Professione enologa. Poche donne ma tenaci.

8 Mar 2013, 12:52 | a cura di

Su 4300 soci di Assoenologi (circa il 90% della categoria) le donne arrivano appena al 6,5%. A incrementare la loro presenza, l'istituzione del corso di laurea nel 1991. Un’inchiesta a ridosso dell’8 marzo per capire come una professione un tempo solo maschile si sta aprendo. Sull’onda di una sensibilit&agr

ave; femminile molto in linea con le esigenze del mestiere.

Nella foto da sx Laura Orsi, Barbara Tamburini, Antonella Baini

Donne sull'orlo di una vasca di vino. Sono sempre di più le enologhe o enologi donne (la confusione sulla declinazione fa capire da quanto poco tempo l'enologia si sia aperta all'universo femminile!) che ogni giorno, al pari dei colleghi uomini, si destreggiano tra soluzioni nutritive, sonde di temperatura, tubi di dosaggio, analisi organolettiche. E a chi dice loro che non è un mestiere da donna, rispondono semplicemente rimboccandosi le maniche. Ma esiste ancora il famoso tetto di cristallo? E soprattutto le quote di vino sono direttamente proporzionali alle quote rosa?

 

I numeri di Assoenologi (l'associazione di categoria che conta tra gli iscritti sia enologi, sia eno-tecnici) mostrano un'eno-Italia ancora troppo maschile: su 4300 soci (circa il 90% della categoria) le donne arrivano appena al 6,5%. “Ma è già un passo in avanti”, spiega il direttore di Assoenologi Giuseppe Martelli, “negli anni '90 non superavano il 4%, quindi c'è stato un incremento del 50%”. Cosa le ha incoraggiate? “Probabilmente l'istituzione del corso di laurea nel 1991 con la legge 129/91” continua Martelli “prima l' enologo era semplicemente un tecnico e come tale si inseriva in un ambito più consono alle attitudini maschili. Con la laurea è diventato un titolo meno limitante, con più possibilità di lavorare in laboratorio, nel settore commerciale, in ambito accademico e poi certo, anche in cantina. Un dato tra tutti: nel mio corso, alla scuola di Enologia di Conegliano, c'era solo una donna. Erano gli anni '70. Oggi le cose son cambiate e non sussistono più discriminazioni neppure in termini economici”.

Con qualche diffrerenza da regione a regione: al primo posto per l'impiego di enologhe troviamo il Lazio con il 9%, all'ultimo la Sicilia con il 2%.

 

 

Ma proprio dalla Sicilia viene una case history di successo, quella di Laura Orsi, enologa di Tasca d'Almerita. Una milanese trapiantata al Sud con un lavoro prettamente maschile: potrebbe sembrare una contraddizione se si pensa alla Sicilia come alla terra di film come “La ragazza con la pistola” o “Divorzio all'italiana”. Ma la nostra ragazza con la pistola (quella erogatrice utilizzata in enologia!) ha un'idea diversa: “Non credo ci sia differenza tra Nord e Sud in tema di emancipazione lavorativa. Si pensi che io ho iniziato questo lavoro proprio in Sicilia. Certo all'inizio qualche imbarazzo c'era. Ricordo uno dei primi incontri cui partecipai a Marsala tra viticoltori ed enologi: ero l'unica donna in mezzo a tanti uomini, età media cinquant'anni. Ma erano gli anni '90, le cose son cambiate. Negli stessi anni capitava spesso che venisse qualcuno in azienda per controlli o sopralluoghi e magari chiedeva: «è questa la cantina dove c'è l'enologa fimmina?» Ma era semplice curiosità, non pregiudizio. È un ricordo che mi fa ancora sorridere”.

 

Laura è arrivata in Sicilia negli anni '90 nell'azienda Calatrasi per poi passare a Feudo Principi di Butera. Infine l'incontro con la famiglia Tasca dove adesso lavora da quasi dieci anni: “Hanno avuto fiducia in me e non è una cosa da poco”, racconta, “soprattutto perché allora i tempi non erano così maturi. Oggi si è capito che le competenze dipendono esclusivamente dalla persona, al di là delle sue generalità. E poi certo, bisogna imparare a collaborare: non c'è niente di male a chiedere aiuto a magazzinieri o a capo-cantinieri per i lavori sporchi. Come in tutte le cose serve lavoro di squadra”.

Ma c'è qualcosa in più? Una peculiarità che la donna in quanto tale può portare a questo mestiere.

 

Risponde Barbara Tamburini, professione enologo (“sul mio biglietto da visita ho lasciato la declinazione al maschile”, dice) laureata in Viticoltura ed Enologia all'Università di Pisa nel 2000 (la percentuale di donne sul totale di laureati in quell'anno era del 40%: non male!): “Credo che la donna abbia un apporto sensoriale più incline alla natura, si pensi alla predisposizione verso gli aromi della cucina, il ruolo materno, il profumo dei fiori. Veder nascere un vino, assecondando la natura, condurlo verso il traguardo della bottiglia, scoprendo le infinite sensazioni organolettiche che via via si manifestano, sono emozioni in linea con l'emotività femminile. Del resto, la sensibilità che la donna enologo può esprimere nei confronti della creatura-vino non può, forse, richiamarsi all'istinto materno?”. Non si tratta di pure astrazioni, basti pensare che scientificamente è dimostrato uno sviluppo maggiore dell'olfatto nelle donne. E nel mondo del vino non è cosa da poco. Il fiuto di Barbara per l'enologia, invece, si sviluppa fin dall'adolescenza, trovando un punto di riferimento nel suo maestro (e professore universitario), Vittorio Fiore. Oggi segue oltre quindici aziende in tutta Italia, tra cui Gualdo del Re (Suvereto), Azienda Goretti (Perugia) e I Balzini (Barberino Val d'Elsa- Firenze). Alle giovani enologhe o aspiranti tali il suo consiglio è di non dimenticare i settori più deboli del comparto vino: quello commerciale e quello gestionale.

 

E tra queste giovanissime c'è anche Antonella Baini, classe '81, enologa di Tenuta Rubbia Al Colle di Suvereto (Grosseto): donna e giovane, un doppio caso di successo in un'Italia ancora troppo maschile e in piena crisi. Ha iniziato affiancando il precedente enologo della Tenuta durante gli studi alla Facoltà di Agraria di Firenze, poi la sua grinta e la sua determinazione hanno convinto i fratelli Muratori a darle piena fiducia e assumerla a tempo pieno. “Ammetto di essere stata fortunata” riconoscendo che a tutt'oggi non è facile per una donna “invadere” un campo così maschile “è vero che c'è ancora molto scetticismo, probabilmente perché si tratta di un lavoro molto operativo che implica decisioni repentine, assunzione di responsabilità e capacità di utilizzare i macchinari in cantina. Ma ormai stiamo accorciando le distanze”.

 

 

 

Lo sa bene anche Elena Martusciello, presidente delle Donne del Vino, l'associazione che raggruppa produttrici, ristoratrici, enotecarie, enologhe, sommelier e giornaliste del vino e che quest'anno compie 25 anni: “Se mi chiedono cos'è cambiato in questo quarto di secolo, non ho dubbi: è cresciuta la consapevolezza. Una volta chi intraprendeva il lavoro in cantina era per lo più figlia di, o moglie di. Adesso è una scelta, un percorso di studi, una professione in cui si decide di investire, E l'enologia rappresenta l'emblema di questa scelta”. Come si dice, dietro un grande vino c'è sempre un grande enologo. E non è una “a” a fare la differenza.

a cura di Loredana Sottile

08/03/2013

 

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale "Tre Bicchieri" del 7 marzo 2013. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. E' gratis, basta cliccare qui.

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