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THE BEST IN ROME & LAZIO
Negli anni '60 in quella zona di Roma, la città muoveva i primi passi, Monteverde Nuovo era appena nato e via del Casaletto lambiva la campagna, ben più di quanto non faccia adesso quella strada al capolinea del tram. È allora che nasce questa trattoria, praticamente insieme al palazzo che la ospita. Non è di questa parte della storia che vi vogliamo parlare. Ma di quel che è accaduto dopo, nel 2009, quando Cesare, seconda generazione di osti che tra quei tavoli è cresciuto, cede il locale a Leonardo Vignoli e Maria Pia Cicconi.
Loro ne conservano il nome e la cucina di tradizione, trasformandola, anno dopo anno, in una meta per quanti cercano piatti solidi, gustosi, impeccabili nella realizzazione e nella scelta delle materie prime. Ma presi d'assalto anche da chi, in un pasto, non vuole rinunciare a un buon bicchiere, pescando da una carta dei vini che nel corso del tempo si è allargata fino a contare oltre 300 etichette. Frutto di una scelta attenta, di grande coerenza, perfettamente in linea con l'idea di un locale inclusivo che nei piatti e nei bicchieri sceglie una qualità intellegibile, pur non rinunciando a esprimere la propria personalità. Oggi Da Cesare conquista i Tre Gamberi, nella guida di Roma e del Lazio, massima valutazione per le trattorie, di cui è orgogliosamente portavoce.
Quando è stato aperto il ristorante?
La trattoria è qui da quando esiste il palazzo, alla metà degli anni '60, ad aprirla Anna e Vittorio, i genitori di Cesare. Era un posto che aveva una storia come trattoria di quartiere da quando nella valle dei Casali c'era la campagna. Noi l'abbiamo rilevata da lui nel 2009: questa è la seconda gestione da quando è nata, oltre 50 anni fa.
Avevi alle spalle già diverse esperienze. Cosa hai portato di quelle esperienze a via del Casaletto?
Ho fatto avanti e indietro dall'Italia diverse volte, e per alcuni anni, lavorando nell'alta ristorazione. Un'esperienza che mi ha insegnato la disciplina, il rigore, la puntualità, la precisione nella realizzazione del piatto, la chiarezza e l'impegno disciplinato. Insomma: ho capito come dare struttura a un processo completamente artigianale
Siete stati subito dell'idea di fare questo tipo di cucina?
Ci siamo concentrati sulla tradizione, su quella stessa cucina che era già nella storia del locale, ne era un elemento fondante. Per noi era importante: io e Maria Pia siamo cresciuti in campagna, conosciamo il valore dei prodotti e quel che cuciniamo oggi è un po' nel nostro Dna.
Cosa è cambiato Da Cesare da quando avete messo piede lì?
All'inizio non facevamo tantissimi piatti, man mano che centravamo delle cose, cercavamo di arricchire l'offerta, abbiamo aggiunto altre ricette sempre rimanendo legati alla tradizione, aumentato i vini e dato un po' più di grazia al locale per creare un ambiente più confortevole per tutti. Abbiamo lavorato sulla precisione, ma rimanendo sempre all'altezza del palato di tutti, fidelizzando la clientela con una proposta costruita insieme ai clienti storici.
La clientela negli anni è cambiata?
In realtà dall'inizio sì, ma abbiamo sempre uno zoccolo duro di persone del quartiere, negli anni abbiamo fidelizzato poi una parte di clienti che viene da tutta Roma e anche da tutta Italia, e pian piano anche stranieri che ci vengono a trovare quando sono in città. Ma è stato importante concentrarci sulla clientela locale, ci ha dato continuità sul lavoro e solidità nella proposta e nel risultato.
C'è stato un momento in cui avete deciso che volevate fare qualche cosa in più per arrivare ai risultati di oggi?
Nessuna decisione a tavolino, è venuto tutto spontaneo. Credo che siano state la costanza e la continuità nella scelta delle materie prime e dei piatti definiti in base a queste. Cercando di conciliare la qualità con il giusto prezzo e poi lavorando sulla cantina.
A proposito di cantina, come è cambiata?
Siamo passati da 30 a oltre 300 etichette. Come per il cibo partiamo sempre dal gusto, dalla bontà, e dal rapporto qualità prezzo. L'idea è di un vino artigianale, mi piace conoscere chi lo produce, il territorio, e raccontarli a chi bene quel vino come faccio con chi mangia un piatto. Mi piace trasmettere questo, non tanto la tecnica di degustazione.
Dovendo descrivere la tua carta?
Si identifica nel prodotto artigianale e più naturale possibile, ma anche leggibile. Non è una carta ideologica, voglio avere vini e piatti che possono essere capiti da persone diverse.
Quanto conta la location nel successo di un ristorante?
Nel momento attuale penso che conti: abbiamo uno spazio esterno, grazie a quello questa estate il lavoro è stato quasi normale. In linea generale, però, direi che conta poco: siamo in un posto scomodo, senza parcheggio, in un quartiere non commerciale e non pedonale, piuttosto periferico.
Dovendo identificare la vostra cucina con un piatto, quale sarebbe?
Più che un piatto, tutto il menu, abbiamo fatto entrambi l'alberghiero a Rieti, in tutti i primi che facciamo, sento gli odori dell'adolescenza. Nelle scuole di cucina, amatriciana gricia e carbonara ce la facevano fare per mostrarci alcuni passaggi del lavoro. E gli odori che sento ogni giorno in cucina rappresentano il nostro mondo.
C'è un piatto in cui avete osato molto?
Lo gnocco fritto su crema di cacio e pepe, ora ce lo chiedono dai bambini perché è nelle corde della cucina tradizionale, ma appena messo in carta eravamo dubbiosi: nasce da uno gnocco fatto con una patata che non andava bene, era troppo morbido per essere lessato e mantecato, così abbiamo provato a friggerlo, pensavamo di presentarlo come dolce, alla fine li abbiamo accompagnati con pecorino e pepe.
E poi?
La pasta alla vignarola, che di solito è un contorno un po' brodoso. Ha avuto un successo importante, la gente appena arriva marzo comincia a chiedercelo.
Ci sono piatti che vorreste togliere dal menu ma non potete perché li chiedono sempre?
Abbiamo fatto un piatto più leggero, un carpaccio di manzo, mi dico sempre che non c'entra nulla con la cucina romana e potresti mangiarlo ovunque, ma non lo togliamo perché crea armonia in tavola, e fa stare bene anche chi è a dieta.
Ma le trattorie stanno cambiando?
Sto vedendo, con grande piacere perché ci ho creduto dall'inizio, che c'è una voglia da parte di tutti noi di dare grazia e precisione a qualcosa che troppo spesso è stata fatto in modo turistico o un po' sciatto. Non si era forse capito il valore della tradizione e della storia, un po' come a Roma diamo per scontato che c'è il Colosseo o tutte quelle chiese e fontane e non le valorizziamo come dovremmo.
Avete appena conquistato i Tre Gamberi. Cosa significa per voi?
Sono stato molti anni fuori, prima 3 poi 7 poi altri 2: ogni volta che rientravo il Gambero Rosso cresceva, e con lui cresceva il paese, il mondo della ristorazione e anche noi che ci lavoriamo. Credo che abbia contribuito a far alzare il livello del cibo e del vino, guardando sempre avanti. Questo premio ci onora, è un piacere enorme per noi.
Secondo voi è la giusta categoria di ristorazione o vi sentite più un ristorante?
Siamo una trattoria, un posto in cui tutti trovano il piacere di stare seduti e tutti sono a proprio agio, per questo voglio che la proposta sia semplice, le persone non devono cercare di capire o imparare qualcosa. Quindi alcune cose che pure mi piacciono tanto, le mangio, ma non le facciamo qui, come il pesce: lo adoro, ma sto molto attento a non servire gamberi crudi o tartare di tonno.
Anche una trattoria riserva delle novità. Quale è la vostra?
Sì, ne abbiamo, ma per scaramanzia fino a che non vediamo un possibile sviluppo non ne parliamo. Ma non vogliamo cambiare casacca, vogliamo anzi rimanere quel che siamo cercando di crescere per dare maggiore servizio, confort e qualità sia con il nostro lavoro che con l'ambiente, per dare ricchezza alla tradizione e alla storia.
Da Cesare - Roma - via del Casaletto, 45 - 06 536015 -www.trattoriada cesare.it
a cura di Antonella De Santis