Mentre l’Italia è pronta a intonare il suo canto funebre per l’alta cucina, dall’altra parte delle Alpi se ne plaude con convinzione il vigore. Lo afferma Alain Ducasse, l’uomo delle stelle – 14 al momento i macaron in mezzo mondo – nell’intervista rilasciata al Corriere del Mezzogiorno. L’occasione è il suo recente approdo a Napoli, dove Monsieur Ducasse firma il nuovo ristorante dell’hotel Romeo, il primo di una piccola collezione di 5 stelle lusso.
«La haute cuisine è ovunque – dice – si sviluppa in tutto il Paese ed è più viva che mai», dalle piccole strutture indipendenti è entrata nei grandi hotel alla fine degli anni Ottanta. Non in Italia, verrebbe da rispondere: nel Belpaese la storia dei grandi ristoranti d’hotel è ben più recente. Quel che è certo, però, che oggi gli chef viaggiano più di un tempo, e non solo gli chef, così non è raro sedersi alla tavola di Ducasse a Londra come a Macao, a Parigi come in Qatar. O in Italia. Dove forse per troppa vicinanza, la cucina made in France non è mai stata molto rappresentata. Fino a ora.
Lo dice chiaro e tondo: pur rispettando la cucina italiana, di cui ha sostenuto la candidatura all’iscrizione nel patrimonio immateriale Unesco, non intende fare sua la nostra tradizione: la sua proposta è haute cuisine francese contemporanea, una cucina elegante, molto fine, «energica» in cui succhi, brodi, jus, fondi, salse hanno un ruolo centrale, in armonia con la grande scuola d’oltralpe. Ignorare completamente il passato però non si può: «Il cuoco ha buona memoria: ha sempre in mente tutto il know-how delle generazioni che l’hanno preceduto», questo però non significa percorrere la stessa strada, ma custodirne l’eredità per fare altro: la sfida è immergersi nel ricchissimo paniere partenopeo e scrivere una pagina nuova. Sul sito del Romeo Ducasse dichiara: «Ognuno dei miei ristoranti racconta la propria, singolare storia che esprime l’anima della città in cui si trova», una narrazione originale che parte dalla magnifica dispensa campana (che lo chef ha avuto modo di conoscere bene nei suoi molti viaggi in Italia) e la usa in modo nuovo, scegliendo tecniche francesi, come nel caso del San Pietro con brodo di pesce di scoglio e agretti, o il filetto di vitellone bianco dell’Appennino centrale, funghi di bosco e foglie di cappero. Due secondi: a segnare il distacco dalla cucina italiana, non ci sono primi piatti se non nel menu degustazione (5 o 6 portate, 170 o 180 euro); la carta è organizzata in antipasti, piatti principali, dolci.
«Il nostro approccio – dice nell’intervista – consiste nel selezionare alcuni magnifici prodotti italiani e prepararli applicando tecniche culinarie francesi. Molti di questi prodotti provengono dalla Campania, come il granchio o il San Pietro. Nelle ricette ricorreranno in particolare i succhi, i brodi, le salse, che sono componenti essenziali della cucina francese. Due esempi di questo connubio tra la cucina francese e alcuni prodotti locali: il San Pietro delle nostre coste, brodo di pesce di scoglio e agretti, e il filetto di vitellone bianco dell’Appennino centrale, funghi di bosco e foglie di cappero».
In cucina c’è Alessandro Lucassino, toscano di Follonica che, come ricorda Ducasse, è stato con lui sin dagli esordi della sua carriera, prima al Plaza Athénée sull’Avenue Montaigne, poi alla guida del Salon des Manufactures e poi al Cucina, il suo ristorante italiano a Parigi. Le grandi cucine sono un crogiolo di nazionalità e culture, molti gli italiani che nel corso degli anni si sono formati con lo chef francese, tra gli altri Gennaro Esposito, oggi alla Torre del Saracino. A Lucassino il compito di fare da ponte tra la Francia e l’Italia, portando la cuisine de la naturalité di Ducasse nel cuore del Mediterraneo: «Conosco la ricchezza dei prodotti della regione e, quando il gruppo Romeo Collection ci ha proposto questa collaborazione napoletana, il progetto ci ha subito sedotto». E non può non venire in mente quanto sosteneva più di 30 anni fa un altro monumento della cucina francese, Paul Bocuse: «La cucina francese decadrà quando cuochi italiani si renderanno conto del patrimonio di ricette e prodotti che hanno invece di dimenticarlo per ignoranza, esterofilia, per moda». Non aveva immaginato, lo che di Lione, che potessero essere gli chef francesi a usare i nostri prodotti.
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