Esempio significativo di quella continua contaminazione che poi è la storia, anche quella gastronomica, l’Anello di Monaco è il dolce per eccellenza del Natale mantovano. Non è certo un panettone e nemmeno un pandoro, ma un lievitato appunto, come scopriremo, dalle caratteristiche sue proprie. D’ispirazione mitteleuropea s’inserisce con successo nel già ricco tessuto gastronomico di una città plasmata, come questa, dalla regia di una corte importante come quella dei Gonzaga.
Dalla forma caratteristica di un’alta ciambella, con quel curioso buco centrale con cui si presenta, e con la sommità decorata da una glassa di zucchero fondente bianco, l’Anello di Monaco rimanderebbe col suo nome a una tradizione monastica, legame, questo, che oggi però appare dubbio e incerto. Assai ben più documentata è invece la storia della sua origine attribuibile a un geniale pasticcere svizzero, Samson Putscher, che nel lontano 1798 aprì una bottega a Mantova facendo conoscere alla città i dolci d’ispirazione mitteleuropea: come i krapfen, il nostro Anello di Monaco che è figlio dell’alsaziano-germanico kugelhopf, ma creando poi anche quella torta Helvetia, ulteriore simbolo della città lombarda, per quanto curiosamente, come annota il professor Giancarlo Malacarne, storico e direttore della rivista culturale Civiltà mantovana, «in Svizzera non esista nulla di simile alla torta Helvetia». Sia come sia, furono però ben 54 le famiglie svizzere, quasi tutte attive nel settore alimentare, che sul finire del Settecento si trasferirono nella città che fu dei Gonzaga quando l’Impero austro-ungarico s’impadronì del Ducato.
Una testimonianza preziosa e di prima mano sui segreti della complessa preparazione di questo dolce ce la offre Grazia Mazzali titolare della pasticceria Mazzali a Governolo (MN), due torte per la Guida delle Pasticcerie del Gambero Rosso che ha raccolto il testimone dal padre Alfio il quale, l’Anello di Monaco, lo preparava già agli albori di quest’avventura di famiglia cominciata nel 1957: «Inizialmente l’Anello di Monaco era un dolce prettamente della città di Mantova , dai cui pasticceri mio padre si è formato. Si trattava di un dolce preparato con lievito di birra compresso che durava poco più di 15 giorni e aveva come inserti della zucca o frutti come i chinotti o le nocciole che crescevano attorno alla reggia dei Gonzaga. Oggi la sfida è prepararlo col lievito madre che ne assicura una durata superiore, insieme alla morbidezza e fragranza nel tempo. L’Anello di Monaco non è un panettone dal momento che il suo alveolo è molto più chiuso ma nello stesso tempo si differenzia dal ben più compatto pandoro. Viene preparato con due impasti. Il segreto, e il grande lavoro, sta nell’inserire il burro non nell’impasto ma per sfogliatura così da assicurare una struttura al prodotto capace di fare la differenza».
Un deliziosa farcia, a base di nocciole e mandorle tostate, assicura il piacere – quello originale – gustoso e fragrante per un morso che rimane più tenace rispetto a quello dei dolci natalizi più famosi. Oggi poi non mancano le sperimentazioni meno ortodosse con l’impiego ad esempio del pistacchio come l’uso del cioccolato a sostituire la tradizionale glassa di zucchero. Gusteremo il nostro Anello di Monaco accompagnato da un buon Moscato d’Asti o da un bicchiere di spumante.
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