"Questo minestrone fa vivere 100 anni", ecco i segreti dei centenari sardi

22 Apr 2024, 13:17 | a cura di
Poco sotto il massiccio del Supramonte c'è un ristorante (e ora anche un hotel) che conserva intatta - e tramanda - la cucina barbaricina. Ci siamo stati

A volte la forza delle idee, unita alla passione, si trasforma in energia dirompente e inarrestabile. È andata così in Barbagia per Peppeddu Palimodde e Pasqua Salis che negli anni sessanta hanno iniziato a proporre i piatti della cucina barbaricina, ad Oliena, sotto il monte Corrasi, la vetta più alta del massiccio del Supramonte.

Viaggio in barbagia: mangiare (e vivere) come i centenari

La natura selvaggia è un forte richiamo per gli escursionisti e gli appassionati di trekking sul complesso montuoso che si estende per 350 chilometri, con la sua natura calcarea dolomitica, ricca di corsi d’acqua, custode inoppugnabile degli antichi saperi dei pastori.

Si tuffa poi ripidamente nel mare del golfo di Orosei, disegnando un paesaggio meraviglioso tra mare e roccia, dai colori unici. Questa è gente di montagna, abituata a ritmi duri, a seguire il corso della natura e delle stagioni nelle attività legate all’agricoltura e alla pastorizia.

Ci racconta Pasqua Salis, «quando abbiamo iniziato negli anni sessanta ci prendevano per matti perché qui non c’era nulla, avevamo grandi difficoltà a reperire quanto ci serviva, anche le materie prime per cucinare. Ma eravamo spinti dal fortissimo desiderio di far conoscere la cucina barbaricina, quella che da sempre si preparava nelle nostre case».

La piena consapevolezza di avere a disposizione un patrimonio ricchissimo di cultura popolare è stato il motore che poi ha aperto loro un mondo. Oggi la cucina barbaricina è riconosciuta come «la cucina dei centenari», essendo qui presente una concentrazione importante di centenari, e, soprattutto, di ultra ottantenni che godono di piena salute fisica e mentale.

Quella piccola trattoria di Peppinu e Pasqua ha avuto successo, dapprima frequentata dai sardi, poi mano a mano dai viaggiatori in cerca di esperienze autentiche, fino a convincerli che bisognasse ingrandirsi e organizzarsi per l’hotel. Prende forma così il progetto dell’hotel Su Gologone, il nome è quello dalla vicina sorgente di acqua che alimenta il fiume Cedrino.

Nella bellissima struttura alberghiera, condotta oggi dalla figlia Giovanna Salis, si fa cultura della cucina della Barbagia, e di tutto il settore dell’artigianato che ruota intorno ad essa.

Nella quotidianità si possono gustare i piatti tradizionali e, cosa importantissima, Pasqua ha voluto in cucina le donne che la conoscono bene, capaci di prepararla nella giusta maniera. Sì, perché ci sono preparazioni complesse e solo nelle famiglie legate alla tradizione è possibile trovare questi saperi. Qui si tiene moltissimo all’autenticità, una scelta che è diventata il punto di forza e di vanto. Si viene al Su Gologone praticamente da tutto il mondo, nei vari ambienti si sentono parlare molte lingue internazionali.

Cosa si mangia al Su Gologone

Ma cosa si mangia al Su Gologone? Le cose di sempre, risponde con estrema naturalezza Pasqua, con voce serena e pacata, uno stato d’animo che lo sguardo, fiero e disteso, rimanda costantemente.

Tantissimi prodotti della terra, iniziamo col dire che il mare è distante. Quindi la presenza vegetale è predominante, così come l’olio extravergine di oliva – incontreremo molto spesso lungo il percorso sul territorio l’olivo, sia selvatico che non.

Partiamo dal pane al quale Giovanna ha dedicato lo spazio Nido del pane. La Sardegna è per eccellenza terra del pane con più di 90 varietà, uno scrigno prezioso di antica memoria. Al Nido del pane vengono preparati dal vivo i pani serviti a tavola, da poter gustare anche sulla terrazza dove è posto il forno a legna tipico. A prepararli ci sono Franca e Pietro che seguono passo passo il rituale con grande maestria, incantando attraverso quei semplici gesti, chi ha il piacere di assistere.

La preparazione del pane carasau in primis, con farina di grano triticum durum, assaporato appena sfornato in purezza, oppure con olio extravergine di oliva e sale è stato emozionante quanto appagante.

Accompagna i piatti e i tanti formaggi: in questo periodo ci sono le favette della Barbagia, delicate e saporite allo stesso tempo, ricercate in maniera quasi maniacale da Pasqua. Frattau (grattugiato) è un piatto poverissimo e della quotidianità, simbolo della cucina dei centenari, ha il sapore dei ricordi di famiglia, viene preparato con pane carasau bagnato, condito con pecorino, sugo di pomodoro e uovo in camicia – molto apprezzato dagli ospiti di Su Gologone pur essendo assolutamente frugale, grazie all’impegno della famiglia Palimodde.

Il minestrone che fa vivere 100 anni

Tantissime le verdure e i legumi, soprattutto fagioli e ceci conditi con merca, il formaggio fatto con latte ovino cagliato, il condimento di ogni piatto, quello che il pastore poteva prepararsi da sé durante il pascolo o la transumanza.

Pare che l’elisir di lunga vita stia proprio nel famoso minestrone di verdure consumato nella quotidianità, condito con olio di lentisco e con la merca, dove ogni tanto si assapora qualche carosco, le frittelline di pane. Superbi i carciofi sardi preparati in diversi modi, anche nel minestrone, oppure alla brace, o ancora in umido con il finocchietto selvatico, quest’ultimo una presenza frequente e apprezzatissima. Il pistizone è la semola lavorata come il più noto cous cous, senza olio, a volte tostata, da versare nelle minestre di verdure o nel brodo di carne.

Mallooreddus e alizansas

I malloreddus li conosciamo bene un po’ tutti, pasta che al ristorante di Su Gologone preparano a mano le donne in cucina, era piatto della domenica, condito con sugo di guanciale di maiale o di altra carne, rifinito sempre con una grattugiata di pecorino. Allo stesso modo i macaroni di busa, busa è il ferro per la calza, sempre prodotti artigianalmente nelle proprie cucine.

Intorno alla struttura ci sono i boschi, e spesso arrivano i funghi di cardo, o i porcini, appena raccolti, con i quali si condiscono le alizansas, le tagliatelle larghe di farina integrale.

Il piatto miracoloso: il Filindeu

Una preparazione particolarissima, ormai rara, un privilegio trovarla qui, è il filindeu, un miracolo lo definisce Pasqua, per il procedimento complesso e lungo, seguendo una tecnica antichissima di essiccazione della pasta destinata al giorno di San Francesco, a Lula, paese della Barbagia. Quello autentico pare si possa trovare solo al Su Gologone, e a prepararlo per loro è la famiglia Marungiu, unica a perpetuare questa tradizione. Il filindeo viene essiccato su piani di sughero e la trama sembra quella di un tessuto, poi immerso nel brodo di carne, una volta di pecora, qui di manzo per renderlo più leggero.

Le carni sono principalmente di agnello e capretto, poco presenti nella dieta dei centenari, arrostite al fuoco della brace, perennemente acceso, o cucinate in tegame con alloro e finocchietto selvatico. Anche il pesce si mangiava ogni tanto, di tradizione il mercoledì e il venerdì, ma non di mare perché è distante da Oliena, solo di acqua dolce, per lo più anguilla e trota, cucinate velocemente tra due piatti posti l’uno su l’altro nel forno a legna, circa 15 minuti, si gira una volta sola, condite con pochissimo pomodoro, cipolla e aglio. Oggi arriva il buon pescato di mare dal golfo di Orosei.

I dolci

I dolci sono un mondo a sé, unici nel loro genere, particolarmente raffinati, li troveremo spesso alla prima colazione, così come al ristorante. La sevada è millenario, si sono ritrovati i resti nei nuraghe, il prelibato raviolo di pasta di semola, ripieno di formaggio di pecora fermentato, poi fritto e addolcito con miele di asfodelo. In questo periodo, andando in giro per la Barbagia, si incontrano un po’ ovunque le distese dell’asfodelo in fiore, uno spettacolo della natura indimenticabile. Molto usato anche il miele di corbezzolo.

Le casaline hanno la forma elegante di una corona, sempre di farina di semola 100%, poco dolci, ripiene di formaggio e addolcite con il miele. Le troveremo anche in versione salata, ripiene di ricotta e finocchietto, o in altri sapori, al Nido del pane, preparate al momento.

C’è tutto un modo meraviglioso di dolci con le mandorle, dagli amaretti, di pasta reale, croccanti fuori e morbidi all’interno, aromatizzati con arancia o limone, ai pastissus, di un’eleganza unica per le decorazioni, pasticcini a tre strati, bianchi, ricoperti di glassa sottile e finemente decorata, e poi molti altri.

Ci racconta Pasqua che il latte di capra è un altro elisir di lunga vita, ricco di acido linoleico, che esercita un importante azione anti infiammatoria e anti tumorale.  Onnipresente nell’alimentazione della gente della Barbaria, da sempre pastori, consumato sia fresco che per la ricca attività casearia. Primo latte ad essere assunto degli uomini, risulta anche per questo motivo più digeribile.

Due passi sul Supramonte

Nella dieta dei centenari c’è sempre un formaggio di capra, fresco, più o meno stagionato, e la pastorizia è parte fondamentale della storia e della cultura locale.  Motivo per cui Giovanna ha scelto di inserire tra le attività del suo albergo l’esperienza con il pastore Tonino sul Supramonte.

Ci si arriva in jeep, fin sopra in alto, non ci sono strade, ma piccoli sentieri impervi. Tonino è tra i pochissimi pastori in tutta la Sardegna che vive ancora il rifugio sulla montagna, insieme alle capre che si trovano riparo nella grotta naturale che fende la parete rocciosa.

Scene antichissime che mantengono vivo il fascino legato alla bellezza intima e silenziosa della natura incontaminata. Le capre vanno al pascolo da sole, rientrano poi al tramonto. Tonino prepara per i pochi ospiti ammessi una serie di bontà frugali, ma dal sapore indimenticabile.

La brace è accesa e ci sono ad arrostire le carni: salamelle di maiale e capretto. I salumi sul grande tavolo di legno da lui intagliato sono gustosissimi, al pari dei formaggi caprini. Anche i piatti e i bicchieri li ha prodotti con le sue mani, così come le caraffe intagliate nelle zucchette, dalle quali versa il vino, un nepente di Oliena, il cannonau di questo territorio, sottile e fresco, piacevolissimo.

I pomodori conditi con menta e timo tritati e gioddu, latte di capra cagliato e fermentato sempre da Tonino, come hanno sempre fatto i pastori sardi. Non manca il pane carasau, i pastori lo portano con sé mantenendosi bene a lungo, e alla fine del pasto viene bagnato, farcito di formaggio fresco fuso al momento sulla brace, condito con miele e servito come dolce.

Pochissime parole, Tonino è abituato a stare da solo. La bellezza di questo luogo si porta dentro a lungo, è fatta di luce filtrata dagli alberi, del canto dei tanti uccelli, della serenità che la natura rimanda nella sua beatitudine libera e incontrastata. Nella sua estrema semplicità, sarà il ricordo più forte e profondo legato al viaggio tra i sapori e i luoghi della Barbagia. Forse anche perché sappiamo bene che scene come queste stanno per esaurirsi.

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