Non c’è pace per l’Emilia Romagna, una delle aree agricole più importanti e produttive (anche in termini di reddito) del Paese. Se già nella scorsa primavera si era registrato un tragico crollo nella produzione di pesche, percoche e nettarine, all’indomani delle giornate di grandine delle ore scorse il calo di produzione si annuncia drammatico e in controtendenza rispetto a una produzione europea (con Spagna e Francia) che invece è in ascesa rispetto al 2022 con un +145 (3.379.000 di tonnellate).
In Italia la situazione – dicevamo – era già compromessa per le alluvioni e le grandinate primaverili e la previsione si attestava intorno a una riduzione del 4% nella produzione di pesche, del 10% nelle percoche e del 12% nelle nettarine,rispetto al 2022. In Emilia Romagna, invece, dove la situazione climatica è stata molto più avversa, il calo di produzione era già stimato, nel complesso, in calo del 42%: situazione legata anche a una diminuzione di superfici coltivate a pesche specialmente nel nord della regione. Nel complesso, l’Italia vede una diminuzione di circa il 10% di pesche, percoche e nettarine rispetto al 2022, ma un calo produttivo che si attesta al 30% se paragonato al livello degli ultimi 5 anni.
La speranza, sottolinea Ismea nel suo rapporto sulla produzione di frutta in Italia, è che le aree sottratte alla coltivazione delle pesche in Emilia Romagna possa essere coltivata con altre essenze magari più redditizie e più flessibili anche rispetto agli stravolgimenti climatici. Scrive, però, il Sole24Ore in una sua analisi del comparto, che la cattiva performance italiana è anche legata al fatto che il sistema produttivo è estremamente frammentato e non in grado di reggere l’impatto della concorrenza in particolare spagnola. Servirebbe più attenzione? Magari – ma questo purtroppo alla fine vale un po’ per tutta la nostra agricoltura – ci vorrebbe una strategia politica che punti al superamento di queste debolezze anche perché questo delle pesche è un comparto che si piazza al terzo posto nei consumi (12%), dopo mele e banane e ciò nonostante la disponibilità di prodotto sia limitata a pochi mesi l’anno, come rilevano appunto i dati citati forniti dal Centro Servizi Ortofrutticoli (Cso) e dell’ultimo report di Ismea sul settore.
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