«Poter dire che ho lavorato da McDonald’s quando avevo 16 anni mi dà un po’ quel credito da persona di strada». A parlare è Michael Erickson, 57 anni, direttore dell’importante società di comunicazione Melissa Libby & Associates: un uomo di successo, imprenditore brillante, che come tanti altri ha fatto del suo lavoretto al fast food un motivo di vanto. Perché, come ha insegnato Kamala Harris, per farsi benvolere serve avere un passato umile.
Ma il lavoro nella grande catena internazionale permette anche di sviluppare delle buone competenze di customer-service, che in Erickson, per esempio, sembrerebbero aver lasciato un segno indelebile. È quello che ha raccontato al Washington Post, a cui ha spiegato che i candidati che hanno avuto esperienze simili in passato si dimostrano sempre più interessanti ai colloqui: «Mi ritrovo spesso a pensare: questa persona ha un po’ di grinta». È una sorta di distintivo d’onore, ormai, aver lavorato in un fast food: i leader statunitensi giocano molto su questo, è un modo per identificarsi con le persone comuni e dimostrare che hanno faticato per arrivare dove sono.
L’esempio della vice-presidentessa Kamala Harris la dice lunga: il suo lavoro al McDonald’s è stato uno degli argomenti più trattati durante la campagna elettorale, tanto da aver spinto il rivale Donald Trump a contraddirla, affermando che la donna non aveva mai avuto esperienze simili. McDonald’s si è rifiutato di entrare nella polemica e la questione non è stata mai chiarita. Il punto, però, è che l’immagine di un capo di stato che gira hamburger sulla piastra è in qualche modo rassicurante per i cittadini.
Ed è un’esperienza che accomuna molti manager e imprenditori di alto livello: che i ritmi frenetici di un fast food aiutino a gestire la pressione? Jamine Moton, amministratore delegato della società di sicurezza privata Skylar Security di Atlanta, ha detto di aver trascorso l’adolescenza a preparare i panini da Wawa, catena di minimarket della costa orientale, dettaglio che ha contribuito a forgiare la sua personalità. Stesso discorso vale per Heather McLean, amministratore delegato della società di consulenza McLean Forrester: «Qualsiasi lavoro in cui ti ritrovi al livello più basso è ottimo per la tua carriera perché ti fa tirar fuori il carattere».
McDonald’s, a tal proposito, ha calcolato che un americano su otto a un certo punto della sua vita lavorerà in uno dei 13.500 punti vendita della catena sparsi negli Stati Uniti. È un primo lavoro molto comune tra i giovani e sembra che aiuti a gestire lo stress. Il colosso dei fast food vanta tra i suoi ex dipendenti il conduttore televisivo Jay Leno, persino Jeff Bezos. Con 2.2 milioni di dipendenti, McDonald’s è attualmente uno dei più grandi datori di lavoro al mondo, e non c’è da stupirsi che molti dei manager di successo abbiano inserito il suo nome nel curriculum.
C’è poi da considerare la grande possibilità di fare carriera all’interno degli store: come scrive il Wall Street Journal, l’apprezzamento da parte dei leader è fondamentale. Per esempio, Jose Pacheco, 21 anni, ha varcato la soglia di un McDonald’s per la prima volta un anno fa senza alcuna ambizione particolare: nel giro di pochi mesi, è diventato un capoturno. Insomma, l’esperienza al fast food non è solo utile per imparare a trattare con i clienti e lavorare sotto pressione, ma anche per comprendere l’importanza del sacrificio, che può portare a grandi risultati in breve tempo.
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