Il piccolo ristorante giapponese nella periferia di Roma, perennemente sold out

26 Apr 2024, 14:26 | a cura di
Un'izakaya perennemente sold out, che in alcune serate speciali si apre al fascino intimo del menu degustazione al bancone. Ecco com'è l'omakase di Mikachan

È un posto inusuale Mikachan. Per la posizione, innanzitutto. All'Infernetto, in quella zona dell’Agro Romano vicina al litorale e urbanizzata nel dopoguerra in maniera non sempre regolare. Un sobborgo residenziale nel quale, alle spalle di un palazzo con area commerciale, farmacia, parrucchiere e pub, l'ingresso nascosto dietro uno steccato di vimini, si cela un localino annunciato solo da una piccola lanterna giapponese.

Il successo di Mikachan

Inusuale, Mikachan, anche perché l’insegna non è la traduzione di qualcosa di esotico, come fiori di ciliegio o cieli orientali, ma è un omaggio alla sua creatrice, italiana, romana, Micaela Giambanco, ispirata fin da piccola sulla via del Giappone dall’amore per il karate e poi folgorata dalla sua cucina. Mika-chan (che suona come un vezzeggiativo, la piccola Michela) è lei, ancora quella ragazzina conquistata dalla cultura di un paese tanto lontano quanto irresistibile, anche oggi che il locale che ha aperto nel 2018 con suo marito Paolo – anche lui nippo-appassionato - è da tempo un caso, con una lista d’attesa di sei mesi, menzioni dalla stampa nazionale e stima dal mondo più difficile, tanto più per una donna, quello dei ristoratori giapponesi (Giambanco è parte dell’AIRG, l’Associazione Italiana Ristoratori Giapponesi, fondata vent’anni fa a Milano da decani del settore come Hirazawa Minoru, di Poporoya).

L'izakaya dell'Infernetto

Nelle serate normali, dal giovedì alla domenica, la sala di Mikachan è animata da un’atmosfera vivace e conviviale: meno di una ventina di coperti su cinque tavoli, scaffali ricolmi di prodotti che inneggiano all’immaginario pop del Giappone, tra snack e bibite coloratissime. Del resto si tratta di un’insegna nata ispirandosi alle izakaya, le osterie giapponesi nelle quali si va per condividere un bicchiere di sake e qualche piatto confortante. Il mercoledì, invece, si cambia tono: calano le luci, l’unica zona illuminata è il bancone, sette posti per altrettanti ospiti che si affidano alla cheffe con il menu omakase, che, appunto, si traduce con “mi fido di te”.

L'omakase del mercoledì

Insieme agli eventi speciali, la serata omakase del mercoledì forse è il modo più agevole per riuscire ad avere un agognato posto da Mikachan. Se, infatti, per il menu alla carta dell'izakaya, durante la settimana, le prenotazioni sono al completo per mesi, qui l’impegno è più oneroso e seleziona a monte la clientela: il menu degustazione, a 120 euro, viene comunicato agli ospiti con anticipo, ma per confermare la prenotazione va effettuato contestualmente anche il pagamento. Solo solo sette i posti previsti, le materie prime selezionate appositamente per l’occasione: non ci si può permettere nemmeno un no show.

La magia del sushi

Con un sottofondo di jazz giapponese e Micaela Giambanco dietro al bancone a officiare il rito - e a coinvolgere i commensali con racconti sulla cultura del Sol Levante -  ecco partire le danze con un aperitivo leggermente alcolico, che apre la strada, se lo si desidera, al pairing con uno dei sake selezionati in casa. In menu si legge Perle di mare in nido d'agrume e arriva il boccone sapido delle uova di salmone marinate a dovere su una sfera di riso vercellese Yume Nishiki con polvere di yuzu.

È il momento dei nigiri, il momento in cui la cheffe si mette in gioco davanti agli ospiti. Sistema i coltelli, mostra la cassetta che contiene, come gioielli, i pesci scelti per la serata, ne racconta caratteristiche e abbinamenti: foglie di shiso, yuzu, soia chiara, soia tradizionale, wasabi (la pasta è ottenuta dalla vera radice grattugiata che arriva dal Giappone), ogni condimento è dosato al millimetro, non ci sono ciotoline di salse a discrezione degli ospiti, ci si deve affidare a lei per non rovinare la magia degli equilibri tra pesce e riso che contraddistingue l'arte del sushi. Magia che si compie con la progressione di calamaro selvaggio, spigola, ricciola con pelle flambata, vongola artica, alice, tonno, tonno marinato, capasanta di Hokkaido e riccio: tagli, consistenze, scioglievolezza, concentrazione sul sapore del mare, c'è tutto. Il picco è raggiunto.

Un menu ortodosso

Si potrebbe terminare qui e sarebbe già una esperienza compiuta, ma il percorso che Giambanco riserva ai suoi ospiti annovera una vera immersione nella tradizione nipponica: il sunomono (che si traduce con "cibi conditi con aceto") con verdure e gamberi è davvero fresco come promette il menu, cetrioli e alghe hanno una croccantezza appagante. Lo sgombro grigliato, con le lische, come fanno in Giappone, è saporito e tenerissimo, particolarmente piacevole da mangiare con le bacchette, anche per i profani.

Il chawanmushi (budino) primaverile è un concentrato di umami, tra uova, katshuobushi, funghi shiitake, setoso e suadente può conquistare anche chi, solitamente, con i budini non ci va a nozze. Lo snack dell'alga fritta che contiene le uova di spigola viene poi seguito dall'ochazuke di stagione: sul riso condito con verdure e altri ingredienti viene versato del tè che lo trasforma nella classica minestra da serata casalinga, forse troppo semplice a questo punto del menu. Che invece finisce al meglio con la gelatina di umeshu e sakura: vero inno alla primavera è un mangia e bevi incentrato sul delicato liquore alle prugne, con differenze di temperatura che esaltano anche il profumato fiore di ciliegio. Una tazza di tè è il saluto finale, a notte fonda, con il quale ci si congeda dal Giappone per tornare a casa, a Roma.

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