Anche quest’anno abbiamo consumato in sei mesi il pesce che avremmo dovuto pescare in un anno. A riportarci alla cruda realtà è il Wwf che, in occasione della sua campagna Our Future ha presentato i dati sull’insostenibilità del consumo di pesce a cui ci stiamo ormai tristemente abituando.
Nel rapporto si evidenzia come con ben il 58% degli stock ittici sovrapescati, il Mediterraneo è il secondo mare più sovrasfruttato al mondo, mentre a livello globale la percentuale scende 37,7%. Una situazione che si aggrava anche a causa di altri impatti cui è soggetto l’ecosistema marino, in primo luogo il cambiamento climatico. Quest’ultimo aspetto riguarda in particolare la tropicalizzazione del mare, che vede specie autoctone costrette a spostarsi a causa dell’aumento delle temperature e lasciare il posto a quelle invasive. Si contano, infatti, 126 nuove specie ittiche invasive entrate nel Mediterraneo, causando riduzioni delle specie autoctone fino al 40% in alcune aree, per motivi di competizione o predazione. A questo si aggiunge la diminuzione della capacità di immagazzinamento della Co2 dovuta alla riduzione delle praterie di posidonia.
Come riporta l’organizzazione ambientalista, se nei primi sei mesi dell’anno avessimo consumato solo risorse dei nostri mari, da luglio alla fine dell’anno queste non sarebbero più disponibili e l’Europa dovrebbe ricorrere alle importazioni per sostenere la crescente richiesta dei consumatori. La domanda europea di prodotti ittici è infatti troppo alta: ogni cittadino europeo consuma in media circa 24 chili di pesce l’anno. Il problema è ancor più evidente in Italia dato che il nostro consumo medio arriva addirittura a 31 chili di pesce pro capite l’anno. Tra le specie più colpite ci sono il nasello, la sardina, i gamberi e la triglia di fango. Una situazione ulteriormente aggravata dalla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, che mette a rischio gli ecosistemi marini.
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