18 kilogrammi. Il peso medio delle bottiglie d’acqua che ciascuna famiglia italiana è solita trasportare ogni settimana dal supermercato a casa. Un dato che porta il paese ad essere uno dei più grandi consumatori del pianeta. Spesso, un acquisto ritenuto indispensabile. Ma, nella maggior parte dei casi, scaturisce da un presupposto sbagliato; perlopiù, frutto di un luogo comune: la correlazione fra consumo di acqua del rubinetto e calcoli renali. Per fortuna però, questo falso mito viene sfatato una volta per tutte dall’autorevolezza dell’Istituto Superiore di Sanità.
Il timore popolare sulle controindicazioni nel bere l’acqua “pubblica” parte in primis dalla presenza di quei sassolini presenti nel filtro rompigetto del rubinetto e che vengono identificati come i principali responsabili della comparsa dei calcoli renali nell’individuo. Questa sabbiolina che talvolta troviamo nel bicchiere compare soprattutto con l’elevata temperatura dell’acqua e la pressione idrica.
Inoltre, ad alimentare questa cattiva informazione (rivelandosi non certo di aiuto) sono quelle aziende che confezionano pubblicità (che potremmo considerare ingannevoli e) che promuovono la loro acqua come “leggera”, cioè con percentuali più che ridotte di sali (ovvero tali “sassolini”). Eppure, persino alcune produzioni (solitamente quelle che riportano maggiori quantità di sali di calcio e magnesio) dichiarano sui propri siti online l’inesattezza di questa congettura. Per intenderci, questa materia polverosa comparirebbe anche se a fuoriuscire dalle tubature fosse acqua collegata direttamente a una sorgente.
A confermare comunque la natura errata di questo pensiero collettivo ci pensa una fonte più che credibile, o tale almeno per alcuni (visto che il Covid ha dimostrato per una buona fetta della popolazione l’esatto contrario). Infatti, l’ISS individua quali sono le variabili che contribuiscono realmente all’insorgenza dei calcoli, costituiti grossomodo da ossalato di calcio. Da rilevare nella componente genetica della persona: “il rischio è più elevato se ci sono in famiglia altre persone che ne soffrono”; oppure in una dieta poco bilanciata e ricca di sodio: “sono considerati fattori di rischio, in particolare, l’eccessivo consumo di sale (cloruro di sodio) e di proteine animali”.
Sulla stessa lunghezza d’onda di alcune linee-guida fornite dall’ente tecnico-scientifico nazionale, come l’invito, in caso di predisposizione familiare, a bere abbondantemente nell’arco della giornata senza perciò temere che il carbonato di calcio, presente nell’acqua del rubinetto, possa agevolare la formazione della calcolosi renale, la posizione di diversi nutrizionisti. Innanzitutto, in linea generale, viene consigliato di assumere una quantità giornaliera di liquidi che permetta la necessaria diluizione delle urine. Senza dimenticare che nella stagione più calda così come in caso di attività fisica, la percentuale in questione dovrà essere maggiore per tenere sotto controllo la sudorazione e la conseguente perdita di liquidi evitando così la concentrazione delle urine, in grado di determinare i calcoli.
È anche vero che, in alcuni casi, medici e geriatri invitano le persone anziane a bere acqua minerale ricca di calcio, la cui assenza può anzi incrementare il rischio di sviluppare tale patologia renale.
In definitiva, secondo la scienza, bere acqua del rubinetto non sarebbe poi così dannoso. Anzi. E forse, considerando l’elevato numero di microplastiche nei mari (ma anche tracce nel nostro sangue), a giovarne potremmo essere un po’ tutti.
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