Di certo non è una realtà rasserenante quella messa in evidenza dalla giornalista Giulia Innocenzi nel suo docufilm Food for profit, ma questo feroce atto di denuncia sui maltrattamenti subiti dagli animali negli allevamenti intensivi sparsi in tutta Europa, Italia inclusa, non è nemmeno, almeno secondo la professionista «una criminalizzazione delle produzioni animali in generale» come ritenuto, invece, dal Consigliere leghista della Regione Emilia Romagna, Fabio Rainieri.
Il politico ha infatti chiesto agli autori del documentario, ovvero Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi, di andare a confrontarsi in Regione su questo tema alquanto divisivo, allo scopo, spiega in un post su Facebook, di fermare, appunto «la criminalizzazione generalizzata delle produzioni animali». Secondo il consigliere, infatti, «in Italia abbiamo regole anche più severe di quelle europee per gli allevamenti» e pur non negando «che ci sia qualcuno che le infrange, come in qualunque altro settore», non è giusto far passare l’intero mondo delle produzioni animali come dei massacratori. Cosa che, onestamente, non viene fatta dal documentario che si concentra, infatti, sugli allevamenti intensivi.
Rainieri, nel suo post su Facebook, ci tiene a sottolineare la realtà specifica dell’Emilia-Romagna dove, a suo dire, c’è una grande consapevolezza dell’importanza del benessere animale da parte degli allevatori: «Un animale maltrattato è un animale che non dà qualità e in molti casi nemmeno quantità – scrive – e le nostre produzioni sono quelle che eccellono appunto in qualità. Le restrizioni per l’agricoltura contro le quali giustamente si stanno ribellando gli agricoltori di tutta Europa, sono anche figlie di messaggi denigratori come quello che esce da un documentario scandalistico quale è “Food for profit”». Inoltre, secondo il consigliere, in Italia e in Emilia-Romagna «difficilmente gli allevamenti raggiungono grandi dimensioni e relative capacità economiche tipiche delle multinazionali, quelle più interessate a manipolazioni genetiche o altre operazioni».
«Il nostro documentario non criminalizza nessuno, non è questo l’obiettivo – replica Giulia Innocenzi sempre da Facebook – Noi abbiamo solo voluto mostrare quello che gli infiltrati negli allevamenti e a Bruxelles sono riusciti a cogliere con le loro mini telecamere nascoste. Niente di più. Ma davanti alla proposta di Rainieri, anche se nessuno ci ha ancora chiamati, cogliamo al volo le sue parole per invitarlo noi alla proiezione che abbiamo già organizzato in Consiglio Regionale dell’Emilia-Romagna il 9 aprile alle 17, grazie alla consigliera Silvia Zamboni. E nell’occasione faremo anche una proposta: fermare l’apertura di nuovi allevamenti intensivi in Emilia Romagna. Ne potremo senz’altro parlare insieme».
Oltre a denunciare i maltrattamenti subiti dagli animali negli allevamenti intensivi in Europa, va detto che Food for Profit ha aperto anche la porta sui rapporti non troppo chiari tra alcuni deputati al Parlamento Ue e le lobby della carne, aspetto altrettanto poco etico quanto la sofferenza subita dagli animali. Come ha spiegato Innocenzi in un’intervista rilasciata proprio al Gambero Rosso, «l’obiettivo era di andare oltre alle immagini viste finora, smascherando gli intrecci affaristici tra le potenti lobby e gli eurodeputati pagati da noi, mettendo in evidenza che non si tratta solo di mele marce, ma di un sistema ben collaudato che è diventato prassi nel processo decisionale delle politiche agricole europee».
Basti pensare alla frase pronunciata nel docu dall’assistente della deputata Clara Aguilera «chi si mette contro il prosciutto perde in partenza» per capire già molto di quello che succede nel comparto: una frase che, aggiunge ancora la giornalista d’inchiesta «si presta a due interpretazioni: da una parte che tutti amano il prosciutto e chi se ne frega se a qualcuno non sta bene. Dall’altra, che dietro quel prosciutto c’è un giro di soldi che fa perdere in partenza chiunque si metta di traverso al sistema».
Nonostante tutto questo, tuttavia, al momento il cambiamento sembra essere ancora molto lontano visto che l’unica alternativa sostenibile all’allevamento intensivo, anche alla luce dell’aumento dei consumi di carne di Cina e India è, conclude Innocenzi, «passare a un’alimentazione completamente vegetale». Solo così potremo farcela. Ma forse i tempi non sono ancora maturi.
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