasta, surgelati, packaging e acqua, riuniti in un gruppo che mostra ancora criticità da tenere sotto controllo. Mentre più agitato è il percorso di salumi, olio e latte.
Per tutti i comparti vale però la necessità di implementare il canale dell’e-commerce: solo il 30% delle aziende prese in esame hanno investito sul canale delle vendite online. Fattore decisamente positivo, invece, è il fatturato portato dall’export: oltre il 30% delle realtà analizzate realizza il 50% dei propri ricavi all’estero (e si prevede un incremento delle esportazioni nel prossimo biennio). Dunque, se da un lato premia la capacità di rinnovare pratiche artigianali supportate da nuovi strumenti tecnologici, dall’altro è proprio la propensione all’internazionalità a fare dell’industria alimentare italiana un settore strategico per la crescita economica del Paese. Ricordiamo, peraltro, che il trend positivo del comparto perdura da diversi anni, almeno dal 2012, quando l’indagine del Food Industry Monitor ha iniziato a restituire i primi risultati.
E sempre per merito del giusto mix tra “know-how di prodotto e di processo unici che permettono di aggiungere valore alle materie prime di qualità attraverso i processi produttivi, la comunicazione, il brand e la distribuzione”. Non a caso, le aziende dell’agroalimentare che negli ultimi 10 anni hanno puntato sull’artigianalità sono cresciute più della media delle realtà che non hanno fatto la stessa scelta, “perché l’artigianalità aiuta a sviluppare prodotti originali, venduti poi con un premium price”, sottolinea Carmine Garzia, coordinatore scientifico dell’Osservatorio. La percentuale che riassume queste considerazioni è +3,1%, valore pari alla crescita del Pil di settore, che supera di oltre tre volte la crescita del Pil italiano.
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