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Braccio di ferro

Alert sui dazi Usa: i distributori di vino americani non vogliono accettare alcun sovrapprezzo

A rivelare il braccio di ferro tra le due sponde dell'Atlantico è Unione italiana vini, che esorta le aziende italiane a non cedere: “Il sacrificio deve essere comune”

  • 06 Aprile, 2025

Vinitaly inizia con notizie poco incoraggianti sul fronte dazi: i distributori statunitensi non vogliono ridurre i margini di guadagno. Ergo non sono disposti a fare accordi con le imprese italiane per dividersi il peso delle tariffe aggiuntive.

Il braccio di ferro tra buyer Usa e cantine italiane

A rivelarlo è il presidente di Unione italiana vini Lamberto Frescobaldi nel primo giorno di Fiera: «Dagli Stati Uniti arrivano le prime lettere dei distributori non disposti ad accettare alcun sovraprezzo sui nostri vini». Ciò significa che le tariffe extra dovrebbero essere assorbite solo dalle aziende italiane o – eventualità assolutamente da evitare – riversarsi sul consumatore finale, col rischio concreto di uscire dal mercato.

Non cedere all’imposizione Usa

«Allo stato attuale si sta evidenziando una bagarre su chi dovrà assumersi l’onere dei minori ricavi per assicurare la stabilità dei prezzi al consumo», continua Frescobaldi, che poi esorta le imprese italiane a non cedere: «Bisogna imporre la propria forza commerciale su un prodotto che arricchisce in primis la catena commerciale statunitense». D’altronde, i vini d’importazione, a partire da quelli italiani, sono protagonisti di un effetto moltiplicatore sull’economia americana, che monetizza 4,5 dollari per ogni dollaro speso.

Un sacrificio collettivo per lasciare i listini invariati

Sin dall’annuncio dei dazi, infatti, il sindacato guidato da Frescobaldi aveva indicato una strada percorribile negli accordi tra aziende italiane e gli importatori: «Uiv ritiene che tutta la catena – dalla produzione al punto vendita – debba sacrificare parte dei ricavi per garantire listini invariati al punto vendita, pena l’uscita dal mercato di tante realtà del nostro settore». Un “sacrificio”, secondo l’Osservatorio Uiv, stimato in 323 milioni di euro l’anno che riguarda 480 milioni di bottiglie spedite oltreoceano.

Di fronte alla chiusura dei buyer, sperando che la situazione possa cambiare, non resta che sperare nell’azione diplomatica del Governo per «evitare che si ripeta l’esperienza subita nel 2020 dai vini francesi, che a fronte di tariffe extra del 25% ha visto calare il proprio business del 28% in valore – conclude Uiv che si mette a disposizione dell’Esecutivo per descrivere nel dettaglio le dinamiche che si stanno venendo a creare lungo la catena commerciale.

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