IIPH è l’acronimo di International Institute for Planetary Health. E non siamo a New York, o a Bruxelles. Ma a Milano, dove l’istituto in questione nasce sotto i migliori auspici, grazie alla collaborazione tra l’Istituto di Ricerche Mario Negri e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, che partecipa con lo spin off Vihtali. L’obiettivo? Promuovere la ricerca scientifica per identificare i nutrienti che hanno maggiore impatto sulla longevità e sulla salute dell’uomo. Un impegno concreto nella lotta alla cattiva alimentazione, spesso – nelle aree più povere del mondo – determinata dall’impossibilità di accedere alle risorse alimentari, ma figlia anche di abitudini sbagliate, abusi, eredità familiare. Sta di fatto che ben 3 miliardi di persone, nel mondo, non si nutrono adeguatamente, in un range di problematiche che spazia dalla malnutrizione all’obesità. E le cattive abitudini, ricordiamolo, sono anche quelle che alimentano dinamiche produttive distorte e dannose per il pianeta, in una sorta di circolo vizioso che non fa bene a nessuno. Dunque l’Italian Institute per Planetary Health, appena battezzato, beneficerà di un respiro internazionale per portare a termine la missione nel migliore dei modi, sotto la direzione di Carlo Salvatori, presidente di Lazard Italia e Aviva Italia, coadiuvato nel compito dai vice presidenti Giuseppe Remuzzi e Walter Ricciardi.
Si comincia con l’Italia: i ricercatori al lavoro mapperanno il Paese studiando i fattori che incidono sull’invecchiamento della popolazione, intrecciando valutazioni genetiche, biologiche, molecolari, epidemiologiche e ambientali. Il metodo sarà poi esteso al resto del mondo, per mappare in modo analogo il Giappone, scelto insieme all’Italia per la peculiare tendenza alla longevità della popolazione locale, che pure segue abitudini alimentari molto diverse dalle nostre. Ma pure Messico, India, Filippine, indagando anche le genetica come responsabile di gusti e disgusti di ciascuno di noi (uno studio recente dell’American Hearth Association, per esempio, individua in una particolare configurazione del gene Tas2r38 l’origine di un’accentuata percezione dell’amaro da parte di alcuni di noi, e dunque la tendenza a rifiutare molte verdure).
Si lavorerà anche sullo sviluppo di modelli predittivi che anticipano l’impatto dei sistemi alimentari sul cambiamento climatico, identificando strade sostenibili percorribili. E sulla valorizzazione della biodiversità, ambientale e alimentare, a partire dallo studio delle tradizioni e delle abitudini alimentari perpetuate dalle diverse culture. Favorendo, di conseguenza, l’innovazione agricola, perché l’agricoltura possa rispondere alle sfide demografiche ed epidemiologiche del pianeta. Perché l’urgenza più pressante è quella di garantire cibo buono e sano per tutti. Il seme del progetto è stato piantato con Expo 2015, e oggi trova modo di germogliare mettendo insieme competenze di alto profilo: “Diversi aspetti contribuiscono a rendere l’Italia un laboratorio ideale per sviluppare un progetto che dovrà avere un impatto globale – spiega Giuseppe Remuzzi, che è direttore dell’Istituto Mario Negri – Milano è stata sede dell’Expo, la manifestazione universale sul tema ‘Nutrire il pianeta, energia per la vita’. L’Italia, secondo l’Istat, è il primo Paese più longevo in Europa”. E questo, sottolinea Remuzzi, è soprattutto merito di un sistema sanitario nazionale accessibile a tutti, senza discriminazioni di sorta; oltre che – e la correlazione è già stata ampiamente studiata – di quella dieta mediterranea, “che aiuta a contenere patologie cardiovascolari e tumori”.
Gli obiettivi sono molteplici e ambiziosi, e questo renderà necessario potenziare una rete di sinergie con i principali poli di ricerca italiani e internazionali, dallo Human Technopole all’European Food Safety Authority (che ha sede proprio in Italia).
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