Diciamolo subito. Sto con Anthony Genovese. Senza ombra di dubbio. E non perché – al di là di ogni considerazione o di ogni opinione sulla sua cucina – ritenga che il suo Pagliaccio meriti davvero una Terza stella Michelin. È una valutazione che evidentemente non ci compete in alcun modo (il Gambero la sua scelta l’ha già fatta nero su bianco assegnandogli Tre Forchette). Ma perché penso che sia corretto, persino igienico, che qualcuno nel mondo dell’alta cucina, con compostezza e precisione, abbia trovato la forza per uscire allo scoperto. E abbia deciso di parlare, di esprimere una propria insoddisfazione, un proprio punto di vista nei confronti di un giudizio ricevuto e non condiviso.
Dico questo, perché sono convinto che che esponendosi, dicendo con garbo e sensibilità che cosa pensa della valutazione appena ricevuta dalla guida più riconosciuta a livello internazionale, lo chef abbia compiuto un atto coraggioso (la misura di tale coraggio è data dalla quantità di suoi colleghi che pensano probabilmente cose ben peggiori, ma preferiscono non esprimerle, si sa mai) ma contemporaneamente abbia accettato in maniera composta le regole del gioco di cui fa parte. Un esercizio dignitoso e costruttivo. Un modo corretto di rapportarsi a quel sistema di potere – che cos’altro è quello delle guide? – che altrimenti continuerebbe a operare in maniera incontrollata. E, si sa, potere e controllo sono da sempre un binomio indissolubile e salvifico.
Nel fare questo Genovese ha di fatto celebrato il ruolo e la funzione della critica. Ruolo e funzione spesso equivocati, temuti, derisi, sofferti, ma quasi mai rispettati. E non è un caso che nell’intervista che abbiamo pubblicato, partendo da una considerazione tutto sommato banale e secondaria per il dibattito (Terza stella al Pagliaccio sì o no) abbiamo dato l’opportunità ai nostri lettori di andare ben oltre lo sfogo comprensibile di un grande professionista che legittimamente rivendica i suoi meriti, e di entrare nel merito delle scelte e delle questioni allargando il discorso sino a coinvolgere le responsabilità dell’amministrazione e della politica.
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La più autorevole guida del settore dell’enologia italiana giunge quest’anno alla sua 37sima edizione. Vini d’Italia è il risultato del lavoro di uno straordinario gruppo di degustatori, oltre sessanta, che hanno percorso il Paese in lungo e in largo per selezionare solo i migliori: oltre 25.000 vini recensiti prodotti da 2647 cantine. Indirizzi e contatti, ma anche dimensioni aziendali (ettari vitati e bottiglie prodotte), tipo di viticoltura (convenzionale, biologica, e biodinamica o naturale), informazioni per visitare e acquistare direttamente in azienda, sono solo alcune delle indicazioni che s’intrecciano con le storie dei territori, dei vini, degli stili e dei vignaioli. Ogni etichetta è corredata dall’indicazione del prezzo medio in enoteca, delle fasce di prezzo, e da un giudizio qualitativo che si basa sull’ormai famoso sistema iconografico del Gambero Rosso: da uno fino agli ambiti Tre Bicchieri, simbolo di eccellenza della produzione enologica. che quest’anno sono 498.
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