È in vigore il nuovo sistema di autorizzazioni per gli impianti viticoli, valido dal primo gennaio 2016 e fino al 2030, in sostituzione del regime transitorio sui diritti di impianto. La Commissione europea, nei giorni scorsi, ha pubblicato il regolamento delegato e il regolamento di esecuzione che andranno a determinare l'espansione della superficie vitata europea. L'obiettivo dichiarato di Bruxelles è garantire flessibilità al settore e la possibilità di soddisfare la crescente domanda mondiale. Anche se il Vecchio Continente (che esporta vino per quasi 10 miliardi di euro), come ha ricordato la stessa Commissione, sta perdendo quote di mercato nonostante la crescita in volumi e valori dell'export verso i Paesi terzi a partire dal 2008 a oggi.
L'andamento dei consumi in Europa e nel mondo
Lo scenario generale previsto è quello di un consumo mondiale in crescita fino al 2025, con l'Europa che, invece, andrà in controtendenza. Il risultato sarà che, lo scrive la stessa Commissione, il settore vitivinicolo Ue “sarà sempre più dipendente dalle esportazioni”. Secondo il commissario Ue per l'agricoltura, Phil Hogan, il nuovo sistema di autorizzazioni per gli impianti viticoli consentirà di avere quella “necessaria flessibilità affinché il settore possa aumentare gradualmente la produzione e far fronte alla crescente domanda mondiale. Allo stesso tempo” fa notare il commissario irlandese “gli Stati membri hanno a disposizione un ventaglio di misure di salvaguardia da applicare per far fronte agli eventuali rischi sociali e ambientali in specifiche zone di produzione”.
L'Europa è il più grande produttore di vino a livello mondiale, con circa 175 milioni di ettolitri annui, ma è anche il maggior consumatore di vino con il 57% delle quote. Il valore dell'export sfiora i dieci milioni di euro. I principali mercati di destinazione dei vini sono gli Stati Uniti (che da soli valgono il 29%, secondo dati della Commissione Ue nel 2013), seguiti da Svizzera, Canada, Giappone e Cina. Questi cinque mercati assieme valgono per il 63% delle vendite.
La gestione nazionale delle autorizzazioni
La gestione del sistema di autorizzazioni, gratuite ma non trasferibili, è nazionale. Un sistema di salvaguardia dei nuovi impianti prevede ogni anno la possibilità di autorizzarne di nuovi per una percentuale dell'1% sulla superficie complessiva, con la possibilità per il singolo Stato di limitare l'espansione delle superfici a livello nazionale o regionale, ma anche a seconda delle zone di produzione, con o senza indicazione geografica.
Di fatto, prende il via ufficialmente la fase cosiddetta di gestione nazionale che, come fa notare il presidente dell'Alleanza delle cooperative, Giorgio Mercuri, avrà come primo obiettivo la preservazione del potenziale produttivo italiano, che da anni osserva una lenta erosione, come del resto è accaduto anche per l'Europa la cui quota sul vigneto mondiale, secondo dati Oiv, è scesa dal 62,5% del 2000 al 55% del 2013.
La situazione italiana
La sola Italia, in particolare, ha perso in 14 anni il 17% circa delle superfici vitate. “E nell'ultimo anno” ricorda Mercuri “la superficie nazionale si è ridotta ulteriormente da 646 mila a 641 mila ettari, mentre si contano ancora diritti di reimpianto in portafoglio dei produttori per una superficie equivalente di 45 mila ettari”, stimati in 3,5 milioni di ettolitri potenziali. Diritti che appartengono soprattutto a grandi regioni produttrici tra cui Puglia, Sicilia, Emilia Romagna. L'imperativo è tutelare i diritti e gestire al meglio i nuovi.
Le scadenze
31 dicembre 2015: chi è attualmente in possesso di un diritto di reimpianto valido può trasferirlo (venderlo) su tutto il territorio nazionale. Dal 1 gennaio 2016 il diritto di reimpianto ancora valido non potrà più essere trasferito.
31 dicembre 2020: termine ultimo per presentare la richiesta di conversione in autorizzazione dei diritti di impianto concessi ai produttori prima del 31 dicembre 2015.
31 dicembre 2023: termine di validità dell'autorizzazione, che ha la stessa validità del diritto che l'ha generata.
L'impegno del Mipaaf
Lo sa bene il ministero guidato da Maurizio Martina che è già al lavoro per chiudere entro l'estate questa fase intermedia evitando di generare troppe incertezze tra i produttori. Via XX Settembre sta lavorando a un meccanismo nazionale per il rilascio e la gestione delle autorizzazioni, con l'obiettivo di arrivare al decreto che consentirà all'Italia di recepire la norma comunitaria. Niente sarà calato dall'alto, ma si procederà seguendo la logica del dialogo, attraverso una serie di incontri (già iniziati) con la filiera, le associazioni e soprattutto le Regioni, dalle quali è lecito attendersi le resistenze maggiori. Non sarà, per fortuna, una gara contro il tempo ma occorrerà procedere con precise a tappe. Partendo da un punto fermo, quasi un passaggio obbligato: l'1% concesso andrà assegnato totalmente, ogni anno.
La gestione delle autorizzazioni
Il sistema produttivo, dal canto suo, chiede semplicità e rapidità: un bando unico nazionale che consenta, almeno per i primi due anni, di assegnare quell'1% di autorizzazioni ai produttori, secondo la logica del calcolo pro rata nei casi in cui la richiesta superi il plafond disponibile. Le Regioni potrebbero essere chiamate a gestire la verifica documentale e la presentazione delle richieste. Se all'azienda sarà assegnato meno del 50% degli ettari richiesti, questa avrà diritto di rifiutare e l'autorizzazione andrebbe ad alimentare un serbatoio di ettari che diventerebbero oggetto di un nuovo bando. “Ma tutto dovrà essere informatizzato, veloce, online”, afferma il vice presidente di Uiv, Antonio Rallo “non vogliamo che ci sia ulteriore peso burocratico. L'importante è comunque non perdere questo potenziale”.
Evitare le speculazioni e la corsa al rialzo
Con questo obiettivo, il Mipaaf, nei mesi scorsi ha prolungato i tempi per la conversione dei diritti in autorizzazioni fino al 2020, decretando, inoltre, la possibilità del trasferimento (vendita) dei diritti tra Regioni e Province autonome entro il 2015. Una mossa, quest'ultima, che sembra aver evitato la corsa al rialzo delle quotazioni dei diritti: “Dai 12 mila euro per ettaro raggiunti in alcune zone siamo oggi scesi tra 5 e 8 mila euro”, rileva Rallo, che tuttavia non risparmia critiche al nuovo sistema dei diritti, considerato “troppo rigido rispetto alle esigenze di sviluppo delle singole aziende”. L'Italia non rinuncerà a chiedere una revisione del sistema nel 2017, anno della revisione di medio termine della Pac.
“Vediamo con favore l'uscita da un sistema di diritti cedibili a titolo oneroso che hanno provocato episodi di speculazione, impedendo anche a molti giovani di investire nel proprio futuro” dice la presidente Fivi, Matilde Poggi “ed è positivo che sia stata evitata la temuta liberalizzazione, così come prevedeva il progetto iniziale di riforma Ocm; anche se riteniamo troppo alta la quota dell'1% annuo per le autorizzazioni. Sarà importante capire come sarà gestito questo potenziale”.
Opportunità e rischi per il settore
In tutto questo, però, permane una preoccupazione di fondo che riguarda le generali opportunità di sviluppo del settore. A ricordarlo è il Copa-Cogeca, con il presidente del gruppo vino, Thierry Coste: “Il nuovo sistema di autorizzazioni permetterà certamente di continuare a crescere. Tuttavia, occorre che le misure previste nei programmi di sostegno nell'ambito dell'Ocm unica, come la promozione e la ristrutturazione dei vigneti, continuino a sussistere oltre il 2018”. Un auspicio che arriva anche alla luce dei recenti studi indipendenti, commissionati dall'Ue, sulla competitività del vino europeo (realizzato dall'italiana Cogea srl a ottobre 2014), che ne sottolineano l'effetto positivo. Una competitività del settore vino che dipenderà anche dalla capacità dell'Europa di proteggere dalle imitazioni le proprie Indicazioni geografiche (Ig) nei vari Paesi in cui questa esporta i propri prodotti (vedi box). Ecco, allora, che è quanto mai decisivo far valere l'intero sistema delle Ig, riconoscerlo e tutelarlo nei negoziati commerciali: quelli con gli Usa, con il Giappone, con la Cina. Proprio quei Paesi dove il prodotto vino “made in Europe” si vende di più.
a cura di Gianluca Atzeni
foto: Consorzio Vini Piceni
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 16 aprile.
Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. È gratis, basta cliccare qui.