Tre bicchieri 2018. Parla Franco Adami della Cantina Adami

12 Ott 2017, 15:30 | a cura di

Un secolo di spumanti: la cantina Adami da 90 anni produce solo Prosecco nelle diverse declinazioni. E oggi, nel suo Vigneto Giardino, rinuncia al termine Dry in favore della dicitura Asciutto.

Parlando di Prosecco non si può non fare riferimento alla cantina Adami, che da 90 anni produce esclusivamente il famoso vino spumante di questa zona, in diverse declinazioni. Espressione di identità e di territorio: quell'area collinare che congiunge Valdobbiadene a Conegliano. Sono una dozzina di ettari distribuiti su alcune delle più belle esposizioni, cominciando con il vigneto Giardino a Colbertaldo e chiudendo sulle Torri di Credazzo a Farra di Soligo. Ma la produzione fa riferimento anche a una rete di viticoltori della zona con cui l'azienda mantiene un rapporto di collaborazione stretto per garantire la qualità costante, “ho assaggiato tantissima uva in giro” dice Franco Adami- insieme ad Armando alla guida della cantina fondata dal nonno Abele – quando gli chiedi un commento sull'andamento della stagione 2017. A testimonianza di una presenza attenta anche nei vigneti dei loro conferitori. Il Tre Bicchieri è andato al Vigneto Giardino Asciutto. Un'indicazione, questa, adottata in vece di Dry. Un vino dal profilo aromatico raffinato e giocato sul frutto bianco croccante rinfrescato da note floreali. L’ottima vendemmia 2016 consente al vino di mettere in mostra solidità e tensione mantenendo la dolcezza sullo sfondo, per un finale grintoso e molto lungo. Intenso, armonioso e di grande eleganza il Col Credas.

 

Ora il vostro Vigneto Guardino si chiama Asciutto e no più Dry. Da dove nasce questo nome?L'idea nasce proprio dalla storia di questo vino: nel 1933 Abele Adami, mio nonno, portò a Siena alla prima mostra di vini tipici d'Italia, un vino che si chiamava Riva Giardino Asciutto. Solo dopo molti anni mi sono accorto che il termine Asciutto è consentito dal disciplinare.

 

Come mai questa scelta?

La parola Dry per noi Italiani non significa nulla. Non è sinonimo di secco, secondo me il termine giusto è asciutto. Ovvero che ha un attacco morbido nella fase iniziale ma poi ha acidità e sapidità che danno una chiusura secca e pulita. In Italia Dry è praticamente sinonimo di vini morbidoni, a volte stucchevoli con parecchia dolcezza. Per noi è importante che sia giocato sulla pulizia

 

Non teme che sul mercato internazionale questa scelta possa penalizzarvi?

Al contrario: crediamo che il termine Asciutto possa generare un po' di curiosità, anche se poi in alcuni mercati, come quello nordamericano, si devono dare determinate indicazioni nella retroetichetta e quindi dobbiamo scrivere Dry. Ma mi piacerebbe che Vigneto Giardino dicesse la sua a prescindere dalle definizioni. Noi vorremmo pian pian svincolarci dalla scritta in etichetta, se potessimo non la metteremmo per niente perché l'indicazione della quantità di zucchero talvolta genera dei preconcetti, tra l'altro ci sono Extra Dry che sono molto vicini ai Brut.

 

In Italia, invece?

Riguardo la tipologia Extra Dry non esiste un termine equivalente in italiano. Ci sarebbe amabile, ma non si può usare. La questione è legata al fatto che secco e asciutto non hanno lo stesso significato: asciutto indica un finale non dolce, senza percezione zuccherina.

 

Stiamo assistendo a un enorme successo del Prosecco, secondo lei quali ne sono i motivi?

I motivi occorre cercarli nelle caratteristiche stesse del vino: perché è semplice, di facile approccio, non è particolarmente impegnativo alla degustazione, ma allo stesso tempo ha una sua precisa identità, profumi e gusti primaverili, una dolcezza non invadente, è un vino che dà freschezza, che ha una bella armonia nei suoi componenti: zuccheri, sale, pienezza, acidità. Un vino leggero e non banale: ne bevi un bicchiere – anche due - senza fatica, quasi non ti accorgi, non impone di essere accompagnato dal cibo. Questa è la sua grandezza: è semplice, armonico, piacevole, giovane, oltre a non essere impegnativo economicamente. E poi è un vino che ha creato un momento di consumo che prima non c'era.

 

Cosa intende con questo?

È un vino che non ha bisogno di essere accompagnato dal cibo, perché leggero, questo ha aperto la strada al consumo fuori pasto, agli aperitivi. Quindi abbiamo esportato non solo un vino ma anche un modo di consumarlo. Quello tipico dei bacari, per intenderci: dove prendi un bicchiere o due senza cenare, magari giusto con una polpetta, una fettina di salame o mezzo ovetto, il classico cichetto da mangiare in compagnia con le mani insieme all'ombra, cioè al bicchiere di vino. È un momento di incontro informale e spensierato con le persone. Ecco, il Prosecco rappresenta tutto questo.

 

Riguardo al successo internazionale del Prosecco; quali sono le luci e le ombre?

Quando il successo è così grande ci si chiede come si farà a mantenerlo. Le uniche ombre sono legate alla capacità di noi produttori di costruire valore su un vino che oggi è visto semplicemente come un prodotto superaccessibile e invece ha delle qualità intrinseche particolari, inimitabili nelle sue migliori espressioni.

 

Quali sono le piazze più importanti per il Prosecco?

Il 60% rimane in Italia, che è il mercato principale. Il resto si divide tra Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, ma l'elenco continua con altri 30 paesi diversi. Il Prosecco è un fenomeno che è cresciuto così tanto che oggi è importante comunicare che questo è vino buono, e che a Conegliano Valdobbiadene è ancora più buono. Insomma che esiste il Prosecco Superiore.

 

È un'operazione difficile?

Non è difficile, ma è un lavoro che dobbiamo fare tutti costantemente. Ci vorrà un po' di tempo perché sia chiaro che la qualità di questo vino dipende dal territorio e non si può esportare semplicemente portando le uve altrove. È nato su queste colline, poi il territorio si è molto ampliato, merito dei produttori. Ma bisogna insistere sulla qualità assoluta di questa area.

 

Quali sono i rischi?

Si pensa che un vino così semplice nelle sue caratteristiche sia replicabile ovunque, infatti è molto imitato e lo sarà sempre di più, proprio perché è un vino immediato. Non è come lo Champagne, che è più impegnativo. Invece bisogna cercare, e far emergere, nelle caratteristiche del Prosecco le qualità migliori, quelle inimitabili. In 10 anni c'è stata crescita tale che a volte non ci si riesce a starle dietro nel fare comunicazione. È fondamentale puntare non solo a chi lo beve ma anche a chi lo ama, lì arriva un messaggio più chiaro, e c'è una scelta del prodotto più precisa. È un lavoro che possiamo fare da soli come aziende ma anche attraverso la comunità o i consorzi.

 

Com'è andata la stagione 2017?

Siamo partiti malissimo, abbiamo avuto qualche gelata nel piede delle colline, che ha toccato per fortuna una percentuale minima del territorio, poi la stagione è stata molto bella fino a luglio - qui qualche pioggia c'è stata a differenza di altre zone - fioritura e legagione sono state splendide. Abbiamo avuto una quantità leggermente inferiore di grappoli e un peso medio di poco superiore. Alla fine dei conti una produzione è ridotta ssolo del 5-6%. Agosto poi è stato molto caldo e senza pioggia anche qui. Chi ha potuto ha fatto una piccola irrigazione di soccorso.

 

Per quanto riguarda la vendemmia?

Le uve sono sane, perfette, e molto buone con un rapporto preciso tra acidità e zucchero. Poi però durante la vendemmia siamo andati a singhiozzo, perché ci sono state delle piogge, quindi abbiamo uve raccolte tra il 7 e il 10 settembre e altre più tardi, quindi con un livello di maturazione più avanzato. Ci sarà da divertirsi con le cuvée.

 

Ultima domanda: le colline del Prosecco, secondo lei, diverranno patrimonio Unesco?

È come chiedere a un ragazzo che studia se sarà promosso... Secondo me abbiamo ampie possibilità, è un territorio pregiato. Recentemente abbiamo avuto una lunga visita proprio per verificare sul territorio che quanto dichiarato in fase di candidatura come sito Patrimonio Unesco rispondesse a verità. Ora vedremo, mi auguro di sì. Questo costringerà insieme delle persone - a prescindere da azienda, associazione o comune - a lavorare insieme per mantenere questo territorio e le caratteristiche per cui abbiamo chiesto di essere Patrimonio Unesco. Ora gli unici che possono rovinare questa cosa sono i produttori stessi che non credendo nelle nostre potenzialità e pensano basti fare e vendere tante bottiglie senza considerare nient'altro.

 

Adami |Colbertaldo di Vidor (TV) | via Rovede, 27 | tel 0423 982110 | http://www.adamispumanti.it/

 

a cura di Antonella De Santis e William Pregentelli

 

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