91 dialetti intorno al tavolo. Il progetto di Bristol
Come si combatte la diffidenza e la paura del diverso? Cercando di scoprire cosa significhi l’esperienza dell’altro e che bagaglio culturale porta in dote. E quanto mai attuale lo spunto di riflessione offerto dall’ultima iniziativa che sta conquistando la città inglese di Bristol e la stampa anglosassone in queste settimane in cui ansia, preoccupazione, incertezza per il futuro rischiano di avere la meglio su un’Europa ferita a morte. E invece Kalpna Woolf, volto noto della BBC, ha scelto (in tempi non sospetti) di giocare la carta del cibo per gettare quel ponte interculturale favorito dalla convivialità in cucina e intorno a un tavolo.
È nato così l’International Peace Cafè di Bristol, in una città che somma la bellezza di 91 lingue e dialetti grazie alla convivenza pacifica tra migranti di prima e seconda generazione che conferiscono alla città una spiccata attitudine multiculturale. E il messaggio lanciato dall’apertura di uno spazio di confronto, per tutti coloro che vogliono conoscere nuove storie e approfondire la cultura del diverso, è talmente semplice da sembrare banale: “Il cibo è un linguaggio universale che ha il merito di unire le persone”, sostiene convinta la fondatrice del progetto, promotrice in primis dell’associazione 91 ways, che dalla scorsa estate incoraggia gli abitanti di Bristol a condividere ricordi e pietanze di famiglia per regalare alla comunità una parte importante di sé, che si rivela nel piatto.
Un patrimonio di ricette condivise che supera la paura del prossimo
In pochi mesi l’International Peace Cafè ha già raccolto un patrimonio di 120 ricette tradizionali di svariati Paesi del mondo, dal ful siriano (une crema di fave servita a colazione o al ritorno dalla preghiera in moschea) all’adas polo a base di riso, cipolla fritta, patate, cumino e cannella di origine iraniana, ai falafel del Sudan. Sono soprattutto donne quelle che condividono quest’esperienza e rendono speciale un pranzo consumato intorno al tavolo del caffè, in compagnia di russi, eritrei, giamaicani, polacchi, australiani: sul bancone centrale un’esposizione di piatti che farebbe gola a chiunque, tanti ingredienti sconosciuti che invitano alla curiosità e ad abbattere le barriere. L’idea più ambiziosa è quella di moltiplicare la presenza in città dei caffè della pace, a partire dall’apertura di pop up incentrati su menu a tema siriano e iraniano, e poi realizzare un ricettario che raccolga l’obiettivo del progetto, condensando tra le pagine l’esperienza di chi crede in una convivenza possibile. Per ora l’iniziativa ha carattere temporaneo e si appoggia sull’ospitalità di un locale cittadino, The Kitchen, ma il primo appuntamento andato in scena il 21 novembre scorso ha già riscosso un grande successo di pubblico, suscitando il clamore sperato.
Il Conflict Cafè di Londra
D’altronde i tempi in Inghilterra sembrano maturi, come dimostra l’esperimento londinese del Conflict Cafè, pop up già attivo da un anno che scommette sull’esperienza culinaria per condividere valori di pace e amore per il prossimo. A Londra l’eco del progetto è stata in grado di richiamare tanti chef che hanno prestato volto ed esperienza in cucina alla causa, garantendo ai londinesi di scoprire le tradizioni a tavola di Paesi sconvolti da guerre e conflitti dei giorni nostri, dal Myanmar alla Siria, all’Armenia.
Pace a Tavola con Menuale
In Italia intanto arriva il progetto Pace a Tavola, promosso a Milano dalla start up Menuale. Ancora una volta l’idea scommette sul valore universale della cucina e sull’opportunità di stemperare intorno a un tavolo contrasti, pregiudizi e diffidenze. Come? Coinvolgendo ristoranti kosher e arabi per riscoprire le radici comuni della cucina mediorientale, che superano le barriere politiche, religiose, economiche responsabili dei conflitti internazionali che stanno tenendo in scacco il mondo. L’iniziativa è partita il 23 novembre, e ancora per qualche giorno proporrà ai commensali dei ristoranti che hanno aderito al progetto un menu speciale Pace a tavola, con pietanze che raccontano una tradizione culinaria condivisa (dall’hummus ai falafel, al baba ganoush), sull’esempio di un ristorante di Tel Aviv recentemente protagonista delle cronache internazionali per l’idea di praticare sconti ad arabi ed ebrei disponibili a condividere lo stesso tavolo per il tempo di un pasto. E fino al 6 dicembre gli stessi ristoranti – The Boidem, L’Accademia Libanese, Dawali – proporranno incontri interculturali in compagnia di imam, rabbini, intellettuali e imprenditori milanesi.
a cura di Livia Montagnoli