È un dibattito infinito, o almeno così sembrava. Il Tribunale penale di Roma ha scacciato l’accusa di maltrattamento sugli animali, chiudendo il processo del ristoratore denunciato nel 2019 per aver tenuto le chele legate agli astici vivi. Una tortura purtroppo molto comune nel mondo della cucina, ma per la legge non sufficientemente grave.
Lo scorso settembre a far chiacchierare gli animalisti era stata una turista svizzera in vacanza in Sardegna, che in uno dei più rinomati ristoranti di Golfo Aranci aveva speso 200 euro per comprare l’aragosta viva e poi liberarla in mare (un gesto dalle nobili intenzioni, anche se viene spontaneo domandarsi se l’animale cresciuto in cattività sia riuscito effettivamente a sopravvivere). Prima ancora, era stato un ristoratore di Campi Bisenzio a essere condannata in primo grado per maltrattamento degli animali (sentenza numero 30177 del 16 giugno 2017) perché conservava astici e granchi vivi sul ghiaccio, dentro ai frigoriferi, con chele legate.
Il 49enne del ristorante nel centro storico di Roma era finito sotto accusa nel 2019 per lo stesso motivo, quando una guardia zoofila l’aveva denunciato. “Vanno tenuti in acquari, separati per evitare che si pizzichino”, aveva detto la guardia. Le battaglie animaliste al riguardo sono state moltissime: dal 2007 l’Istituto zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia Romagna sostiene che la legatura prolungata determina atrofia muscolare e inibizione dell’alimentazione nell’animale. L’unico modo giusto per conservarli, secondo l’ente, è in un acquario con volume superiore a 2 litri di acqua per centimetro della somma delle lunghezze degli animali ospitati. Con ricambio, depurazione e ossigenazione dell’acqua frequenti.
Eppure, questa atroce pratica del ghiaccio e le chele legate continua, secondo molti ristoranti perché è l’unico modo per evitare che gli animali si feriscano (basterebbe usare vasche distinte, ma perché farlo quando si può risparmiare a discapito di chi non può difendersi?), o che feriscano i cuochi (un animale tolto dal suo ambiente naturale, messo in vasca, legato, preso di forza per essere bollito vivo, potrebbe avere qualche buon motivo per difendersi con una pizzicata). A difendere il titolare dell’attività capitolina, l’avvocato Marco Mariscoli, che dopo diverse udienze ha avuto la meglio. Al momento, tutto questo non basta per parlare di maltrattamento.
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