LA VIGNA | Ci troviamo nel cuore della piccola Denominazione che guarda il Mar di Sardegna, una zona di dolci colline che pian piano arrivano verso le spiagge. Filari di malvasia, muretti a secco, tanta macchia mediterranea, ulivi e alberi di fico che insieme danno un profumo che rimane impresso nella memoria. Da due storiche vigne nasce la Malvasia di Bosa di Columbu. Uno è il vigneto Fraus, dal nome della località: siamo nel territorio di Magomadas, meno di 2 ettari, 100 metri sul livello del mare ed esposto sia a nord sia a sud. L'altro si trova a Campeda, poco più di un ettaro e mezzo, nel comune di Bosa. I terreni sono vulcanici, ricchi di minerali e povero di azoto. Importante poi il microclima: il vento qui soffia di continuo, Maestrale, ma anche Libeccio e Tramontana. Questo apporta un clima secco, ideale per la salubrità delle uve.
LA PERSONA | "Chustu inu cheret chistionadu". Alcuni appassionati di vino ricorderanno bene la frase pronunciata all'inizio del celebre docu-film Mondovino riguardo la Malvasia di Bosa. Questo vino ha bisogno di parole, ha bisogno di parlare. Tentiamo una traduzione dal sardo (in questo caso quella letterale non rende l'idea) per parlare, invece, di Giovanni Battista Columbu, la persona che quella frase la pronunciò dal profondo del suo cuore. Fondatore di questa piccola realtà, uomo carismatico che credette fin da subito in questo prodotto e cercò sempre di preservarne la sua identità: a lui si deve il prestigio di questo territorio vitivinicolo. Columbu, scomparso nel 2012, mise sul mercato la prima bottiglia di Malvasia di Bosa Riserva nel 1992 e più tardi, nel 2003, le affiancò un altro prodotto, ottenuto con la stessa varietà. L'Alvarega era ed è la versione giovane, più semplice, d'annata. Ora l'azienda è guidata da Gianmichele Columbu - figlio di Giovanni Battista - e con sua moglie Vanna portano avanti questa piccola produzione fatta di amore e autenticità.
IL VINO | La Malvasia di Bosa Riserva di Columbu è semplicemente un vino unico, affascinante, di gran carattere. È ottenuto grazie alla fermentazione con lieviti indigeni in contenitori in acciaio e successivamente viene fatto maturare in botti scolme per due anni, in modo che si crei il flor e dia origine alla straordinaria complessità ossidativa. Il naso riporta immediatamente in vigna, durante le calde, ma non afose serate di fine estate. Elicriso e macchia si alternano a sensazioni di albicocca disidratata, frutta secca ed ancora tocchi iodati, di arbusti, di ginepro e resina. Ma è la bocca a sorprendere davvero: è secca, ma riesce a essere avvolgente e calda, profonda e sapida, quasi salata, dal finale pulito e piccante, lunghissimo. Vino che rimane impresso e non vorresti mai smettere di riassaggiarlo e di parlarne. Proprio come diceva il grande Giovanni Battista.