“Agatì, beddruzza mia, comincia a mischiare la farina con la sugna e sentimi bene, che ti devo raccontare una cosa importante…”: inizia così il secondo capitolo del romanzo “Il conto delle minne” di Giuseppina Torregrossa, pubblicato per la prima volta nel 2009. In quest’opera, la scrittrice palermitana si sposta a Catania e costruisce una storia ricca di spunti e riflessioni, che affronta l’amore (da quello materno alla vita di coppia, etero e omosessuale) nelle sue innumerevoli sfaccettature, tra cui la sofferenza che diventa sinonimo di abbandoni, rinascita e malattia.
Il dolce dedicato alla Santuzza
Un caso letterario molto interessante anche perché, pur non essendo un libro di cucina, nella sua struttura narrativa permane un fil rouge tutto gastronomico che ritroviamo dalla prima all’ultima pagina: le minne di Sant’Agata, ossia quella sorta di cassatine che per forma e aspetto ricordano il seno femminile, ricoperte di glassa e impreziosite con una ciliegina candita. Sono infatti dedicate alla Santa protettrice di balie, nutrici e donne affette da patologie al seno, oltre che patrona di Catania (la celebrazione cade il 5 febbraio, ma i festeggiamenti in città iniziano qualche giorno prima). E la “cosa importante” a cui Giuseppina Torregrossa fa riferimento è proprio la storia di Agata, la martire vissuta nel III secolo che - secondo la tradizione cattolica - subì lo strappo delle mammelle per volontà del console romano Quinziano, e riuscì a sopravvivere alla tortura grazie all’apparizione di San Pietro che ne sanò le ferite, ma fu poi sottoposta ai carboni ardenti e morì il 5 febbraio del 251.
Quel quaderno (di ricette) da conservare con orgoglio
Nel romanzo, nonna Agata racconta alla nipote, sua omonima, la storia della Santuzza (così è spesso ribattezzata nel libro), mentre sono entrambe intente a realizzare le minne. Un’immagine, un momento che già dice molto a proposito del valore e significato che l’autrice attribuisce a questo dolce: “dietro le minne, e in realtà dietro qualsiasi preparazione casalinga, c’è un patrimonio fatto di sentimenti e legami affettivi, ma anche di ricordi e costruzione di un’identità”, spiega Torregrossa, “nelle cucine si svolgeva la vita, prendeva forma un passaggio di testimone da nonna, gelosa custode della memoria, a nipote, da madre a figlia; forse tutto ciò sta andando perso, perché in casa si sta ai fornelli sempre meno, però credo che ognuno di noi conservi con piacere quel quadernino segreto e ciancicato dove sono riportate le vecchie ricette, che rappresentano il passato e la storia della propria famiglia”.
L’unione di sacro e profano
Nel caso del libro, la storia è quella di una famiglia che ha costruito la propria identità anche attorno alla devozione a Sant’Agata, frutto del legame personale che la scrittrice vive con la Santuzza e che si intreccia –paradossalmente, ma solo in apparenza - con l’evidente sensualità che contraddistingue le minne. “Si tratta di uno di quei dolci che dimostrano quanto, ancora oggi, in Sicilia le consuetudini religiose ricoprano un ruolo significativo e come, allo stesso tempo, non esista nulla di più pagano della religione stessa”, prosegue Torregrossa. In un’isola che trova nella secolare stratificazione e commistione culturale la sua unicità, non poteva di certo andare diversamente; non sorprende, infatti, che ci sia chi fa risalire l’origine della festa di Sant’Agata a certi culti dedicati alla dea Iside.
L‘espediente letterario per raccontare il cancro al seno
“In ogni caso, le minne sono un modo per esprimere la venerazione riservata alla Santa o per invocare la protezione dei seni”, precisa la scrittrice, “come in un certo senso è accaduto pure a me: anni fa sono stata operata per un cancro al seno e ho scritto “Il conto delle minne” dopo la mia seconda chemioterapia; questo romanzo mi ha dato notorietà e ne sono grata a Sant’Agata”. Ed è proprio il tumore alla mammella uno degli elementi di continuità che caratterizzano la narrazione, dato che - generazione dopo generazione - colpisce le donne immaginate e descritte da Giuseppina Torregrossa:“volevo raccontare le tette di questa famiglia e così ho individuato nelle minne di Sant’Agata il dolce perfetto per accompagnare la storia, data la sua valenza fortemente simbolica”, ricorda Torregrossa, che ha lavorato per oltre 20 anni come ginecologa.
Il modo in cui il cancro viene scoperto, affrontato e riconosciuto nei vari piani temporali che si alternano lungo la trama – dalla bisnonna Luisa, che “aveva perso la sua vita a causa di una misteriosa malattia che era partita da una minna e le aveva mangiato in poco tempo il resto del corpo”, alle zie Titina e Nellina che furono “rese calve dalla chemioterapia”, fino alla protagonista Agata, che a causa della stessa malattia viene sottoposta alla mastectomia – rappresenta l’espediente per mostrare la progressiva evoluzione della medicina. Ecco dunque spiegato il titolo del libro, simbolo della speranza che i seni restino sempre pari e di conseguenza del rituale superstizioso portato avanti da nonna Agata, che serve le minne rigorosamente a coppie: “Buonanima, quando disponevamo le minnuzze della santa sul vassoio, non mi raccomandava altro: «Agatì, paro: non sparigliare mai!»”, si legge nel testo.
Pasta frolla o pan di Spagna?
“Il bello è che, mentre nel romanzo le vicende si susseguono e il progresso prende forma, la ricetta delle minne di nonna Agata resta invece sempre la stessa”, sottolinea Torregrossa. Su questo punto però, prima di fornirvi ingredienti e passaggi necessari per realizzare le cassatine così come sono trascritti all’inizio del libro, dobbiamo aprire una parentesi. Perché le minne di Sant’Agata di cui parla Giuseppina Torregrossa sono realizzate con la pasta frolla: “quando ho lavorato a “Il conto delle minne” ho trascorso molto tempo a Catania e lì ho fatto delle ricerche, confrontandomi con casalinghe e anziane donne della città”, ci spiega. La versione più comune nelle pasticcerie catanesi, invece, prevede l’impiego del pan di Spagna, rivestito (prima della copertura finale con la glassa) con uno strato di pasta reale. Sul ripieno, però, sono tutti d’accordo: ricotta, scaglie di cioccolato e canditi. E forse il fascino di ogni ricetta risiede proprio nelle infinite varianti che se ne possono elaborare, tutte da conservare con fierezza in quel “quadernino segreto e ciancicato”.
La ricetta tratta dal libro “Il conto delle minne” (per otto cassatine)
Ingredienti per la pasta frolla
600 g. di farina 00
120 g. di strutto
150 g. di zucchero a velo
2 uova
Aroma di vaniglia q.b.
Tagliare lo strutto a dadini e lavorarlo tra le dita insieme con la farina. Quando i due ingredienti saranno ben amalgamati aggiungere lo zucchero a velo, incorporare le uova e la vaniglia. Impastare velocemente. Quando il composto avrà una consistenza soffice ed elastica, da poterci affondare le dita come in un seno voluttuoso, coprire con una mappina e lasciar riposare.
Ingredienti per la glassa
350 g. di zucchero a velo
2 cucchiai di succo di limone
2 albumi
Sale q.b.
Montare parzialmente gli albumi con un pizzico di sale. Aggiungere lo zucchero, il succo di limone e continuare a mescolare fino a ottenere una crema bianca, lucida, spumosa.
Ingredienti per il ripieno
500 g. di ricotta di pecora
100 g. di canditi (di zucca, cedro e arancia)
100 g. di scaglie di cioccolato fondente
80 g. di zucchero
Lavorare la ricotta e lo zucchero fino a farne una crema liscia, senza grumi. Unire i canditi e il cioccolato. Lasciare riposare in frigorifero per un’ora circa.
Imburrare e infarinare stampini rotondi, perché il dolce abbia la forma di un seno. Stendere la pasta frolla in uno strato sottile. Foderare il fondo degli stampini, farcirli con la crema e chiuderli con dischi di pasta frolla. Capovolgerli sulla piastra unta e infarinata. Cuocere nel forno a 180° per 25-35 minuti. Sfornare e far freddare su una griglia. Estratta delicatamente ogni cassatina dal suo stampo, colarvi sopra la glassa, in modo uniforme perché tenderà a solidificare in poco tempo. Perché delle semplici cassatelle si trasformino come per magia in seni maliziosi, minne piene, decorate queste magnifiche, bianche, profumate rotondità con una ciliegina candita.
a cura di Agnese Fioretti
foto di copertina Luca Tringali. http://www.ivistudio.it/