Fra i messaggi salutistici più diffusi da medici ed esperti del settore – e più recepiti dal pubblico generale – vi è quello che la frittura fa male. Per due fondamentali ragioni: ingrassa e fa male al fegato.
Ma è davvero così? In verità, la frittura, se fatta a dovere, è un metodo di cottura che può e deve far parte di una dieta sana; preserva infatti le proprietà nutrizionali dell’alimento, ha un contenuto moderato di calorie, possiede un alto potere saziante, è molto gratificante e in ultimo migliora il funzionamento del fegato stimolandone le funzioni depurative e le capacità metaboliche.
Una frittura ben eseguita è piuttosto leggera: la crosta che si forma in superficie, infatti, impedisce la penetrazione dell’olio; il passaggio su carta paglia assorbente a fine cottura, inoltre, ne eliminerà l’eccesso. Nella frittura domestica, l’alimento assorbe in media una quantità di grassi non superiore al 10% del suo peso iniziale, grassi che, se da una parte apportano calorie, dall’altra tengono a bada la produzione di insulina, l’ormone che trasforma l’eccesso di calorie in grassi. Paradossalmente dunque, una patata lessa dà al corpo un segnale di accumulare grassi più forte di quello di una patata fritta, nonostante quest’ultima contenga più calorie.
Quando la frittura è fatta con una pastella di sola acqua e farina (senza l’aggiunta di uovo) risulta del tutto priva di colesterolo. In realtà non solo la frittura non apporta colesterolo ma può addirittura contribuire a farlo diminuire, andando a stimolare l’unica via metabolica che possediamo per eliminarlo: ovvero la produzione e secrezione di bile. I sali biliari che la compongono, infatti, sono prodotti a partire dal colesterolo; quando mangiamo una frittura il fegato riceve un potente stimolo a secernere bile nell’intestino; di questa, una parte verrà riassorbita, e un’altra sarà eliminata con le feci, contribuendo così alla rimozione di una quota di colesterolo.
Felafel, foto di Anton/unsplash. In basso, un gioco di frittura realizzato da Ettore Bocchia per una copertina del mensile Gambero Rosso dedicata al fritto
L’olio cotto offre un potente stimolo al fegato; se il fegato è in grado di sopportare la provocazione, uscirà rafforzato dal confronto. Sappiamo che per ottenere muscoli forti, abbiamo bisogno di farli lavorare con carichi pesanti; lo stesso vale per il cuore: un allenamento intensivo risulterà in un’aumentata capacità di quest’organo di svolgere il suo lavoro. Il fegato non è diverso. La frittura fornisce all’epatocita un importante stimolo funzionale che, nel tempo, ne migliora le prestazioni. Quando mangiamo la frittura, inoltre, diamo al fegato la possibilità di eliminare attraverso la bile le tossine cosiddette “liposolubili”, assunte dall’ambiente o prodotte dai nostri metabolismi, che, sciogliendosi solo nei grassi, non potremmo mai espellere attraverso le urine o il sudore.
Per capire se il fritto che mangiamo è potenzialmente tossico dobbiamo considerare due cose essenziali: il tipo di olio che usiamo per cuocere e la modalità di cottura. L’olio extra vergine di oliva, il miglior olio per friggere, è ottenuto dalla spremitura meccanica di un frutto, l’oliva, senza l’aggiunta di calore o sostanze chimiche, ed è pertanto ricchissimo in antiossidanti quali la vitamina E ed i polifenoli, in grado di contrastare la formazione di sostanze pericolose durante la cottura ad alte temperature. Gli oli di semi usati per friggere, invece, sono estratti con solventi chimici; in questo modo i preziosi antiossidanti presenti nei semi vanno perduti e i delicati acidi grassi in essi contenuti risultano danneggiati prima ancora che l’olio sia sottoposto a calore. Questi oli, inoltre, con l’eccezione dell’olio di semi di arachidi, essendo ricchi in acidi grassi poli-insaturi, risultano meno resistenti alle alte temperature, e dunque meno adatti per friggere, rispetto all’olio di oliva.
Essendo una modalità di cottura rapida, i preziosi nutrienti presenti nell’alimento non vengono alterati dal calore e risultano facilmente assimilabili. La cottura al forno del salmone, ad esempio, distrugge i suoi preziosi e delicati acidi grassi omega-3, mentre la frittura li mantiene perfettamente integri. Addirittura, se utilizziamo per friggere l’olio extra vergine d’oliva, la vitamina E presente nell’olio migrerà da questo nella crosta che si forma sulla superficie dell’alimento, che ne risulterà dunque arricchito. Nel contempo le vitamine idrosolubili (ovvero quelle che si sciolgono in acqua), come ad esempio la vitamina C o le vitamine del gruppo B presenti nel cibo che friggiamo, saranno trattenute all’interno della crosta e protette dalla dispersione e dalla degradazione.
C’è poco da girarci intorno: la frittura è buona. E quando mangiamo qualcosa di buono, siamo soddisfatti e meno propensi a mangiare altro. Quanti di noi nel nome di una cucina sana e leggera consumano cibi senza sapore per ritrovarsi poi a spizzicare pane, crackers, dolci, sfizi vari alla ricerca del gusto perduto? Quante calorie in più –non preventivate- aggiungiamo così al pasto, spesso proprio quelle calorie, fornite da zuccheri e carboidrati, che sono maggiormente in grado di segnalare la produzione di insulina, ovvero l’ormone del deposito? Non è meglio goderci subito le 150-200 kcal in più della frittura, ed essere soddisfatti fino al pasto successivo?
Per aumentare la digeribilità della frittura è importante abbinarla bene: accompagniamola ad una verdura cruda e ad un frutto (meglio ancora se consumato ad inizio pasto); i vegetali crudi infatti, forniscono acqua di vegetazione, enzimi, vitamine e antiossidanti in grado di aiutare il fegato a compiere l’extra-lavoro; inoltre, la ricchezza in acqua di questi alimenti aiuta i reni ad eliminare le tossine idrosolubili che si mobilizzano durante l’attivazione epatica.
Possiamo goderne 1-2 volte a settimana; questo vale per una frittura fatta in casa; le fritture della ristorazione collettiva realizzate con oli di semi, cotti per diverse ore vanno invece evitate. Ricordiamo che nessuna raccomandazione può essere valida per tutti: la maggior parte di noi si giova dello stimolo della frittura; qualcuno però potrebbe non essere in grado di sopportarne la sollecitazione; in tal caso dopo averla consumata ci si sentirà appesantiti e rallentati nelle capacità digestive; un segnale che quel tipo di stimolo non era appropriato in quel momento.
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