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Arianna Occhipinti spiazza tutti e torna a Verona: "Le fiere di vino naturale sono troppe e dispersive"

La produttrice di Vittoria partecipa per la prima volta al Vinitaly e rompe gli steccati che ancora separano i produttori di vini convenzionali e quelli di vini naturali

  • 08 Aprile, 2025

Primo Vinitaly a 16 anni per accompagnare lo zio Giusto Occhipinti (uno dei tre fondatori dell’azienda agricola Cos). Studi di enologia a Milano, ma insofferente all’approccio enologico convenzionale, con una passione per i vini artigianali e naturali. Esplorazioni nella viticoltura francese e spagnola. Un attaccamento feroce al territorio ibleo: «Essere viticultori vuol dire mettere radici». Innamorata del frappato, vitigno principe della zona di Vittoria, «caratteristiche simili al Nebbiolo e al Pinot Nero». Giovanissima e determinata mette in piedi quasi dal nulla la sua cantina negli anni ‘10 del Duemila. Votata alla biodiversità: «Posso contare su 40 ettari di vigneto ma anche su 40 ettari di biodiversità con bosco, grano e uliveti. La biodiversità è il valore aggiunto per il vino e, allo stesso tempo, non ci sarebbe cura della biodiversità senza il traino del vino». Consapevole delle enormi potenzialità delle contrade iblee e piena di progetti per il futuro. Carattere puntiglioso, audace e indomabile, con un grande sorriso. Tutto questo e molto altro è Arianna Occhipinti, iconica produttrice di vini naturali nell’area del Cerasuolo di Vittoria. Che quest’anno partecipa per la prima volta al Vinitaly.

Torna al Vinitaly. Che cosa è successo per farti cambiare idea?

In passato ero stata al Vivit (Vigne, Vignaioli, Terroir), il salone dedicato ai vini naturali da uve biologiche e biodinamiche all’interno della fiera principale e poi ho fatto sempre i saloni off. Adesso è necessario fare un grande cambiamento. Nessuno deve avere paura di confrontarsi e stare in mezzo agli altri. Ormai ho un’identità consolidata che mi permette di stare qui. Possiamo parlare con professionisti che sanno cosa sono i cru, fondamentali per apprezzare i miei vini di contrada. E poi il vino buono è trasversale.

Ma perché prima questo non si poteva fare?

Vent’anni fa c’era bisogno di fare dei cambiamenti. Il mondo del vino era afflitto dall’appiattimento: tutti bevevano le stesse cose. E molte aziende maltrattavano le vigne. Quindi c’è stata una rivoluzione.

E tu sei stata la paladina di questa rivoluzione…

Sì. Questi 20 anni sono stati utili per tutti.

Ma c’è qualcosa che non funzione più nel circuito delle manifestazioni off?

Negli ultimi due anni sono stata a Summa: l’identità di questo evento mi piace tantissimo. Però credo che oggi ci sia troppa dispersione con le diverse fiere del vino artigianale.

In che senso?

In passato abbiamo avuto saloni pieni di gente che non ne poteva più dei vini standardizzati. Oggi a volte, in questi eventi, capita di trovare produttori straordinari con brand rinomati, ma ai loro banchetti non viene nessuno. Troppa poca affluenza, non c’è massa critica. Non dobbiamo frammentare il nostro pubblico.

E invece al Vinitaly?

Qui possiamo sfruttare al massimo il momento di trade. Ho avuto visite interessanti da parte di ristoratori di qualità come Sarah Cicolini di Santo Palato a Roma o La Branca di Genova. Anche altri produttori del mondo artigianale mi hanno confessato: “Sono orgoglioso della tua scelta. Sei la prima a cambiare”.

Quindi Vinitaly è diventato un posto accogliente?

Vinitaly ha capito cosa fare per non morire. Per esempio, ha aperto una finestra importante sui Raw Wine. L’abilità del magement è anche questa: capire dove andare prima di decadere. Una cosa che il Prowein, per esempio, non è stato in grado di fare. Vinitaly invece resta un punto di riferimento internazionale grazie anche alla sua capacità di aprire alle innovazioni del mondo del vino.

Quest’anno però il Vinitaly è stato segnato dalla crisi dei dazi imposta da Trump. Come affronti questa fase?

Per me il mercato americano è cruciale. Arriva al 35-40% delle mie vendite. Il mio però è un brand importante (non entro in America come Sicilia) e per fortuna chi è affezionato non rinuncia ad acquistare. Chi già paga 40 dollari per una mia bottiglia, è disposto anche a pagarne 60. Certo, in questo modo sale il posizionamento e la fascia dei giovani può restare esclusa. Il problema dei dazi è che ora saranno bloccati per 90 giorni finché non si capisce bene che cosa succede. Molti importatori chiederanno di fare accordi per dividere i costi. Altri ribalteranno tutto sui consumatori. Per adesso la prenotazione del nostro importatore è la stessa dell’anno scorso.

Il ritorno al Vinitaly è anche l’occasione per coronare i 20 anni del tuo frappato.

Io dico sempre che con il frappato ci siamo presi per mano. Avevo bisogno di un’uva bella ed elegante, capace di un grande potenziale enologico. Il frappato doveva essere solo elevato un po’: è un’uva che fa grandi vini.

Insomma, vi siete rafforzati a vicenda…

Adesso posso entrare in ogni ambiente del vino avendo delle spalle larghe. Anche nelle etichette non ho più bisogno di mettere in evidenza il vitigno, ma punto sulle contrade. Per esempio, il frappato della contrada Pettineo, caratterizzato da sabbie rosse ricche di ferro, è fine e floreale. Quello di Fossa di Lupo, con terreno pietroso e più calacareo, è carico di energia.

Quali erano i tuoi riferimenti quando hai iniziato?

All’inizio, in Italia, erano Giovanna Morganti ed Elisabetta Foradori. Facevano grandi vini naturali, puliti ed eleganti. Attenzione però: il mio modo di fare il vino non è il fine. Il fine è fare un grande vino di territorio.

È un messaggio ai colleghi del vino naturale?

Uscire da un ghetto culturale è ciò che mi ha sempre distinto. Molti di questi colleghi sembrano in conflitto con i produttori di vino convenzionale ma, in fondo, sono in guerra con se stessi. Io per esempio sono ormai da anni socia di Assovini, con soddisfazione reciproca. Faccio parte del board e ho collaborato alla scrittura del disciplinare del progetto Sostain. La mia identità non si confonde per il fatto di collaborare con questi altri produttori.

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