Carnevale rimane una delle grandi feste, insieme a Natale e Pasqua, in cui ancora oggi vengono preparate alcune specialità che non si trovano durante il resto dell’anno. In gran parte sono dolcetti fritti in decine di varianti per forma, dimensioni e consistenza che mantengono una forte connotazione regionale.

Le fonti storiche, almeno fino all’Ottocento, si soffermano raramente sulle specialità alimentari dei festeggiamenti carnacialeschi, dando spazio piuttosto alla descrizione dei magnifici banchetti, tornei, balli, e commedie tipici di questo periodo. Allo stesso modo i ricettari si preoccupano di più di fornire ricette per il periodo quaresimale che ne sarebbe seguito, quando il digiuno imponeva l’astensione dalla carne e dai derivati animali, restringendo le scelte alimentari al mondo vegetale e al pesce. Non mancano nemmeno le voci critiche verso questa festa connotata da eccessi e sregolatezze come quella di Girolamo Savonarola che nelle sue prediche si scaglia più volte contro queste licenze del costume.

Struffoli, berlingozzi e borlenghi

Nonostante i rari riferimenti, già nel Rinascimento appare qualche accenno alle preparazioni tipiche del Carnevale ed è così che veniamo a sapere che esistevano gli “Strufoli alla romanesca” che “si fanno per il più nel tempo del Carnevale” la cui ricetta è strettamente imparentata con quella delle frappe di cui abbiamo parlato qui.

Altra specialità legata al Carnevale, stavolta Toscana, è il berlingozzo, una sorta di ciambella di forma rotonda che prende direttamente il nome dal “berlingaccio” ovvero il giovedì grasso. Francesco Alunno nel 1584 sottolinea che il berlingozzo non si deve confondere con lo “zuccarino” - che evidentemente doveva avere una forma simile - perché il berlingozzo non era zuccherato e inoltre era più grande e di pasta più dura.

La ricetta dei “Belingozzi alla senese” la fornisce nel 1570 Bartolomeo Scappi cuoco di Papa Pio V. L’impasto era realizzato con sole uova, farina e poco sale, tenuto piuttosto morbido -l’autore suggerisce di utilizzare 16 uova per poco più di un chilogrammo di farina- che viene diviso in due ciambelle da sovrapporre dopo averle bagnate con l’albume in modo che si attacchino tra loro. Prima di infornare il dolce vi si praticano tre tagli (probabilmente sulla superficie) e si spennella con uova sbattute e zucchero.

La radice del nome berlingaccio sembra rimandare anche a una specialità dell’Appennino modenese: il borlengo. Per chi non lo conoscesse, si tratta di cialda rotonda sottilissima, praticamente trasparente che, ancora calda, viene tradizionalmente condita con un battuto di lardo aglio e rosmarino e una spolverata di Parmigiano grattugiato. Questa golosa specialità è ormai slegata dalle feste di Carnevale e, se capitate nel modenese, vi consigliamo caldamente di assaggiarla.

Lasagne e maccheroni dolci

È però nell'Ottocento che appaiono nuovi piatti dedicati al Carnevale, tra cui le lasagne descritte dal napoletano Ippolito Cavalcanti nel 1837. Questa sontuosa preparazione era composta da larghe tagliatelle condite con sugo di stufato, polpette, fette di mozzarella e poteva essere addolcita con zucchero e cannella, con un forte richiamo alla tradizione rinascimentale.

Lo zucchero è protagonista anche in una seconda specialità di pasta, ovvero il pasticcio di maccheroni, ripreso anche da Artusi nel 1891 e da Ada Boni, nel “Talismano della felicità” del 1927. Questo “piatto famoso dei buongustai romani, e gioia dei conviti Carnevaleschi”. come lo descrive Ada Boni - già all’epoca della redazione del ricettario si poteva considerare una specialità di altri tempi della quale si stava perdendo la tradizione. Nel ricchissimo pasticcio, i maccheroni sono conditi con sugo di brasato senza pomodoro oltre a “animelle, fegatini, creste, ovetti, funghi freschi o secchi, polpette di carne, pezzetti di salsiccie ecc.”, il tutto ricoperto di crema pasticcera (sì, proprio la crema pasticcera con uova e zucchero), racchiuso infine da una crosta di pasta frolla dolce. Come se non bastasse, una volta cotto in forno, questo straordinario timballo veniva spolverato con abbondante zucchero vanigliato prima di essere servito. Si potrebbe considerare un antenato delle paste dolci di Carnevale.

blinis

Tra blinis russi e sanguinacci napoletani

Carnevale, si sa, è tempo di piccoli dolci e Alberto Cougnet ne “L’arte cucinaria in Italia” del 1910 ci ricorda che esistono “le sfrappole a Bologna, co’ crostoli o galani a Venezia, co’ cenci o bioccoli a Firenze, cogli intrigoni a Reggio Emilia, colle ganse a Nizza, ecc.”. Ma il suo ricettario testimonia anche una vera e propria infatuazione per i blinis russi che contagiò il nostro paese tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo. Cougnet riporta l’usanza per cui in Carnevale “nelle case ricche, almeno due volte per giorno, i servitori circolano, intorno alle tavole, colle guantiere d’argento, dove, sulle salviette ricamate a punti policromi, stanno impilati i blinis. Questi pasticcetti vengono accompagnati, a parte, da salse al burro fuso, o da panna montata; oppure da uova sode finamente tritate, che servono a spolverare i blinis, ed altre simili salse dolci, creme, e via dicendo”.

Sul versante dei dolci al cucchiaio non si può invece non citare il sanguinaccio alla napoletana (ne abbiamo parlato qui).

La ricetta che ci fornisce Ada Boni in sé è piuttosto semplice, composta da una morbida crema pasticcera a cui vengono aggiunti cioccolato fuso, pinoli e canditi tritati, ma replicarla oggi è piuttosto complicato venendo a mancare il sangue di maiale cotto, quell’ingrediente che l’autrice trovava “in vendita da tutti i norcini”.

a cura di Luca Cesari

Sui dolci siamo ampiamente preparati, se non esperti: tra fritti dorati (dalla pasta all’uovo alle frappe, passando per le frittelle di riso della famiglia Savelli a Siena) e delizie farcite (come i classici ravioli), nei giorni "di grasso" la scorta di zuccheri è assicurata. Ma il Carnevale è fatto anche di piatti salati per allietare i pranzi familiari e snack appetitosi. Insomma, le idee non mancano e l'appetito vien mangiando (o leggendo: fra poco ve ne accorgerete). Per dovere di cronaca, abbiamo stilato una lista di portate principali tipiche della festa delle maschere capaci di tener testa a zeppole, castagnole e cicerchiata. Pronti a partire per un breve tour gastronomico da Nord a Sud?

Ravioli fritti carnevale

Ricette salate di Carnevale

Smacafam altoatesino: la torta salata “ammazzafame”

Il nome lascia poco spazio all'immaginazione: composto dalle parole "smaca" ("ammazza") e "fam"("fame"), fa riferimento all'abitudine dei boscaioli altoatesini di consumare la pietanza nei giorni di festa, quando anche le famiglie più umili potevano concedersi un pasto sostanzioso. In effetti, reperire gli ingredienti per questa torta salata spessa e compatta era piuttosto difficile: si racconta che i bambini iniziassero a mendicarli per strada il 17 gennaio, durante la celebrazione di Sant'Antonio, cantando De Profundis e Miserere. Talvolta la ricerca proseguiva fino a Carnevale inoltrato o, comunque, fino a quando non avevano accumulato una scorta di grasso e farina sufficiente a preparare il piatto in grandi quantità; lo smacafam, infatti, con il passare dei giorni si rassoda e diventa ancora più buono. Gli ingredienti? Farina bianca o di grano saraceno, olio, latte, e uova per l'impasto; salsiccia lucanica e lardo, precedentemente rosolati in padella, per il ripieno. Il composto veniva cotto sotto la cenere fino ad assumere l'aspetto di un pasticcio morbido, leggermente abbrustolito in superficie, e consumato come piatto unico insieme a rape, indivia o tarassaco.

frittata

Fagioli grassi di Ivrea: un piatto ricco a base di legumi

I piemontesi li chiamano faseuj grass e li preparano a debita distanza dai giorni di Quaresima, in cui è vietato consumare carne. I fagioli grassi, nati nel Canavese e diventati simbolo del Carnevale di Ivrea, sono la testimonianza più evidente di come anche un semplice piatto di legumi possa trasformarsi in una pietanza "barocca", golosa e saziante. Si dà il caso che durante il Medioevo venissero distribuiti al popolo affamato dalle confraternite religiose, dopo essere stati cotti in grandi calderoni all'aperto; gli abitanti del luogo li cucinano ancora nella tofeja, una pentola di terracotta a quattro manici che -assicurano- conferisce alla ricetta un sapore senza eguali.

Fagioli grassi Ivrea

Oggi le fagiolate in piazza sono diventate un'occasione per organizzare eventi di beneficienza e consegnare pasti caldi alle persone senza fissa dimora. L'usanza è rimasta invariata: nella notte fra il sabato e la domenica gli addetti ai lavori lasciano sobbollire quintali di borlotti insieme a salamelle, cotiche di maiale, cipolla, rosmarino, alloro e olio buono; in questo modo si ottiene uno stufato cremoso e saporito, da accompagnare con verdure cotte e pane bruscato. La scarpetta è d'obbligo!

Fagioli Ivrea

Gnocchi veronesi e pastissàda. La specialità tipica del Bacanal

A Verona, sede di una delle sfilate carnevalesche più antiche d'Italia (le cui prime testimonianze risalgono a 400 anni fa), l'ultimo venerdì di festa si svolge il celebre Bacanal del Gnoco, istituito da Tommaso da Vico per distribuire ai poveri cibi semplici come pane, formaggio, burro e.…gnocchi! Il medico veronese, infatti, fu scelto dalle autorità per sedare l'assalto ai forni degli abitanti poveri, duramente colpiti dal sacco del Lanzichenecchi nel 1530. In tempi di carestia, ovviamente, sarebbe stato assai difficile procurarsi uova e tuberi, dunque il piatto -inizialmente composto da un semplice impasto di acqua e farina- si arricchì di ingredienti “grassi” nei secoli successivi. Oggi viene preparato secondo la classica ricetta degli gnocchi di patate e condito con la pastissàda, uno stracotto di carne di cavallo, vino rosso e cipolla; ottima anche la versione in bianco a base di burro, parmigiano e salvia. La sua mascotte è Papà del Gnoco, la maschera più importante del Carnevale di Verona: ancora adesso, i cittadini che scelgono di interpretarlo durante gli eventi pubblici ricevono in dono un piatto di gnocchi fumante.

Gnocchi Carnevale Verona

Ravioli incaciati di Ascoli Piceno. Un mix di sapori esplosivo

Poco noti -ma non meno golosi- rispetto a quelli farciti con cioccolato e confettura, i ravioli del Piceno racchiudono un mix di parmigiano reggiano, pecorino stagionato, pane raffermo, noce moscata, cipolla, uova e carne di gallina. Il procedimento richiede due giornate intere di lavoro, che iniziano con la preparazione del brodo di gallina e si concludono con la stesura della sfoglia all’uovo. La cottura dipende dai gusti dei commensali: c’è chi li frigge nell’olio extravergine, omaggiando la tradizione carnevalesca, e chi preferisce tuffarli in acqua bollente secondo la vecchia maniera.

Ravioli

Immancabile la spolverata di formaggio grattugiato in superficie, da cui deriva il nome del piatto; nella maggior parte dei casi gli ascolani mescolano due dosi di pecorino e una di parmigiano insieme alla cannella in polvere, che conferisce alla pietanza un retrogusto lievemente dolciastro. Vi consigliamo di provarli sia caldi, che freddi: il sapore cambia completamente, ma vi conquisterà in entrambi i casi.

Ravioli incaciati

Frzzul, sausizz e rafanata. Il piatto forte del Carnevale di Aliano

Il nome suona come uno scioglilingua. Non a caso, questa ricetta viene spesso definita “grande trittico del Carnevale alianese”, per sottolineare l’abbinamento tra pietanze separate che nei giorni di festa formano un piatto unico da acquolina in bocca. Ma andiamo con ordine: i frzzul (o frizzoli) sono dei maccheroni tipici della cucina lucana, diffusi anche in Calabria, che vengono modellati avvolgendo la pasta intorno a un ferretto o a un rametto di ginestra, scottati in acqua bollente e conditi con sughi corposi, prevalentemente a base di carne. Da qui l’usanza di abbinarli alla sausiz, la salsiccia di maiale fatta rosolare in padella a fuoco basso con un mix di aromi, senza aggiunta di olio. E la rafanata? Da sempre consumata nel periodo compreso tra il giorno di Sant’Antonio Abate (17 gennaio) e il Martedì Grasso, rappresenta una delle preparazioni culinarie più antiche della regione. Il nome trae origine dal rafano rusticano, una radice dal sapore piccante e balsamico, anche detta “tartufo dei poveri”. Nel caso specifico, il rizoma viene usato fresco (subito dopo la raccolta) per arricchire una sorta di frittata al forno a base di uova, pecorino e strutto. È tradizione sbriciolare la rafanata fredda sui frizzoli prima dell’impiattamento.

Rafanata

Carnevale in Campania: scarpella di Castelvenere e pizza di Sorrento

Durante il Carnevale, gli abitanti della Campania danno sfogo alla propria creatività realizzando numerosi piatti salati. Fra questi spicca la lasagna di Castelvenere, anche detta scarpella, un capolavoro di stratificazione che differisce dalla ricetta originaria per l'uso della pasta secca (ognuno sceglie il proprio formato preferito, ma i più diffusi sono i mezzi ziti e i perciatelli). In ogni caso, la pasta viene lessata, condita con olio extravergine e inserita in un'apposita pirofila unta di strutto; poi si aggiungono uova sbattute, primo sale vaccino, pecorino stagionato e salsicce essiccate. Ancora una volta, parliamo di un piatto tipicamente contadino, che ricorda la carbonara, l'agnello "cacio e ovo" abruzzese e il timballo di scrippelle teramano.

Scrippella Castelvenere

Il suo alter ego in versione rustica è la pizza di Carnevale di Sorrento, una variante della pizza chiena napoletana che prevede l’impiego della pasta brisée al posto della sfoglia. Nel mezzo un ripieno di uova, ricotta, mozzarella, grana, salsiccia sbriciolata e friarielli ripassati in padella: non a caso, questa pizza farcita è stata sempre considerata un’efficace “cura preventiva” contro i cali di energie del digiuno quaresimale.

Torta salata verdure

Minestrone di Modica e "pasta a cinque": i primi piatti del Carnevale siciliano

Il minestrone del Giovedì Grasso modicano ribalta gli schemi della zuppa calda tradizionale. Al suo interno, infatti, viene inserito un ingrediente molto più appetibile delle verdure: il lardo di maiale, privato della cotenna e tagliato grossolanamente a pezzettoni. Ce lo racconta Serafino Amabile Guastella nel suo libro Il carnevale della contea di Modica del 1886, spiegando che un tempo la ricetta prevedeva l'aggiunta di altri tagli di carne grassi e saporiti, come la pancetta, le puntine e le costine, fatte soffriggere con cipolla e salsa di pomodoro fino a raggiungere una consistenza morbidissima. Tra gli ortaggi non mancavano mai patate, fave e verdure a foglia verde; nei casi più fortunati, poi, le famiglie povere arricchivano la zuppa con i cavatelli di grano duro.

Zuppa Modica

Decisamente più articolata la preparazione della pasta a cinque buchi, regina del Carnevale catanese nata dall’errore di un pastaio e “adottata” dalla cucina popolare come simbolo di abbondanza durante i festeggiamenti carnevaleschi. Protagonista del piatto, un maccherone capace di incorporare perfettamente il sugo, condito quasi sempre con salsiccia, costate e puntine di maiale. Impossibile evitare il bis!

a cura di Lucia Facchini

 

 

 

 

 

Luigi Biasetto e la pasticceria delivery

Qualche mese fa era stata la volta di “Sfornata a casa tua”, ingegnosa trovata per accorciare le distanze tra il laboratorio di produzione padovano e i clienti che in tutta Italia ricevevano le torte del maestro ordinate online. Una coccola studiata da Luigi Biasetto per personalizzare l’e-commerce della premiata pasticceria di Padova, adattandosi sì alla necessità di investire sul delivery, ma senza far mancare a chi acquista cura e calore. Dunque i dolci sfornati da Biasetto, al termine di una preparazione documentata in diretta social, arrivano a casa nel giro di 24 ore: ogni mese, la sezione dedicata propone una torta nuova; febbraio è dedicato alla cheesecake al ciocccolato (per ordinarla è sufficiente seguire le indicazioni sul sito della pasticceria). Ma l’idea in più per il Carnevale 2021 esplora il mondo delle frittelle veneziane per renderle compatibili con la consegna a domicilio in tutta la Penisola, a conferma di quanto impegno la pasticceria Biasetto (Tre Torte per la guida Pasticceri&Pasticcerie d’Italia del Gambero Rosso) stia riservando alla definizione di un e-shop efficiente e goloso (tra le grandi pasticcerie italiane, molte si sono attrezzate in tal senso, mostrandosi pronte ad affrontare le difficoltà).

La box di frittelle di Luigi Biasetto

Frittelle di Luigi Biasetto a domicilio in tutta Italia

Ma come può una frittella resistere al viaggio senza risentirne per gusto e freschezza? Il lavoro di Luigi Biasetto si è concentrato su tecnica di preparazione e metodo di confezionamento: le frittelle, realizzate a partire dalla ricetta veneziana con metodo bigné (con lievito e vuote all’interno, per accogliere la farcitura) e fritte in olio d’oliva microfiltrato italiano, sono recapitate a domicilio in confezione da 16, pronte per essere rigenerate su una fonte di calore (il classico termosifone fa al caso vostro) per 20 minuti, o riscaldate in forno ventilato a 50 gradi per qualche minuto. Una spolverata di zucchero a velo, e il gioco è fatto. Per la prima volta, quindi, le frittelle possono essere acquistate online, e viaggiano in sicurezza in tutta Italia.

La frittella allo zabaione di Biasetto

Regine della Collezione Carnevale 2021 del maestro, com’è consuetudine nel laboratorio di Biasetto, sono disponibili in più varianti, a partire dalla proposta tradizionale veneziana con uvetta e pinoli. Ma la gamma delle farciture è ampia – dalla crema alla ricotta, passando per zabaione, mela e tiramisù – con una new entry che vede trionfare la panna. Chi ordina la confezione degustazione online da 16 pezzi (25 euro) riceverà un mix di gusti diversi (uvetta e pinoli, crema, zabaione, mele, pistacchio e tiramisù), mentre castagnole e galani – il nome veneto per le chiacchiere – sono disponibili solo nelle pasticcerie di Padova e Udine (inaugurata un anno fa, mentre è slittata l’apertura milanese), o in consegna a domicilio nella città veneta.

Pasticceria Biasetto – Padova – via Jacopo Facciolati, 12 - Le frittelle di Lugi Biasetto online

Cos'è il Pancake Day

Mentre in Italia continua la produzione di chiacchiere e castagnole, in Inghilterra i pasticceri si destreggiano fra le tante fritelle da preparare in occasione del Pancake Day. Chiamato anche Shrove Tuesday (Martedì grasso, dall’inglese shrive, ovvero “assolvere”), il giorno del pancake – questa la traduzione letterale – si festeggia ogni anno prima dell’inizio della Quaresima. L’usanza di preparare le frittelle è nata infatti proprio per l’esigenza di consumare le ultime uova e i vari grassi, come il burro e l’olio, prima di cominciare il periodo di digiuno. E quale prodotto migliore del pancake, dolce a base di farina, uova, burro, latte e zucchero e fritto nell’olio (o burro), per celebrare l’abbondanza della tavola?

Pancakes

5 curiosità sui pancakes

Ogni famiglia ha la sua ricetta, così come ogni locale dedicato alla colazione. Tanti anche gli eventi a tema del giorno, ma prima di segnalare i più originali, ecco qualche curiosità sui pancakes.

Le frittelle dell'Antica Grecia e dell'Antica Roma

Antenati romani dei pancakes sono gli alita dolcia, versione primordiale a base di latte, uova, farina, spezie e miele, venduta nei banchetti delle piazze. Ma prima ancora c'erano le tagenias greche, chiamate così perché cotte in padella (tagēnon), preparate con olio d'oliva, miele, farina e latte cagliato, e consumate a colazione.

Pancake race

Pancake race

Pancake race

Si organizzano ancora oggi le Pancake Race, gare di corsa in cui ogni concorrente deve tenere una padella con le frittelle in mano. Ma come è nata questa tradizione? Tutto ha avuto inizio nel 1445 a Olney, nel Buckinghamshire. Secondo la leggenda nel giorno del Martedì grasso una donna si presentò di corsa in chiesa con la padella di pancakes ancora caldi: nacque così l'idea di dare vita a competizione a tutti gli effetti, che dagli anni '50 è diventata di respiro internazionale.

Aunt Jemina, mix per pancakes

Aunt Jemina, mix per pancakes

Il mix per pancakes

Oggi sono molti i preparati per fare i pancakes in casa, ma il primo messo in commercio è stato quello di Aunt Jemina, marchio della R.T. Davis Millin Company, lanciato nel 1890. Sulla confezione, il volto di Nancy Green, fra le prime donne afroamericane a fare da modella per un'azienda così famosa.

Il pancake più costoso del mondo

Non mancano i record, naturalmente: il più costoso pancake della storia è quello dell'Opus One, ristorante dell'hotel Radisson Blue Edwardian di Manchester. Una frittella d'autore, fatta con champagne Dom Perignon, caviale, barbabietole, erba cipollina, aragosta e mirtilli, creata nel 2014 e venduta al prezzo di 800 sterline.

Il pancake più grande del mondo

C'è poi il record per la dimensione: a detenerlo, la Co-operative Union Ltd di Manchester, che nel 1994 ha realizzato un pancake di 15,01 metri di diametro e 2,5 centimetri di spessore.

Pancakes, Where the Pancakes are

Pancakes, Where the Pancakes are

Gli eventi del Pancake Day a Londra: la corsa di beneficenza e il Pancake Party

Fra le tante iniziative organizzate nel Regno Unito, le più curiose si trovano a Londra, dove ogni anno prendono vita competizioni e feste a tema. C'è la Better Bankside Pancake Race, che obbliga i partecipanti a correre con una padella piena di pancakes in mano: chi riesce ad arrivare al traguardo con più di un terzo della frittella integra, vince la sfida. Il ricavato della giornata verrà devoluto quest'anno al Paintings in Hospitals, realtà che si occupa di organizzare attività e laboratori creativi negli ospedali del Paese. Diverso invece l'evento del locale Where the Pancakes Are, indirizzo specializzato nella preparazione di pancakes declinati in tanti modi diversi, e che in occasione del martedì grasso festeggia il suo quinto anniversario di attività con un Pancake Party che durerà tutto il giorno. Ci saranno i classici pancakes americani al latticello, in versione dolce e salata, e poi anche quelli vegani, accompagnati da sidro di mele caldo e cocktail.

Pancakes, The Breakfast Club

Pancakes, The Breakfast Club

Pancake Day a Londra: pancakes creativi e gare di mangiatori di pancakes

Al Christopher's a Covent Garden ce n'è per tutti i gusti: ogni cliente avrà la possibilità di ideare il proprio pancake, scegliendo tra le basi e i topping creativi come il gelato al tè matcha, lo yogurt al cocco o i grandi classici, dallo sciroppo d'acero alla salsa al cioccolato. Immancabile, infine, l'evento al The Breakfast Club, catena di locali famosi per la colazione – americana, inglese, internazionale, dolce o salata – che conta ben 12 sedi in città, e che ogni anno organizza la Pancake Challenge, gara di mangiatori di pancakes durante la quale ogni consumatore è chiamato a mangiare 12 frittelle in 12 minuti: chi perde, dovrà pagare il prezzo di 20 sterline. Ma non solo: quest'anno ogni punto vendita offrirà 5 nuovi tipi di pancakes spe1ciali per celebrare il lancio dei nuovi Breakfast Pubs, che apriranno nel corso dell'anno a Battersea e poi a Canary Wharf.

a cura di Michela Becchi

Il Carnevale in Sardegna

L’etimologia stessa del nome, dal latino carnem levare (“eliminare la carne”), rende l’idea di quanto il cibo sia un aspetto fondamentale di questa festività: in passato, infatti, il Carnevale indicava il banchetto del Martedì grasso, ultimo giorno di abbondanza prima della Quaresima, periodo di digiuno e astinenza per le religioni cristiane. Il carattere goliardico e godereccio della festa affonda le sue radici in festività antiche come le Antesterie greche, celebrate in onore di Dioniso, e i Saturnali romani, dedicati a Saturno; durante queste celebrazioni, protagonisti principali erano lo scherzo, il ribaltamento dei ruoli e lo scioglimento delle gerarchie sociali. Oggi, la festa è ancora sinonimo di libertà, allegria e sregolatezza. In un periodo simile, la teatralità che sostanzia le tradizioni sarde, che siano di origine pagana o spiccatamente cristiane, tocca il suo apice: le piazze e le tavole dell’isola si trasformano, diventando colorate tele su cui dipingere e raccontare la catarsi del Carnevale, un momento in cui lasciarsi andare, non solo indossando maschere e interpretando personaggi di fantasia, ma anche concedendosi qualche peccato di gola. Ecco cosa assaggiare da Nord a Sud dell'isola.

Tempio Pausania: il rogo di Re Giorgio

Fra le feste più tipiche, quella di Tempio Pausania, nel cuore della Gallura, dove fin dal Settecento l'intera popolazione veniva chiamata a raccolta per una serie di banchetti pantagruelici che duravano talvolta anche due mesi, dall'Epifania al Martedì grasso, in concomitanza con il riposo della terra e la tregua dei contadini. Dal 2008 è l'Opificio del Carnevale, vecchio stabilimento per la lavorazione del sughero, a ospitare la realizzazione dei carri allegorici. Solo i migliori, selezionati da una giuria, potranno sfilare durante la kermesse carnevalesca, che si conclude ogni anno con il rituale rogo di Re Giorgio (in dialetto Gjolgiu), protagonista assoluto della festa, in passato portato in una sorta di processione funebre con tanto di canti. Giorgi è una maschera antica, di epoca pre-romana, che incarna lo spirito della terra che fruttifica, cui venivano dedicati dei sacrifici. Fra i modi di dire locali ancora esistenti, che fanno riferimento ad alcune figure dell'immaginario collettivo legate al Carnevale, il più calzante è l'espressione “pari n traicoggiu”, ovvero una persona zotica, rozza. Nel vocabolario Tempiese – Italiano di Leonardo Gana, infatti, il termine traicoggju indica una sintesi fra figure animalesche e demoniache, un personaggio che nell'immaginario collettivo rappresenta l'uomo selvatico. Che ben si sposa con lo spirito del Carnevale. Le celebrazioni terminano con i veglioni del Teatro del Carnevale, scandito da danze, coreografie, lotterie e tante prelibatezze dolci e salate.

 

Tempio Pausania

Le specialità di Tempio Pausania

A cominciare dalle fave, in antichità considerate il cibo dei morti, con il lardo, le costine salate, il finocchio selvatico, le salsicce e i cavoli. E poi li pidichini, gelatina ottenuta con piedi e orecchie di maiale e preparata sia nella variante dolce che salata, e i frisgioli longhi, delle frittelle lunghe, morbide e dorate a base di farina, acqua, uova, lievito, scorza di agrumi e, in alcuni casi, acquavite. Le origini di questa ricetta sono tanto antiche quanto sconosciute e, come sempre in questi casi, avvolte nel mistero. Nel tempo, sono nate diverse varianti, spesso disponibili anche in altri momenti dell'anno. Non mancano, infine, le preparazioni tradizionali del luogo, dai fruttini ai dolci di mandorle, dagli amaretti alla formaggella.

Oristano: la Sartiglia e la figura di Su Componidori

Al centro della Sardegna, è nella provincia di Oristano che prendono vita i festeggiamenti più caratteristici. È una zona dell'isola poco mondana, un territorio punteggiato di piccoli paesi di pastori dalle origini antiche, insediamenti secolari affacciati sul golfo che in epoca preromana accolse i Fenici, e ha tradizioni autentiche molto distanti dal folclore che si respira nei centri nevralgici del turismo regionale, con distese di spiagge protette da dune imponenti spazzate dal maestrale, poco affollate e a tratti selvagge. A Oristano, è la tradizione della Sartiglia a richiamare visitatori da tutto il mondo: un evento equestre che si ripete ormai da oltre cinquecento anni nel sagrato della Cattedrale di Santa Maria Assunta, l'ultima domenica di Carnevale e il martedì successivo.

 

Sartiglia

Tutti i partecipanti, vestiti con il tradizionale costume sardo-spagnolo, devono cimentarsi in una corsa a cavallo con tanto di spada con cui infilzare delle stelle di latta appese a un filo. A fare la parte del leone durante la Sartiglia, Su Componidori, figura emblematica simbolo della festa oristana, vestita con il costume della tradizione e una maschera in legno inespressiva.  La vestizione del personaggio, uno dei rituali più attesi, comincia a mezzogiorno, ed è seguita dal corteo della comunità che porta Su Componidori alla Cattedrale. È lui a dare il via ai festeggiamenti con la sua corsa a cavallo: se riesce a infilzare la stella, l'anno sarà prospero e felice per tutta la città. Un rilievo particolare, per il Carnevale, lo hanno il Gremio dei Contadini e il Gremio dei Falegnami, sorta di corporazioni artigiane che derivano da una tradizione spagnola del Settecento secondo la quale tutte le persone che svolgevano lo stesso mestiere venivano riunite in gruppi, i Gremi appunto, termine che deriva dall'espressione “in grembo” che indica il mettersi sotto la protezione di qualcuno. Furono i due Gremi a organizzare i primi giochi equestri del Carnevale: i falegnami pensavano ad amministrare le spese, che potevano essere sostenute grazie ai soldi ricavati dalla vendita dei prodotti coltivati dai contadini.

Le specialità di Oristano

In tutte le vie del centro di Oristano, dove si svolge lo spettacolo, e nelle piazze principali, si trovano gli stand gastronomici. Protagoniste qui sono le zeppole fritte, originarie di Cagliari, ma ci sono anche le chiacchiere, e poi tutti i dolci tipici della zona, a cominciare dai celebri mustazzolos, versione locale dei mostaccioli, biscotti diffusi con le dovute varianti in tutto il centro-sud Italia, in particolare in Campania, Puglia, Molise, Umbria e Abruzzo. Ciò che differenzia l'interpretazione sarda è la tecnica di preparazione, e in particolare nella fase di lievitazione, che una volta durava ben due settimane, mentre oggi si riduce a “soli” due giorni. Gli ingredienti sono farina, zucchero, lievito, cannella e scorza di limone, mentre per la glassa servono zucchero, acqua e maraschino, oppure acqua di fiori d’arancio, se si preferisce un gusto più delicato.

Mamoiada: Mamuthones e Issohadores

Ancora al centro dell'isola, ma nella zona più a ovest della provincia di Nuoro, c'è uno degli appuntamenti più famosi e folcoristici: la festa del Carnevale di Mamoiada. Una tradizione che ha origini antichissime, secondo alcuni storici risale all'età dei nuraghi, un periodo che va dal 1800 a.C. al II secolo a.C. Nata in origine come rito propiziatorio per proteggersi dagli spiriti del male e ottenere un buon raccolto, la festa conserva ancora oggi il proprio carattere esoterico e misterioso. E lo si percepisce già dalle figure tipiche: i Mamuthones - maschera nera, pellicce scure e campanacci - presenti nelle vie del paese già da metà gennaio, e gli Issohadores - maschera bianca e corpetto rosso, scialle (in dialetto, s'issalletto), pantaloni bianchi (carzas), e berritta, il tipico copricapo nero - il loro compito è di scortare i Mamuthones e catturare con le funi le ragazze della città, come auspicio di fertilità. A questi personaggi, si aggiunge poi la maschera del Juvanne Martis Sero, un fantoccio di cartapesta posto al centro di un carretto trainato da un asino.

 

Mamuthones

Le specialità di Mamoiada

Zuppa di fave, zeppole fritte e tanto vino rosso: anche a Mamoiada non mancano specialità dolci e salate in grado di conquistare il palato di grandi e piccini. A fare la parte del leone è la faddada, una ricetta di origini remote già in voga nell'Antica Roma e particolarmente diffusa nella zona di Sassari e nel nuorese. La prima testimonianza scritta di questa sorta di minestrone di fave, cavoli e finocchietto selvatico è quella di Apicio, che descrive un piatto a base di fave, uova, miele, pepe, erbe e salse. Coltivata in tutta la Sardegna, la fava è da sempre simbolo di buon augurio, tanto da essere, in passato, la protagonista delle feste dedicate alla dea Flora, protettrice della natura.

Cagliari: la ratantira

Il ritmo incalzante e cadenzato dei tamburi che riecheggia per le vie della città, suono ancestrale e profondo che detta tempi e battute dei festeggiamenti segna il Carnevali Casteddaiu, la celebrazione tipica di Cagliari, una quattro giorni di carri e sfilate accompagnate dal suono inconfondibile della ratantira, il rumore dei tamburi e delle grancasse tipico della festa. Luccente e ventosa, dalla storia antichissima, la città ha accolto culture e popoli diversi che, passando di qui seguendo rotte commerciali e militari, si fermavano sedotti dalla bellezza della natura: il capoluogo sardo è una destinazione splendida in qualsiasi periodo dell'anno, ma per un giro in città fuori stagione, non c'è periodo migliore del Carnevale, con le sue maschere tradizionali e i dolci golosi. Si comincia con le figure più celebri: Sa Panettèra (la panettiera), Is Tiàulus (diavoletti maligni), Su Caddemis (il mendicante), Sa Fiùda (la vedova), Su Sabattèri (il ciabattino), Sa Dida (la balia). Solo una, però, è destinata al rogo di rito: Cancioffali, simbolo della burla e della gola.

Le specialità di Cagliari

Soffici, dolci, scioglievoli, da mangiare calde, appena fritte: sono le zeppole (zippulas otzìpulas) le regine del Carnevale cagliaritano, morbide ciambelle a base di farina, uova, latte, patate lesse e un pizzico di zafferano. Spesso aromatizzate con scorza d'arancia efil‘e ferru, tipica acquavite sarda, queste prelibatezze dolci sono fra i più popolari street food della festa, molto diffuse anche in altre zone. La preparazione affonda ancora una volta le radici nella Roma antica, quando, in occasione delle feste Liberalia in onore di Liber Pater e della consorte Libera, il 17 marzo ci si abbandonava ai piaceri del vino, solitamente addizionato di miele e spezie, accompagnato a frittelle di frumento cotte nello strutto bollente. Il nome deriva proprio dal termine tardo latino zippula, che indicava un dolce a base di pastella e miele. Ancora un inno all'abbondanza: un'altra specialità tipica è la frittura araba, a base di farina, zucchero, uova, scorza di limone, un impasto allungato e piegato a spirale, fritto e ricoperto di zucchero. E poi ci sono le siringate, zeppoline tonde ripiene di golosa crema pasticcera.

a cura di Michela Becchi

Carnevale a Putignano: la festa delle Propaggini

È una delle celebrazioni più antiche: il Carnevale di Putignano ha inizio nel 1394, e da allora il piccolo borgo della Murgia barese ha saputo mantenere intatti vigore e folclore della festa. Tutto ha origine oltre sei secoli fa, quando, secondo la leggenda, l'Ordine dei Cavalieri di Malta decise di trasferire le reliquie di Santo Stefano a Putignano: con l'arrivo delle spoglie, i contadini abbandonarono il lavoro nei campi e cominciarono a decantare in dialetto versi popolari, dando così vita al primo Carnevale del luogo. Caratteristica principale della festa è la sua lunga durata: si comincia, infatti, il giorno di Santo Stefano, il 26 dicembre, con l'accensione del cero tradizionale in segno di perdono dei peccati, e la festa delle Propaggini, incentrata sulla recita satirica in dialetto locale, messa in scena dai cosiddetti propagginanti. Si prosegue poi con le parate di maschere e carri allegorici, nelle domeniche che precedono il Mercoledì delle Ceneri, un'usanza relativamente recente, cominciata a seguito del regime fascista. Prima però, durante il giorno di Sant'Antonio Abate, il 17 gennaio, è la volta degli scioglimenti gerarchici, dello scherno, la burla e dei ribaltamenti sociali, da sempre elementi centrali di questo periodo dell'anno. È il giorno dedicato alla beffa, nei confronti dei monsignori in primis, ma anche dei preti, delle monache, gli scapoli e i cornuti.

 

Putignano

Il rogo e la Campana dei Maccheroni

Un periodo di festa lungo e fitto di appuntamenti, come la Festa dell'Orso del 2 febbraio, con spettacoli itineranti che animano le strade della cittadina, e poi l'Estrema Unzione, il Martedì grasso, con la processione in dialetto dei sacerdoti per benedire la comunità. Cuore pulsante, però, resta il Funerale del Carnevale, con la sfilata dei carri e il rogo del maiale di cartapesta, simbolo del periodo di eccessi che precede la Quaresima. A concludere il tutto, la Campana dei Maccheroni, oggetto simbolo del luogo (ancora una volta in cartapesta) che con i suoi 365 rintocchi segna la fine della festa, dando il via alle abbuffate e ai piaceri della tavola, fra balli, musiche e spettacoli.

Le specialità di Putignano

Fra le specialità tipiche locali, la farinella (che dà il nome anche alla maschera protagonista della festa), antico pasto della tradizione contadina a base di ceci e orzo tostati con l'aggiunta di sale. In passato, le famiglie versavano in un mortaio comune i legumi, che venivano successivamente sbriciolati con un pestello di pietra. Questa semplice pietanza ha rappresentato per tante generazioni di contadini l'unico pranzo consumato durante il lavoro nei campi, accompagnato con erbe selvatiche e cipolle, e spesso anche la cena, insieme al tipico macco, una purea di fave. Un piatto che ha percorso la storia del paese, divenendo, a partire dal Settecento, parte integrante anche della dieta dei nobili, che amavano gustarlo in sughi o con verdure condite. Non mancano, poi, i dolci come l'intorchiata (o intorcinata), un biscotto dalla forma intrecciata a base di mandorle, il sasanello, un altro biscottoa base di noci, mandorle e vincotto, senza dimenticare la celebre cartellata, dolce diffuso in tutta la Puglia, realizzato con una sfoglia di pasta a base di farina, olio e vino bianco, unita e avvolta su se stessa sino a formare una sorta di "rosa", fritta in olio bollente e ricoperta con miele.

 

cartellate

Carnevale a Gallipoli: la focareddha e lu Titoru

Nel cuore del Salento, fra spiagge incantevoli, tesori architettonici e strade del gusto, non possono mancare delle celebrazioni ad hoc. Ricca di costruzioni storiche e affreschi, casette bianche, chiese barocche, con il suo dedalo di vicoli, viuzze e piazze, Gallipoli vanta una tradizione carnevalesca secolare, che affonda le sue radici negli antichi riti pagani e precristiani. Anche qui, è la festa di Sant'Antonio Abate a dare il via ufficiale ai festeggiamenti, con il rito della focareddha, ovvero il rogo su piazza pubblica di foglie e ramaglie di ulivo. Inizialmente in scena solo nelle vie del borgo antico, dal Novecento le tradizioni del Carnevale hanno invaso anche il resto della cittadina, con tanto di sfilata di carri allegorici, usanza nata nel 1954. Maschera tipica del carnevale gallipolino è lu Titoru, iniseme alla madre Caremma, figura caratterizzante della Quaresima. La leggenda narra che Titoru(Teodoro) fosse un giovane militare che, tornato a casa, chiese a sua madre un piatto di polpette prima del digiuno quaresimale. La madre lo accontentò, ma nella foga, travolto dalla gola, Teodoro si strangolò e morì soffocato. Nel carro a lui dedicato, vengono rappresentati anche un gruppo chiangimorti, le comari che piangono i lutti della comunità. Ma ci sono anche il Re Candallino e Sua Maestà Mendula Riccia, re e regina del Carnevale che ogni anno prendono simbolicamente possesso della città, dando via libera ai festeggiamenti, fra parate, danze e buon cibo.

 

Gallipoli

Le specialità di Gallipoli

Chiacchiere, frittelle, castagnole, sono i protagonisti del Carnevale, ma non mancano neanche i più tradizionali pasticciotti leccesi, diffusi un po' in tutto il Salento, dei golosi gusci di pasta frolla ripieni di crema pasticcera che mai come negli ultimi anni hanno conquistato il palato di tutti. E poi le classiche frise, rustici, gelati, pizze e panini farciti, panzerotti fritti e le pucce, fra i prodotti pugliesi più conosciuti, tipiche delle province di Lecce e Taranto, una sorta di pane più o meno alto, dalla forma tondeggiante, che viene cotto nel forno a legna, tagliato a metà e condito con diversi tipi di ripieni. Variante tipica di Gallipoli è la pucciacaddhi pulina, pane molto morbido e alto, condito tradizionalmente con capperi e acciughe sotto sale, ma che oggi si trova anche ripieno di tonno, pomodori e olio extravergine d'oliva.

 

puccia

Carnevale a Manfredonia: la sfilata delle Meraviglie

Un'oasi naturale nel Nord della Puglia, promontorio più esteso d'Italia e habitat di flora rigogliosa e paesaggi suggestivi: il Gargano offre distese di faggi e cerri, sentieri mozzafiato, pini secolari e giardini di agrumi, oltre allo splendido mare che guarda a Oriente, verso orizzonti balcanici. Laghi costieri e lunghe spiagge sabbiose, sentieri immersi nel verde e piccole insenature che si ritagliano uno spazio tra una falesia calcarea a picco sul mare e una grotta di formazione antichissima punteggiano l'intero territorio dello Sperone d'Italia, un luogo che mantiene immutato il suo carattere identitario forte, nell'atmosfera così come nelle sue tradizioni. Nel Parco Nazionale del Gargano è il comune di Manfredonia a dare vita a una delle feste carnevalesche più caratteristiche di tutta la regione. La cittadina oggi si prepara a ospitare la 65esima edizione del Carnevale, famoso per le maschere in cartapesta ma soprattutto per la Sfilata delle Meraviglie, una parata dedicata ai più piccoli, evento vissuto con grande partecipazione da tutte le famiglie del luogo, che iniziano a impegnarsi nella preparazione di costumi e carri mesi prima della manifestazione. Maschera protagonista delle giornate di festa è ZePèppe, personaggio proveniente dalla campagna che rappresenta il Re di Manfredonia, che porta a tutti i cittadini spensieratezza e buonumore. Celebrato durante l'intero periodo di festa, come nelle migliori tradizioni regionali, a fine del Carnevale, il Re viene bruciato in un rogo pubblico, a simboleggiare il termine del periodo di sregolatezza e frenesia.

Le specialità di Manfredonia

A tavola, la Puglia garganica custodisce una tradizione che condivide con la gastronomia regionale i grandi prodotti della terra, dall'olio extravergine d'oliva ai legumi – come le fave di Carpino – e una produzione casearia di qualità che trova la sua punta di diamante nel Caciocavallo podolico o nel Canestrato da capra garganica, ma sa caratterizzarsi anche per una specifica identità territoriale. Dagli agrumi alle insalate di erbe di mare, dalle zuppe contadine ai piatti di carne, la cucina di Manfredonia è il risultato di una congiunzione di assetti paesaggistici e tradizioni diverse. A fare la parte del leone durante la festa, però, sono le ferrate, tortine di pasta sfoglia ripiene di farro, ricotta, maggiorana, sale e cannella, nate in epoca romana e originariamente servite durante i matrimoni. In passato, venivano vendute nelle strade durante i giorni di Carnevale dai ragazzi più giovani già dalle prime ore del mattino, come viene descritto nella canzone in dialetto del poeta Michele Racioppa “A farrète”.

a cura di Michela Becchi

Carnevale in Toscana lungo la costa. Le tradizioni di Viareggio, Follonica e Piombino

Carnevale in Sicilia. Le tradizioni di Acireale, Sciacca, Termini Imerese e Novara di Sicilia

Carnevale in Sardegna. Le tradizioni di Tempio Pausania, Oristano, Mamoiada e Cagliari

Carnevale a Ivrea: la battaglia delle arance

Una delle celebrazioni più caratteristiche di tutta Italia, che da anni richiama visitatori e turisti da ogni luogo, è il Carnevale di Ivrea, antica cittadina fondata attorno al V secolo a.C. dai salassi e che ancora oggi mantiene inalterato il suo spirito originario, fra tradizioni popolari e usanze del passato. Un luogo che vanta una delle feste più curiose della Penisola: la famosa battaglia delle arance, un appuntamento che va avanti dal Duecento. All'origine di questa insolita tradizione, il gesto di ribellione da parte di un mugnaio. La leggenda narra, infatti, che l'uomo innescò una rivolta popolare contro un signore tirannico della zona che voleva passare una notte con la figlia già promessa in sposa. L'episodio, però, fu solo un pretesto per scatenare quel moto di ribellione che era già da tempo in fermento fra gli animi della comunità. La battaglia delle arance rappresenta, dunque, la lotta al potere, alla tirannia feudale, simboleggiata dai tiratori di cartapesta sui carri. In principio, in realtà, venivano usate le mele, scelte per rappresentare la testa caduta del barone, ma furono presto sostituite con gli agrumi per motivi ancora oggi sconosciuti. Per l'occasione ogni anno vengono importate circa 600 tonnellate di arance dalla Calabria.

 

battaglia arance

Gli appuntamenti e le regole

Si comincia il sabato di Carnevale, con le Feste degli Aranceri nelle piazze cittadine e la Marcia del Corteo Storico, la fiaccolata delle squadre di aranceri a piedi in Lungo Dora. Ma è la domenica la giornata di inizio ufficiale della battaglia, una lotta fra 9 nove squadre che continua fino al giorno successivo, concludendosi la sera con la premiazione dei gareggianti e dei carri migliori. Una sfida molto sentita, vissuta con lo spirito e il coinvolgimento di un tempo, e che per questo richiede la massima cautela da parte dei visitatori: obbligatorio, infatti, l'uso del berretto frigio, elemento tradizionale pensato per riparare la testa da eventuali colpi. Ma le regole non finiscono qui: vietato, ovviamente, tirare le arance ai cavalli, così come ai tiratori senza maschera, e negato l'accesso ai passeggini. Lotte a parte, non mancano, poi, maschere, parete e carri allegorici: figure protagoniste qui sono la Mugnaia e il Generale, ma anche Podestà, Sostituto Gran Cancelliere, Pifferi e Tamburi.

 

Pifferi

Le specialità di Ivrea

Le arance vengono dalla Calabria, le specialità da acquistare agli stand sparsi in giro per la cittadina sono quelle tipiche del territorio. Frittelle, chiacchiere, castagnole, ma anche biscotti tradizionali del Canavese e della Val di Susa, come i canestrelli, antica preparazione medioevale, un tempo riservata alle occasioni speciali. Presenti, inoltre, anche i friciò, tipici dolcetti di Carnevale diffusi in tutto il Piemonte, simili alle castagnole ma ripieni di uvetta.

 

Canestrelli

Carnevale a Chivasso: l'Abba' e la Società degli Stolti

Comincia attorno alla metà del XV secolo la tradizione del Carnevale di Chivasso, una festa che negli anni ha subìto diverse trasformazioni, evolvendosi e cambiando pelle più volte. Figura centrale è la Bela Tolera, regina simbolo della realtà economica e sociale della città, una maschera nata nel 1905 e da allora protagonista assoluta del Carnevale. Da quel momento, la manifestazione si è sviluppata in maniera sempre più articolata anno dopo anno, fino a giungere all'organizzazione impeccabile di oggi. A coordinare le celebrazioni in passato era la Confraternita o Società degli Stolti, presieduta da un mecenate di nome Abbà, figura leggendaria che, stando ai racconti popolari, imponeva ai cittadini le tasse più curiose per coprire le spese per i divertimenti. Nel 1434, dopo svariati tentativi da parte del popolo di far sciogliere la società, i membri iniziarono a cambiare abitudini, e la festa assunse un carattere più sobrio. L'Abbà divenne patrocinatore del Carnevale. Oggi è il Re della festa, e viene portato in processione la domenica che precede il Martedì grasso insieme alla Bela Tolera. Detto anche il “Carnevalone”, il festival di Chivasso comincia il giorno dell'Epifania, e prevede una serie di appuntamenti divertenti, fra balli, danze, sfilate, spettacoli, concerti, gare, trofei e mostre. Dall'incoronazione della Bella Tolera al rogo finale dell'Abba', seguito dalle parate di carri allegorici con maschere in cartapesta, il programma si fa ogni anno più intenso e prevede, naturalmente, anche una schiera assortita di banchi di gastronomia.

Le specialità di Chivasso

Formaggi, in particolare tomini a latte vaccino o caprino freschi o stagionati, salame di patate, lardo rustico, mocetta, cioccolata e poi tutto il comparto di pasticceria secca: la tavola di questa zona è ricca di profumi e sapori diversi, frutto delle tradizioni d'alpeggio di alta montagna.

 

salame patate

A fare la parte del leone sul fronte dolce, i nocciolini di Chivasso (nome originale noisette, nocciole in francese, oppure noasèt, in piemontese), biscotti nati dalla fantasia del pasticcere Giovanni Podio, ma che devono la loro fortuna al lavoro del genero Ernesto Nazzaro, che nel 1900 li portò all’Esposizione Universale di Parigi, facendoli conoscere anche oltre confine nazionale. I dolcetti a base di nocciole, albumi e zucchero ebbero un tale successo che nel 1904 Nazzaro ottenne il brevetto col marchio di fabbrica dal Ministero del Commercio del Regno d'Italia. La fama si diffuse in maniera ancora più capillare in seguito, quando Vittorio Emanuele III di Savoia fece di Nazzaro il fornitore della Real Casa. Molto popolari, poi, anche le paste di Meliga (paste ‘d meliain piemontese), nate – secondo la leggenda – in seguito a un cattivo raccolto che avrebbe fatto salire alle stelle il prezzo del frumento e costretto così i fornai a mescolare la farina 00 con il frumento di mais.

 

paste di meliga

Carnevale a Santhìa: Stevulin 'dla Plisera e Majutin dal Pampardù

Da qualunque zona lo si intraprenda, il percorso fino a Santhìa, piccolo borgo attraversato dall'antica Viae Longae romana, è tutto punteggiato di vigneti. Una serie di stradine di campagna immerse nel verde che preannunciano l'atmosfera rilassata e genuina che si respira in città. Qui, le origini della festa si perdono nella notte dei tempi, anche se il primo documento scritto risale al 1318: a recuperarlo, lo storico santhiatese Aguzzi, che nei suoi libri riporta gli stralci di un testo in cui veniva citata l'”Abbadia”, una sorta di associazione giovanile laica che si occupava di organizzare balli e spettacoli in occasione del Carnevale. Quella di Santhìa, infatti, non è solo la più antica tradizione del Piemonte, ma una delle prime mai celebrate in Italia. Padroni della città dei giorni di festa sono Stevulin 'dla Plisera e Majutin dal Pampardù, due figure che rappresentano dei contadini che, giunti nel comune per la luna di miele secoli fa, ricevettero come dono di nozze le chiavi della città per ben tre giorni, proprio nel periodo pre-quaresimale. Ogni anno, i due novelli sposi vengono impersonati da una coppia diversa, che il martedì precedente al Martedì grasso viene presentata ufficialmente si prepara a indossare cappello (caplin), grembiule (scusal), scialle (mantlin-a), spillone per capelli (spunciun), passeggiando per la città con una cesta di vimini (cavagna) e un ombrello (umbrela). La festa è ricca di appuntamenti, tra cui la sfilata dei maiali, nata per simboleggiare la preparazione dei salumi per la tradizionale fagiolata del Lunedì grasso, giornata che si apre con la Sveglia, una ballata intonata dalla maschera Tamburi di buon mattino, e il rogo finale del pupazzo di cartapesta Babaciu, simbolo del divertimento sfrenato e della sregolatezza.

Le specialità di Santhìa

Da qualche anno a questa parte, poi, si è iniziato a festeggiare anche il Giobia Grass, il Giovedì grasso, con banchi d'assaggio, apette e stand gastronomici allestiti lungo la via principale del borgo. Via libera, dunque, a vin brulé, panissa (risotto con fagioli, vino rosso, cipolla, lardo e salame della duia, insaccato tipico di Novara), la classica mula santhiatese, salume consumato cotto, prodotto con una miscela di carni di maiale, dal lardo alla lingua, carpe in carpione e il tradizionale antipasto piemontese. Fra i dolci, sono molto popolari i bicciolani di Vercelli, biscotti ispirati a una celebre maschera del Carnevale di Vercelli, così gustosi da essere proclamati da Casa Savoia nel 1903 “patrimonio unico e irrinunciabile della tradizione cultural-gastronomica piemontese”.

 

bicciolani vercelli

Alla base di questa specialità, farina bianca, burro, zucchero, uova e una miscela di spezie: chiodi di garofano, cannella, cardamomo, coriandolo, pepe bianco e pepe nero.

a cura di Michela Becchi

Piatti genuini della tradizione abbinati ai vini locali: l'offerta dei bacari continua a richiamare turisti da ogni dove, che nelle tipiche osterie veneziane vogliono trovare il gusto dell'autentica cucina locale. Ma ci sono anche i bistrot e i ristoranti tipici per mangiare bene a Venezia.

I ristoranti tipici di Venezia

Amo

Nell’edificio che fu del Fondaco dei Tedeschi, che oggi ospita uno sfarzoso centro commerciale affacciato sul Canal Grande, i fratelli Alajmo hanno trovato un modo informale, e per tutta la giornata, di esprimere il loro pensiero gastronomico. Bar, pasticceria e bistrot (da Tre Cocotte), Amo è caffetteria con brioche per la colazione, cocktail bar per l’aperitivo, cucina che spazia dalle insalate ai classici della tradizione regionale italiana, alla pizza di casa Alajmo.

Amo – San Marco , 5556 – www.alajmo.it

La Mascareta

Si beve bene con Mauro Lorenzon, vero oste d’altri tempi, che ama intrattenere i clienti mentre propone abbinamenti originali. Pochi tavoli ravvicinati, tante bottiglie e proposta alla mescita sempre interessante; la cucina parla tradizionale, tra sarde in saor e ravioli ripieni di ricotta e spinaci. Sempre presenti ostriche, e tanto buon gin.

La Mascareta – Castello, 51183 Santa Maria Formosa – www.ostemaurolorenzon.it

Da Mario alla Fava

Locale di lungo corso dall'ambiente caratteristico e con tavoli all'aperto, dove fermarsi per assaporare una cucina solida e prettamente a base di pesce. Presenti anche delle opzioni vegane, buoni i dolci fatti in casa e in linea la cantina.

Da Mario alla Fava – calle Stagneri, 5242 – www.ristorantemarioallafava.it

DiMe Bistrot

In una zona per niente sviluppata dal punto di vista della ristorazione, finalmente un'insegna di qualità, con una cucina intrigante e di livello. Merito di Serena Bergamo, cuoca e ristoratrice che gestisce questa cattedrale nel deserto, proponendo piatti gustosi e a buon prezzo, dalla tartare di pomodori verdi, gamberi rossi crudi e gocce di erborinato alle capesante.

DiMe Bistrot – loc. Marghera via Colombara, 42 – www.dimebistrot.it

Vini da Gigio

Altro indirizzo valido per gli amanti del vino, ma il locale offre anche una buona opportunità per gustare specialità della Laguna, dall’anguilla alla griglia alle moeche fritte. Senza dimenticare un buon piatto di spaghetti con caparossoli (le vongole), per quando la fame si fa sentire davvero.

Vini da Gigio – Cannaregio, 3628a – www.vinidagigio.com

Danieli Bistro

Per arrivare al Danieli occorre salire fino al piano sotto la terrazza di Palazzo Dandolo, dove immergersi in un'atmosfera elegante e informale, con vista sul bacino di San Marco. Si comincia con salumi e formaggi di qualità, per passare a cicchetti come il biscotto e baccalà mantecato o il polpo scottato. Buoni anche i vini e le birre.

Danieli Bistro – Riva degli Schiavoni, 4196 – www.danielibistro.com

Estro

Estro – Vino e Cucina

Un ambiente a metà tra il wine bar di livello e il bistrot, dove un'attenta selezione di vini naturali si fonde a due menu degustazione e una carta essenziale ma carica di suggestioni. Ottima la seppia grigliata, la rapa bianca marinata, i paccheri alla parmigiana con carciofi e fonduta di Reggiano, e l'ombrina nostrana alla griglia. Curati e golosi i dolci, specialmente il classico tiramisù.

Estro – Vino e Cucina – Dorsoduro, 3778 - www.estrovenezia.com

Casa Cappellari

Apertura recente a cura di Massimo e Silvia, gli inventori di Impronta Caffè a San Pantalon, una cucina divertente e semplice, con cichetti a 3 euro al pezzo (5 i crudi) e tante proposte golose. Da provare i tagliolini aglio, olio e peperoncino con seppie al nero, insieme al fritto con maionese della casa.

Casa Cappellari – Calle Larga Della Donzella, San Polo 806 – www.casacappellaristorante.it

Vino Vero

Vino Vero

Ancora un consiglio per bere, un bacareto piccolo ma ben organizzato, che serve anche cicchetti creativi. Ma il plus della casa è la selezione di vini naturali e biodinamici, sempre ben raccontati dai titolari, prodighi di consigli.

Vino Vero – fondamenta de La Misericordia

Pizza, l'aciugheta

All'Aciugheta

Un amalgama di sapori per questo bacaro appena fuori piazza San Marco, dall’atmosfera elegante e raffinata e il servizio cortese e cordiale. Uovo e acciuga, baccalà mantecato e poi sfiziose polpettine di sarde, pecorino e menta compongono il menu del locale, insieme a crostini dal gusto esotico come quello con salmone e avocado, oppure quello al manzo thai. Presenti anche pizze e focacce gluten free e qualche proposta dalla cucina, da abbinare all’ottima carta dei vini.

All’Aciugheta – campo Santi Filippo e Giacomo – www.aciugheta.com

Cantine del Vino Già Schiavi

Cantine del Vino già Schiavi

Storico bacaro veneziano, chiamato affettuosamente “il bottegon” dai clienti di fiducia, luogo di ritrovo in città da oltre cent’anni. Tanti i cicheti fra cui scegliere, sfornati dalla talentuosa Alessandra De Respini, e altrettante le bottiglie in degustazione, da acquistare anche per l'asporto. Da provare la tartare di tonno e cacao amaro.

Cantine del Vino già Schiavi – Dorsoduro, 992 Fondamenta Nani – www.cantinaschiavi.com

Osteria La Vedova

Osteria semplice e curata dove trovare i sapori più sinceri della tradizione veneziana. Oltre al classico menu a base di pesce, qui si viene per stuzzicare qualcosa in piedi, dalla polpetta di carne ai crostini di baccalà mantecato, passando per le sarde in saor e i calamaretti. In abbinamento, il vino servito nella tipica caraffa in ceramica.

Osteria La Vedova – via Ramo del Cà d’oro

Al Timon, cicchetti

Al Timon

Vicino al Ghetto, una vivace osteria con una delle migliori offerte di cicchetti della zona: crostini farciti con porchetta, salsiccia cruda, lingua in salsa verde, formaggi e polpettine e tartare di carne. Da bere, calici di vino alla mescita e ottimi spritz, da gustare all’interno oppure nello spazio esterno con vista sul canale. Si può anche rimanere a cena, con fiorentine e filetti serviti con abbondanti contorni.

Al Timon – Fondamenta Ormesini, 2754 – facebook.com/timonbragozzo/

a cura di Michela Becchi

Con i fichi secchi oppure qualche erba spontanea o cipolle selvatiche, in passato era il pasto dei contadini che andavano a faticare nei campi. Poi nel tempo quella tradizione, come molte altre, è andata perdendosi, e ora della farinella non c'è che una resistenza agricola che cerca di opporsi all'estinzione. Con il supporto di qualche cuoco illuminato che non ci sta a perdere quella memoria gastronomica che sa di legumi e cereali. Un prodotto strettamente legato al paese d'origine, Putignano, tanto da essere sconosciuto a distanza di poche decine di chilometri e così radicato da dare il suo nome a una maschera del famoso carnevale locale, probabilmente per via di quella storia che vuole sia stata proprio la farinella a salvare i putignanesi da un'invasione di saraceni.

La farinella. Che cos'è

Per ovviare al rischio di trovare larve e farfalline nei legumi, a Putignano si usava tostarli e poi macinarli in una polvere sottilissima che veniva impiegata in vari modi e costituiva la base dell'alimentazione. Soprattutto nelle case meno abbienti, che ne facevano una polentina cuocendola in un brodo di erbe selvatiche, quelle che si trovavano durante il lavoro nei campi. Un pasto povero, saziante e nutriente. La stessa polentina, quando avanzava e diventava più solida, veniva tagliata a fette e si portava nei campi.

ceci, orzo e farinella

L'uso antico della farinella

Per molto tempo questo sfarinato di ceci e orzo tostati e macinati ha sostituito il pane nelle case putignanesi, oppure, mescolato ad altri prodotti arricchiva i pasti frugali e donava spessore e pastosità ad altri ingredienti. Oppure si impastata con acqua (magari quella di cottura delle verdure) olio e sale, o e poi quel che la natura regalava, qualche oliva o le cipolle, qualche ortaggio e anche frutta fresca o zucchero, per inventare un dolce con nulla. Qualcuno lo aggiungeva al macco di fave, qualcun altro ai lampascioni, tipiche cipolle selvatiche pugliesi. Questo l'uso contadino, chi godeva di maggiore disponibilità e poteva concedersi cibi più ricchi, invece, lo usava per inspessire sughi (tipico quello di brasciole di asino) e intingoli, patate lesse o verdure.

La farinella oggi

Oggi a produrla è rimasto solo Paolo Campanella, secondo gli insegnamenti ricevuti - insieme alla macina di pietra - dalla sua famiglia. Mugnai da 4 generazioni, sono gli ultimi a tenere in vita questa tradizione per mancanza di eredi e di apprendisti. Difficili da gestire quando si fa una produzione di misura come quella della farinella, che si aggira sui 60 quintali l'anno. Oggi difatti Campanella integra l'attività lavorando anche altre farine – di grano arso, Senatore Cappelli, khorasan – sempre seguendo metodi artigianali, rispettosi del prodotto e della sua integrità. Insieme ai cereali anche legumi e altri prodotti locali, ordinatamente esposti negli scaffali, si tratti di fave tostate o fritte, ceci secchi o lampascioni sott'olio.

La produzione avviene tutta nel suo negozio di Putignano: “Tosto separatamente orzo e ceci, entrambi a 150 gradi per circa 20 minuti, poco di più i ceci, in una tostatrice da caffè riadattata” spiega Campanella. Dopo aver tostato, macina gli ingredienti – separatamente o insieme, secondo le esigenze – e poi li confeziona. “Produco ogni giorno, secondo quanto ne vendo, per avere sempre un prodotto fresco in vendita”. Col passare dei mesi, infatti, la farinella perde fragranza, “considero sei mesi come tempo di conservazione, anche se non va a male”.

La comunità della farinella

Oggi si sta cercando di ricostruire la filiera di questo prodotto che racchiude cultura, tradizioni e sapori locali. “La comunità della farinella che abbiamo costituito” spiega “coinvolge contadini, mugnai, cuochi e commercianti per tutelare e valorizzare questo antico prodotto, con l'obiettivo di ottenere il Presidio Slow Food, e non solo per salvare la farinella ma anche per promuovere tutta la tradizione gastronomica di Putignano”. Uno dei primi passaggi è seminare varietà di ceci locali e di orzo antico. “Per avere più materia prima e fare una ricetta più antica possibile della farinella. Una miscela di ceci e una miscela di orzi, che vengono poi mescolate”.

Lampascioni, farinella, capocollo e cotto di fichi di Botteghe Antiche

La farinella. Ricette vecchie e nuove

I suoi clienti sono soprattutto le persone di una certa età “ma poi a mangiarla ci sono anche i giovani” aggiunge “Il massimo consumo è quando ci sono le cime di rapa, in questo periodo invece si consuma con il ragù misto o di asino, o il sugo che rimane nel piatto dopo aver mangiato la pasta. Si aggiunge la farinella, si mescola e si mangia. Più avanti, invece, si mangia con il pomodoro fresco. E poi” continua “tra poco arrivano i fichi fioroni. Basta tagliarli e spolverarli di farinella. Per me però” conclude “il massimo è con le verdure che siano cime di rapa, bietole o altro”.

La farinella rende più corposi sughi e intingoli, dà sostanza a ortaggi ed erbe trasformando un piatto di verdure in un piatto unico, magari con l'aggiunta di un pezzetto di formaggio o un salume. Oggi gli usi sono aumentati, complice l'audacia di nuovi abbinamenti. Il matrimonio con i lampascioni fritti, però, c'è sempre, con una goccia di cotto di fichi a dare profondità. È così – arricchito dal capocollo di Martina Franca - che lo propone Stefano D'Onghia nel suo Botteghe Antiche, superba osteria d'autore giusto a un passo dal negozio di Campanella. D'Onghia mette in fila tutti i classici impieghi: a dare struttura al sugo delle brasciole di asino e a quello delle polpette. Diverse le ricette proposte nel tempo anche all'Antica Locanda di Noci o da Angelo Sabatelli, nel suo omonimo ristorante, dal risotto con porcini e foie gras al pancotto fino all'inevitabile connubio con lampascioni fritti (bellissimi sculture vegetali) e cotto di fichi. Ma non manca chi ne fa sfoglie, pane, dolcetti.

pancotti di angelo sabatelli

La ricetta di Angelo Sabatelli

Pancotto di verdure, crema di fagioli al miso

4 porzioni

Crema di cannellini

120 gr fagioli cannellini cotti con gli odori soliti ma senza sale

pasta di miso rosso q.b.

Base pancotto

20 gr cipolla affettata

40 gr patate a cubetti

20 gr olio extra vergine di olive

10 gr guanciale a bastoncini

100 gr cicoriella in foglie (meglio se di campo)

1 pz spicchio d’aglio

2 pz foglia di alloro

sale q.b

30 gr olio di cicoria

20 gr olio extra vergine

4 pz cubi irregolari di 50gr l’uno di pane di semola pugliese raffermo

Finitura

5 gr olive disidratate e tritate

5 gr spinaci disidratati e polverizzati

5 gr pomodoro disidratato e polverizzato

5 gr barbabietola disidratata e polverizzata

5 gr patata disidratata e polverizzata

5 gr cima di rapa disidratatata e polverizzata

5 gr farinella di ceci (farina di ceci tostati)

2 gr alloro disidratato e polverizzato

2 gr fieno Greco

Mettere i fagioli cannellini cotti in frullatore, aggiungere il miso poco alla volta e frullare in una fine e fluida purea, se occorre aggiungere poca acqua di cottura e conservare a temperatura ambiente.

In una pentola rosolare la cipolla e il guanciale a fuoco moderato in olio extra vergine, aggiungere le patate a cubetti e rosolare per due minuti, aggiungere una foglia di alloro e coprire con circa 500 gr di acqua. Cuocere fino a quando le patate iniziano a sfaldarsi, passare al colino fine e scartare la parte solida. Rimettere il liquido in pentola con l’altra foglia di alloro e lo spicchio d’aglio, ridurre fino ad avere circa 200gr di liquido e filtrare, aggiungere la cicoria cruda e frullare il tutto a massima velocità per circa 3 minuti, filtrare nuovamente e se occorre correggere di sale e raffreddare.

Intingere per bene i cubi di pane nel liquido ottenuto, metterli in teglia su carta da forno, irrorare con olio extra vergine e infornare a 180°c per circa 10 minuti. Appena fuori dal forno irrorare i cubi con l’olio di cicoria e spolverarli con le polveri delle verdure disidratate.

Distribuire la crema di fagioli al centro di 4 piatti piani, posarvi il cubo di pancotto al centro e servire.

Nota: il miso da complessità alla crema di fagioli ma se lo si preferisce la si può fare anche senza. Ci sono due tipi di miso, quello bianco più delicato e quello rosso più deciso, per questa ricetta preferisco usare quest’ultimo.

 

La farinella - Putignano (BA) - Estramurale a Mezzogiorno, 176 - 3356579764 - www.lafarinella.it

Ristorante Angelo Sabatelli – Putignano (BA) - Via Santa Chiara, 1 - 080 4052733 - www.angelosabatelliristorante.com

 

a cura di Antonella De Santis

Insieme alle frappe, le castagnole sono il dolce più difusso e apprezzato in Italia durante il periodo di Carnevale. Delle palline fritte gustose, da assaporare in purezza oppure farcite con creme o confetture a propria scelta. Ecco come prepararle con i consigli di Mirko Iemma, resident chef della Gambero Rosso Academy, che offre una golosa versione con le nocciole.

Il resident chef della Gambero Rosso Academy ci insegna a preparare in casa le frappe, un grande classico del Carnevale italiano. Una ricetta semplice e gustosa, perfetta per il periodo di festa. Ecco come realizzarle con i consigli di Mirko Iemma.

Il Carnevale di Manfredonia

Tutto ha inizio il 17 gennaio, in occasione di Sant’Antonio abate, giorno che segna l'inizio dei festeggiamenti carnevaleschi, come recita il detto popolare “Sant'Andune masch're e sune”. Quest'anno, però, non ci sono state né maschere né musiche, niente suoni o frittelle, nessuna manifestazione di paese nell'ameno comune di Manfredonia, nel cuore del Gargano. Perché il celebre carnevale pugliese rischia di non vedere la luce in questo 2019, causa la precaria e delicata condizione politica e amministrativa del comune.

La festa

Una delle feste più caratteristiche di tuta la regione, che vanta ben 65 primavere (la prossima sarebbe la 66esima), famosa per le sue maschere in cartapesta ma soprattutto per la Sfilata delle Meraviglie, una parata dedicata ai più piccoli, evento vissuto con grande partecipazione da tutte le famiglie del luogo, che iniziano a dedicarsi alla preparazione dei costumi e dei carri mesi prima della manifestazione.

Un inno alla sregolatezza e ai piaceri della tavola, caratterizzato dalla presenza di ZePèppe, personaggio simbolo di Manfredonia, Re proveniente dalla campagna e in grado di portare ai cittadini spensieratezza e buonumore. E poi le tante specialità gastronomiche, a cominciare dalle ferrate, regine indiscusse in tempo di festa, delle tortine di pasta sfoglia ripiene di farro, ricotta, maggiorana, sale e cannella, nate in epoca romana e originariamente servite durante i matrimoni. Senza dimenticare poi le varie frittelle comuni a tutto il territorio nazionale, come le chiacchiere.

Il ruolo del Carnevale

Insomma, stiamo parlando di un rituale profondamente radicato nel territorio pugliese, un momento di gioia e brio, convivialità e unione. Da sempre indissolubilmente legato al cibo (il nome stesso deriva dal latino carnem levare, “eliminare la carne”), il Carnevale, con il suo carattere goliardico e godereccio (eredità delle antiche Antesterie greche e dei Saturnali romani), è l'espressione massima dell'allegria e la libertà, un tempo in cui la teatralità che sostanzia le tradizioni dei piccoli borghi italiani, che siano di origine pagana o spiccatamente cristiana, tocca il suo apice. Piazze e tavole della Penisola si trasformano, diventando colorate tele su cui dipingere e raccontare la catarsi del Carnevale, occasione ideale per lasciarsi andare indossando maschere variopinte e interpretando personaggi di fantasia, concedendosi qualche goloso strappo alla regola.

Manfredonia nel 2019

È stato l'Amministratore Unico dell'Agenzia del Turismo Saverio Mazzone, a cui è demandata l'organizzazione della festa, a dare la notizia della possibile fine di questa tradizione locale. Una celebrazione che, naturalmente, richiede costi, mezzi e risorse significative per il comune, una città con un'economia fortemente frammentata, che conta molte imprese ma con pochi addetti, un luogo dove non sono ancora avvenuti quei mutamenti organizzativi necessari per le aziende contemporanee, che non hanno saputo sfruttare al meglio le possibilità di incremento produttivo date dalle innovazioni tecnologiche. Nonostante i tanti ostacoli economici e burocratici, i cittadini non si arrendono e si battono per la tradizione: l'Agenzia del Turismo, infatti, è da tempo al lavoro per individuare delle risorse minime indispensabili all'organizzazione del Carnevale.

I tempi

Un'operazione piuttosto complessa, che sta dilatando tempi e dimezzando le possibilità di conservare il rituale. “Occorre armarsi di tutta la pazienza di cui si è capaci”, si legge in una nota dell'Agenzia del Turismo, “ogni riflessione sul tema merita spazio”. Un lavoro che avrebbe dovuto concludersi lo scorso 17 gennaio, ma che sta richiedendo invece ulteriori approfondimenti. L'Agenzia si era impegnata a fornire una risposta definitiva entro oggi, 21 gennaio, ma dalla Puglia, ancora, non trapela altro che un senso condiviso di delusione e rancore. Perché se anche la decisione finale dovesse essere positiva, a oggi non ci sarebbe tempo a sufficienza per ideare al meglio la 66esima edizione.

Il danno ai lavoratori

Finora, infatti, sono rimasti fermi gli operatori del settore, dagli allestitori di carri agli organizzatori dei vari gruppi, dai musicisti agli artigiani. Una comunità immobile, cristallizzata: un triste ritratto dell'attuale società manfredoniana. Qualunque sia il verdetto finale, ci auguriamo che questo momento di paralisi possa invitare enti, agenzie e associazioni di categoria a una riflessione più accurata sulle condizioni del comune.

a cura di Michela Becchi

La pasticceria è dedizione, confronto e dono verso le nuove generazioni. Lo dimostrano i professionisti del settore, con le loro scuole di cucina, le lezioni, le offerte di stage, e i ragazzi giovani, sempre più appassionati e vogliosi di intraprendere questa strada, cominciando col piede giusto. A Bologna è da anni Gino Fabbri a indirizzare e guidare gli aspiranti pasticceri, creando un esercito sempre più assortito e valido di artigiani. Così, il panorama continua a crescere, fra format nuovi e insegne storiche che si rinnovano. Ecco i 7 indirizzi migliori (in ordine alfabetico), selezionati dalla guida Pasticceri & Pasticcerie 2018 del Gambero Rosso, per mangiare dolci d'autore in città e nelle zone limitrofe.

Berti – Dozza

Un punto di ritrovo per tutti i golosi della zona, un indirizzo affidabile che vanta una schiera di clienti affezionati. Berti è una garanzia per gli amanti del dolce, un locale polivalente in grado di accogliere il pubblico dalla colazione all'aperitivo, con proposte sempre fresche e gustose. Al mattino, sono i lieviti a fare la parte del leone, fra cornetti alveolati e soffici, sfoglie e paste farcite. Da provare anche il Panfrutta, disponibile tutto l'anno, a base di lievito madre e farine selezionati, una ricetta dal profilo aromatico intenso e avvolgente, e il gusto unico. Ottimo anche il comparto mousse, in particolare le classiche alla fragole e al limone, e poi la linea di bignè, farciti con le creme più golose. In estate, Berti offre anche gelati artigianali ben mantecati, mentre nella stagione più fredda, via libera a cioccolatini, cioccolata calda, praline e tavolette.

Berti – Dozza (BO) – via Emilia, 95 loc. Toscaella – 05 42672371 – www.barberti.com

Dolce Salato – Pianoro

Appena fuori città, sulle prime colline di Bologna, un'insegna insolita creata all'interno di un secolare mulino in pietra. Dolce Salato è l'oasi del gusto di Gabriele Spinelli e Milena Govoni, un locale in cui regnano sovrane cura dei prodotti, qualità e idee sempre nuove. Una trentina di brioches diverse e croissant con lievito madre, da quello ai lamponi al cornetto alla ricotta, dalla treccia con uvetta all'integrale con miele, garantiscono colazioni d'autore. Per i più golosi, poi, c'è la brioche “dolce e salata”, uno dei prodotti di punta del locale, un croissant salato con glassa di zucchero e agrumi. E ancora veneziane, bomboloni, sfoglie alla mela, crema, banane, mandorle, cremini. La proposta della pasticceria annovera anche monoporzioni, mignon, prodotti senza glutine, vegani o privi di lattosio, pensati per andare incontro alle varie esigenze della clientela. Le torte spaziano dalla classica e impeccabile Saint Honoré a quelle più innovative come la bavarese con zabaione, cioccolato e frutta. Durante le feste, poi, torroni, croccanti al mascarpone e panettoni di gusti diversi. Gabriele, inoltre, ha recentemente aperto il suo primo avamposto a Bologna, in via Stalingrado, Grado61.

Dolce Salato – Pianoro (BO) – via Garganelli, 13 – 05 16260199 – www.dolcesalatopianoro.com

Dulcis Cafè – Imola

Nel cuore di Imola, a pochi passi da alcuni dei più importanti monumenti storici come la Rocca Sforzesca e il Duomo, si trova il locale di Matteo Coralli, pasticcere con importanti esperienze alle spalle, in passato alla corte del San Domenico. Una realtà solida, punto di riferimento per chi cerca un'offerta dolciaria artigianale di qualità. La proposta è ampia e si articola in brioches per la prima colazione e torte da ricorrenza, senza dimenticare i classici mignon, e poi tutti i grandi lievitati delle feste. Da provare la tartelletta con cremoso al cioccolato bianco, mandorle e agrumi, le crostatine con crema Chantilly e lamponi, e poi la cupoletta con mousse al cioccolato, mascarpone e glassa all'amarena. Fra le torte, invece, impossibile resistere al cremoso alle mandorle con cuore di pistacchio, uno dei prodotti più richiesti.

Dulcis Cafè – Imola (BO) – p.zza Bianconcini, 16 – 05 4227055 – www.dulciscafe.it

Gino Fabbri Pasticcere – Bologna

Quello di Gino Fabbri è l'approccio di un maestro pasticcere che ama coinvolgere le nuove generazioni e arricchirsi grazie al confronto diretto con i giovani, come dimostra il grande successo della Gino Fabbri Academy. Un professionista che non smette di stupire, costantemente mosso dall'ambizione e dal desiderio di rinnovarsi, soprattutto nella ricerca maniacale degli ingredienti. Si comincia dai croissant, sfogliati, profumati di burro buono e farciti con creme d'autore lisce e setose, e poi brioche, krapfen, veneziane, tutto il meglio dei lieviti per la prima colazione. Impossibile rinunciare a un assaggio delle monoporzioni - Tenerina e plumcake agli agrumi in primis - oppure ancora i mignon. Presenti anche il reparto cioccolateria, macaron e la biscotteria secca, ma a fare la parte del leone qui sono le torte, insieme ai lievitati delle feste, panettone, Colomba, ma anche i fritti di Carnevale (imperdibili le sfrappole profumate al Brandy e all'aceto di vino). Anche sul fronte salato, la scelta è ampia e di qualità, tra bioches, sfogliatine e schiacciate farcite.

 

Fabbri

Gino Fabbri Pasticcere – Bologna – via Cadriano, 27 – 05 1505074 – www.ginofabbri.com

Opera Dulcis – Imola

Aperta nel 2013, questa insegna dagli spazi ampi e ariosi e dall'arredamento moderno si propone come punto di incontro per i buongustai della città, un locale polifunzionale attivo dalla mattina alla sera. Caffetteria, bistrot e pasticceria: Opera Dulcis è in grado di rispondere a tutte le esigenze della clientela, dalla colazione all'aperitivo. La giornata comincia con i lieviti fragranti, dolci o salati, e continua poi con torte, crostate, monoporzioni, mignon e biscotti, accompagnati da tè e caffè. Dai bignè alle tartellette con frutta, dai babà ai macaron, senza dimenticare la zuppa inglese e la tortina al cioccolato e pere caramellate: tante le specialità per una pausa dolce e golosa, da provare nelle diverse varianti disponibili. Imbattibili i dolci al cucchiaio, comeper esempio il mascarpone con lampone e cialda friabile, da assaggiare come degna conclusione di un pasto, se si sceglie di usufruire del servizio di ristorazione.

Opera Dulcis – Bologna – p.zza G. Matteotti, 18 – 05 4224556 – www.operadulcis.it

Pallotti – Bologna

In passato era un forno con laboratorio, dalla metà degli anni '80 questo locale ha cambiato pelle, cominciando a investire nella qualità delle materie prime e allargando l'offerta. Oggi è una pasticceria di stampo classico, che ripropone i dolci della tradizione realizzati ad hoc, con ingredienti di prima scelta e tecnica impeccabile. Ci sono le veneziane, i lieviti, e le frolle, fra le specialità della casa, e poi anche i mignon, i biscotti e i cioccolatini. Da Pallotti, però, ci si va anche per un pranzo veloce, uno spuntino o un aperitivo: le proposte salate, infatti, sono di prima scelta, dai croissant farciti al momento con salumi e formaggi del territorio, verdure e sottoli, pizzette, focacce, calzoni ripieni di formaggio e tante altre ricette sfiziose pensate per accompagnare cocktail e vini al calice.

Pallotti – Bologna – via del Borgo di San Pietro, 59 – 05 1242417 – www.fornopallotti.it

Regina di Quadri – Bologna

Una bottega artigiana d'alto profilo che racconta il territorio e la sua storia, attraverso specialità che esplorano con mestiere e tecniche innovative l'universo delle tradizioni italiane e d'Oltralpe. La regia è quella di Franesco Elmi, pasticcere appassionato che realizza con estro e creatività dolci contemporanei di vario tipo. Dai grandi classici come la millefoglie alla crema pasticcera, oppure panna, zabaione e scaglie di cioccolato, composta al momento (da ordinare almeno due ore prima), alla Regina, mignon con crema pasticcera, ganache al rum e cioccolato. E ancora il cubetto di tiramisù, la mousse con cioccolato e caramello senza uova e zucchero, l'Opera al caffè, il Triangolo alla crema e la tradizionale torta di riso. Fra la gamma di torte, però, la più celebre resta la Sacher, nella versione classica oppure nella variante al lampone, all'arancia o quattro spezie, mentre nella pasticceria secca, posto d'onore lo merita la Linzer, con impasto di nocciole e frutti di bosco.

 

Regina di Quadri

Regina di Quadri – Bologna – via Xastiglione, 73 a – 05 16446201 – www.pasticceriareginadiquadri.it

a cura di Michela Becchi

Pasticceri & Pasticcerie 2018 del Gambero Rosso | Prezzo: 14,90 | disponibile in edicola, libreria e online

Pasticceri & Pasticcerie 2018 del Gambero Rosso. Classifica e premiati

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La deduzione viene quasi spontanea: il Trentino Alto Adige, una delle zone più fredde d'Italia, non sembrerebbe terra fertile in fatto di street food. In realtà, basta davvero poco per constatare esattamente il contrario e scoprire come questa regione – storicamente crocevia di tradizioni culturali e linguistiche diverse tra loro – raccolga un interessante patrimonio di cibo da strada. Un patrimonio che prende forma dal copioso paniere di eccellenze agroalimentari locali, da salumi e insaccati alle svariate tipologie di formaggio, senza dimenticare le tante espressioni dell'arte bianca. Dopo la Sicilia e la Toscana, andiamo dunque alla scoperta degli street food trentini e altoatesini meno conosciuti.

 

Il Carnevale in Trentino Alto Adige: non solo krapfen

Tra le occasioni migliori per ritrovarli e assaggiarli, spiccano senza dubbio i numerosi mercatini che, nel periodo natalizio, animano città e paesi con i loro caratteristici banchi. Oltre il mese di dicembre, però, sono tanti altri i momenti dell'anno che rendono protagonista il cibo da strada. A partire dal Carnevale, che in Trentino Alto Adige è in primis sinonimo di krapfen, quella sorta di bombolone che rappresenta il dolce da passeggio maggiormente noto oltre i confini regionali.

CrostoliCrostoli. Foto: Filippi & Gardumi.

E poi? Ci sono i crostoli, diffusi soprattutto in Trentino, dove sono ribattezzati anche grostoli e – in dialetto – grostoi. La parola “crostoli”, che probabilmente deriva dal latino crustulum (ciambella, biscotto), è utilizzata pure in alcune parti del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia per indicare lo stesso prodotto, ossia i classici dolci carnevaleschi che hanno nomi e fogge differenti lungo tutto lo Stivale (noti altrove come frappe o chiacchiere). Sono spesso distribuiti al termine di cortei e manifestazioni, che si svolgono in modo diverso da zona a zona. Ogni famiglia ha la propria versione, ma tendenzialmente si tratta di un impasto a base di farina, uova, zucchero, burro e una o più componenti alcoliche (da queste parti è quasi sempre la grappa locale); sotto trovate la ricetta fornitaci dalla pasticceria Filippi & Gardumi a Trento, un punto di riferimento dal 1958 e uno degli indirizzi cittadini segnalati dalla guida Pasticceri&Pasticcerie del Gambero Rosso. Una volta stesa, la pasta viene tagliata in modo da darle la forma che si preferisce (i crostoli sono di solito rettangolari) e infine fritta, ma c'è chi predilige la variante cotta al forno.

 

Grostoi e vin brulé: i festeggiamenti di Varignano

Proprio la distribuzione dei grostoi è tradizionalmente organizzata nei pressi del Santuario di Monte Albano a Mori, in provincia di Trento, in occasione della festa di San Giuseppe oppure la domenica successiva a quella di Pasqua. La prima domenica di Quaresima, invece, i grostoli non possono mancare a Varignano, una piccola frazione di Arco (siamo sempre in Trentino): “questa manifestazione risale al '700 e prevede la costruzione dei Carnevali, ossia delle piramidi realizzate con canne di bambù e addobbate di alloro, al centro delle quali sono posizionate varie vivande”, ci racconta Graziano Parolari, presidente del Comitato di Valorizzazione Varignano, “durante il corteo, i Carnevali vengono trasportati fino al cosiddetto doss del Carneval, l'altura dove infine il rito prevede che siano bruciati”. Ad accompagnare questo momento, ci sono sempre grostoi e vin brulé, oltre a dolci casalinghi e brazedel.

 

La ciambella dolce come dono augurale: il brazedel

E che cos'è il brazedel? Si tratta di una ciambella dolce, diffusa soprattutto in val di Non e nella valle del Primiero. “È un impasto semplice, a base di acqua, farina, lievito, uova, zucchero e burro (a seconda della zona c'è chi aggiunge l'uva sultanina,ndr): alcuni di questi ingredienti, un tempo erano molto più costosi e potevano essere acquistati solo per le grandi occasioni”, ci spiega Francesco Zanetel del Panificio Pasticceria Zanetel, una piccola realtà a conduzione familiare che sforna quotidianamente brazedel a Siror (uno dei cinque municipi del comune di Primiero San Martino di Castrozza), dove è facile trovarlo pure in occasione del mercatino di Natale e viene di solito offerto al termine della fiaccolata natalizia. In origine, invece, rappresentava un dono nuziale o il regalo che a Capodanno padrini e madrine facevano ai loro figliocci come simbolo augurale. “Dopo una prima lunga lievitazione di almeno 24 ore, suddividiamo la pasta in tre parti, che poi intrecciamo e chiudiamo ad anello, il quale viene decorato con lo zucchero in granella”, prosegue Zanetel, “ne esistono pure altri formati, come quello, leggermente più piccolo e sempre a mo' di ciambella, in cui l'impasto non è intrecciato e va infine impreziosito con lo zucchero semolato”.

Per quanto riguarda l'origine del nome non ci sono informazioni certe, ma presumibilmente l'espressione brazedel deriva dal fatto che le donne, tornando dal mercato, portavano il prodotto a casa infilandolo nelle braccia.

fittelle di mele

Frittelle di mele (o apfelkiechl). Foto di Platzer e Waldner

 

 

E ancora, le frittelle di mele (o apfelkiechl)

 

Dall'Alto Adige arriva un'altra ricetta immancabile durante il Carnevale, ma che in realtà è molto diffusa pure nel resto dell'anno: stiamo parlando delle frittelle di mele (in tedesco apfelkiechl), una preparazione che si fa risalire all’epoca medievale, quando la coltivazione di quella che poi sarebbe diventata una vera eccellenza di questo territorio (la Mela Alto Adige che gode, non a caso, dell’Indicazione Geografica Protetta) era già una pratica diffusa nei monasteri.  

Si inizia sbucciando le mele e togliendo il torsolo, per poi tagliare la parte restante del frutto a fettine sottili”, sottolineano Rosi Waldner Helmut Platzer, che da oltre 20 anni partecipano al mercatino di Natale di Merano con il loro chiosco, “le rondelle ottenute vanno intinte in una pastella che realizziamo con farina, uova, latte, zucchero, sale, lievito e grappa; infine friggiamo il tutto in olio bollente”. Ognuno, ovviamente, può ideare la propria versione dell’impasto: l’importante è che il risultato finale sia una frittella dorata e croccante al punto giusto, non troppo zuccherina, anche perché vengono di solito servite dopo una spolverata di zucchero a velo oppure accompagnate con panna e cannella, salsa alla vaniglia o polpa di mele.

StarubenStrauben. Foto Platzer e Waldner

 

Tanti nomi per un’unica specialità: strauben, straboli o fortaies

Con lo stesso composto Rosi e Helmut creano lo strauben, la frittella molto popolare non solo nella provincia di Bolzano ma anche nel Tirolo austriaco e nel Trentino (dove è ribattezzata strauli, straboli o fortaies). Il termine strauben è un’anticipazione delle caratteristiche di questo dolce: deriva infatti dal tedesco straub, che significa “arricciato, tortuoso”. “In Alto Adige lo si preparava già nel XVIII secolo, soprattutto in occasione di feste e matrimoni, poiché si diceva che portasse fortuna mangiarlo”, proseguono“l’impasto deve avere una consistenza liquida e va versato in un imbuto, dal quale con movimenti a spirale viene fatto cadere in una pentola contenente olio bollente”. Si ottiene così un prodotto dalla forma circolare e composto da tanti vermicelli aggrovigliati tra loro, guarnito con zucchero a velo o abbinato alla confettura di mirtilli.

 

Di krapfen non ce n’è uno solo: cosa sono i kirchtagskrapfen?

Dalla valle Isarco e dalla val Pusteria arrivano invece i kirchtagskrapfen (foto in apertura), letteralmente i krapfen del kirchtag (ossia del “giorno della Chiesa”). La loro particolarità risiede nel fatto che sono completamente diversi dai più comuni krapfen (per differenziarli, infatti, questi ultimi sono soprannominati faschingskrapfen, vale a dire i krapfen di Carnevale). All’aspetto sono simili a dei ravioli dolci fritti: hanno di solito una forma quadrata, ma in realtà le loro caratteristiche cambiano da paese a paese (possono essere pure rotondi o a mezzaluna). Per quanto riguarda la farcia, quella più tradizionale prevede la presenza di confettura di albicocche e semi di papavero, ma anche in questo caso si contano diverse alternative, ad esempio con i semi di anice oppure - specialmente nella valle Isarco - con la crema di castagne. Non possono mancare in occasione delle feste patronali, a cui è legata l’usanza del cosiddetto Kirchtagsmichl: quest’ultima prevede che venga innalzato un tronco, sulla cui cima si trova un pupazzo vestito con i tipici abiti sudtirolesi, con in mano proprio un kirchtagskrapfen. Originariamente, ma la pratica oggi non è più diffusa salvo alcune eccezioni, accadeva che gli abitanti dei paesi vicini cercassero di rubare il pupazzo, che una o più persone avevano infatti il dovere di sorvegliare durante la notte.

 

BauerntoastBauerntoast. Foto di Auer Lukas per Mercato dei Sapori Pur Südtirol

 

Il panino in stile altoatesino: il bauerntoast

Passiamo al salato, ma restiamo in Alto Adige, dove uno degli spuntini più comuni è sicuramente il bauerntoast (un’espressione che deriva dal tedesco e significa “toast del contadino”). Si tratta infatti di uno spezza fame semplice e rustico, che combina e valorizza alcune delle migliori materie prime locali. Partiamo dal pane: tendenzialmente si tratta di quello scuro, tipicamente altoatesino, che deve il proprio colore all’impiego della farina di segale e che viene aromatizzato con varie spezie, in particolare anice, cumino o trigonella. Il ripieno, invece, è a base di speck e formaggio di montagna, da arricchire in vari modi a seconda delle proprie preferenze. C’è, ad esempio, chi aggiunge la senape, chi la salsa rosa. Prima di addentarlo, va riscaldato in modo da rendere il pane ancor più croccante e lasciar sciogliere il formaggio.

 

Dalla val di Non e val di Sole, il tortel de patate

Per l’ultima tappa del nostro viaggio alla scoperta degli street food trentini e altoatesini torniamo in provincia di Trento, in particolare in val di Non e val di Sole. Sono infatti proprio queste le zone in cui è maggiormente diffuso il tortel de patate, una pietanza genuina che può essere impiegata in sostituzione del pane, magari da abbinare a un contorno e alla tradizionale luganega per un pasto completo. In versione street food, invece, si mangia spesso “in purezza”, servito nella classica carta paglia, oppure c’è chi sperimenta abbinamenti dolci, accompagnandolo con la confettura di mirtilli rossi.

La prima testimonianza scritta del tortel risale al 1860: le patate arrivarono in Europa qualche secolo prima, ma per molti anni furono demonizzate”, precisa Mario Tonon, Gran Maestro della Confraternita della torta de patate, nata nel 1998 con l’intento di recuperare una ricetta che stava lentamente scomparendo, “le patate, che devono essere a pasta bianca, vanno lavorate con una grattugia a fori grossi e successivamente lasciate scolare per eliminare l’acqua in eccesso; si aggiunge poi il sale e, per realizzare il tortel, si fanno delle frittelle circolari che vengono cotte in una padella riscaldata a fuoco vivo con abbondante olio, mentre in origine si usava lo strutto”. Per la torta, invece, lo stesso composto è cotto al forno, dopo essere stato spalmato uniformemente in una pentola contenente dell'olio, meno rispetto alla cottura in padella.

 

La ricetta dei crostoli della pasticceria Filippi & Gardumi

 

Ingredienti per l’impasto

250 g di farina 00

30 g di zucchero a velo

25 g di burro (a temperatura ambiente)

10 g di lievito in polvere

1 uovo

50 cl di spumante secco

25 cl di grappa trentina

Sale q.b.

 

Per friggere

Olio di semi q.b.

 

Unire farina, zucchero a velo, sale e lievito. Disporre il composto ottenuto a fontana e aggiungere burro, uovo, spumante e grappa. Impastare il tutto e lasciar riposare per 10-15 minuti circa. Stendere l’impasto sottile e poi tagliarlo in modo da ottenere dei rettangoli di 4x10 cm. Friggere in abbondante olio di semi. Aspettare che i crostoli si raffreddino, prima di guarnirli con dello zucchero a velo.

 

Pasticceria Filippi & Gardumi – Trento – via Bolghera, 34 – 0461932088 – www.filippiegardumi.it

Panificio Pasticceria Zanetel – Siror, Primiero San Martino di Castrozza – via Larga, 11 – 0439762228

Platzer-Waldner – Casetta n. 62 nel mercatino di Natale di Merano – passeggiata Lungo Passirio - mercatini.merano.eu/mercatini-natale-merano/casette/il-piacere-sudtirolese/

 

a cura di Agnese Fioretti

foto in apertura  www.locandasudtirolese.it

 

Non è Carnevale senza un fritto. Lo abbiamo detto e ridetto. E ora che siamo arrivati all'ultimo giorno di queste lunghe feste vi proponiamo le ricette dei classici di stagione. Ma, anche se si frigge un po' in tutta Italia in questa e molti dolci sono in comune, non è detto che, da nord a sud, vengano realizzati tutti nello stesso modo. Per sincerarcene abbiamo chiesto a tre maestri pasticceri le loro ricette così da poterle confrontare. L'importante poi è seguire le regole per un fritto perfetto, che ci aveva suggerito Iginio Massari.

 

 

Pasticceria Biasetto di Padova

Luigi Biasetto. Tre Torte per la guida Pasticceri e pasticcerie d'Italia 2017

Famoso, famosissimo, anche perché i suoi magnifici prodotti sono in vendita anche in insegne diverse dalla sua. Ma è a Padova che si può conoscere da vicino in ogni sua creazione, dolce o salata, da colazione o dopo cena. Espressione di quell'arte dolce che fa dell'equilibrio tra sapori, forme e struttura l'elemento imprescindibile di ogni boccone. Luigi Biasetto è uno dei nomi che fanno grande la pasticceria italiana nel mondo, impegnato com'è nella didattica, in concorsi internazionali, nelle consulenze. Un grande maestro a tutto tondo che non manca di un richiamo all'aspetto più intimo e familiare del preparare e gustare i dolci, come nel casso delle frappe.

 

Frittelle (o castagnole)

270 g. di latte
100 g. di burro
20 g. di zucchero
1 pizzico di sale

190 g di farina 00

7/8 bianchi d’uovo (200 g) oppure 5 uova intere (250 g)
Buccia grattugiata di 1 arancia
100 g di uvetta
50 g di pinoli
3 g di lievito chimico

olio di oliva per friggere

 

Mettere nella pentola latte, burro, zucchero, il sale e portare a bollore il tutto, aggiungere la farina.

Spegnere il fuoco e mescolare per alcuni minuti la pastella preparata poi trasferire in una boule. Lasciarla raffreddare ancora per alcuni minuti e intanto preparare un composto con le uova, la buccia d'arancia grattugiata

Unire le uova alla pastella finché risulti un impasto ben liscio, aggiungere infine uvetta e pinoli ben mescolati con il lievito.

Mettere la pasta per frittelle nella sac à poche munita della bocchetta grossa, preriscaldare l’olio nella pentola e riscaldarlo finché raggiunga 175°C. Monitorare con una sonda la temperatura dell’olio, che non potrà mai superare i 185°C. Sotto i 170°C le frittelle si riempiranno d’olio.

Su un foglio di carta da forno formare delle palline di circa 20 g, quindi spostare il foglio di carta con sopra le palline nella pentola, facendo attenzione che non si attacchino fra di loro durante lo spostamento.

Dopo alcuni secondi si può sfilare la carta da forno tranquillamente, quindi lasciare per un minuto le frittelle senza toccarle. Per ultimare la cottura, con un movimento da sinistra verso destra e ritorno, far rotolare le frittelle su se stesse con una schiumarola.

A cottura ultimata (prima che diventino scure) scolarle e farle cadere nella carta assorbente.

Spolverare con un po’ di zucchero a velo e servire.

 

Queste frittelle si manterranno belle morbide per il giorno dopo, se tenute in una scatola chiusa. Potete a piacere sostituire la frutta secca con cubetti d’arancio canditi, cedro, noci, fichi, datteri…
Potete utilizzare il tuorlo d’uovo per fare una crema pasticcera per farcire o sostituire il bianco d’uovo con uovo intero

biasetto

Frappe

Da piccolo mi divertiva fare dolci con mia nonna Cesira, è stata lei a insegnarmi come preparare frappe così leggere e friabile. Uno dei segreti è tirare la pasta talmente sottile da appoggiarla sopra un giornale e poter leggere le parole”.Così Luigi Biasetto presenta le sue frappe di cui ci dà la ricetta.

 

280 g di farina

56 g di latte

3 g di lievito chimico

1 uovo

2 cucchiai rasi di zucchero

1 pizzico a tre dita di sale

30 g di vermouth

30 g di burro a pomata

La buccia di ½ arancia

½ baccello di vaniglia

Olio di arachidi per frittura

Zucchero a velo semolato (quanto basta)

 

Versare la farina, lo zucchero, il sale, il lievito e il burro nella boule di vetro, grattugiare l’arancia, aggiungere la vaniglia grattata. Nel centro del contenitore aggiungere le uova, il latte e il vermouth, quindi lavorare fino a ottenere un impasto ben liscio.

Stendere la sfoglia con l’aiuto della tirapasta, passandolo per 5/6 volte a uno spessore sempre più sottile, dare la giusta elasticità all’impasto ripiegandolo su se stesso tutte le volte (come si usa fare per i tagliolini o altra pasta all'uovo). Per stenderle utilizzare meno farina possibile, potrebbe sporcare l’olio. Lasciare riposare un’oretta l’impasto prima di cuocere farà bolle più grosse

Dividere il panetto in più parti e stendere il più sottile possibile, utilizzando un po’ di farina se necessario.

Appoggiare la pasta tirata su un panno leggermente spolverato di farina. Lasciare riposare un’oretta l’impasto prima di cuocere farà bolle più grosse) e quindi tagliare con una rotellina, liscia o rigata, in rettangolini di 15 cm x 4. Mettere a riscaldare l’olio in un contenitore sufficientemente grande per contenere le chiacchiere; mantenere l'olio a 180°C, controllando la temperatura con una sonda o un termometro da cucina.

Appoggiare delicatamente nell’olio le chiacchiere, quattro alla volta facendo attenzione a tenerle ben distese, e non appena si saranno gonfiate girarle su se stesse e ultimare la cottura.

Quando saranno ben dorate la cottura sarà ultimata, toglierle dall’olio e metterle in piedi di profilo sulla carta assorbente.

Appena raffreddate spolverare di zucchero a velo e servire.

Può essere gradevole grattugiare un po’ di limone o arancio prima di spolverare con lo zucchero a velo. In alcune regioni è abitudine mettere anche un po’ di alchermes (in Francia le chiamano bugne di Lione, anche questa è una nostra specialità esportata)

 

Pasticceria Biasetto | Padova | via Facciolati 12 | tel. 049 8024428 | http://pasticceriabiasetto.it/

 

Casa Manfredi di Roma

Giorgia Proia e Simone Porcelli. Due Torte per la guida Pasticceri e pasticcerie d'Italia 2017

Pasticceria di impronta francese, gelato artigianale, praline, mignon e lieviti anche in vasocottura: il panorama della pasticceria c'è tutto, e tutto a partire da ottime materie prime, come per esempio il Latte Nobile per il gelato e il burro francese Corman per i lieviti. Non manca anche pasticceria salata e d'occasione, come quella per il carnevale. Con frappe e castagnole dalla forte personalità.

casa manfredi

Castagnole

1000 g. di farina frolla molino Pasini

500 g. di ricotta di pecora

400 g. di uova

200 g. di zucchero

15 g. di baking

50 g. di rum  

Vaniglia un baccello

Scorza 1 limone

Olio di arachidi per friggere

 

Impastare la ricotta con lo zucchero e gli aromi. Inserire la farina e il baking. Aggiungere le uova e in ultimo aggiungere il rum.

Far riposare 2 ore al frigo. 

Formare delle palline da 3 cm di diametro. 

Friggere a 170° C in olio di arachidi

 

Frappe

1000 g. di farina torta molino Pasini 

150 g. di saccarosio

100 g. di burro

300 g. di uova

10 g. di sale 

100 g. di sambuca

100 g. di vino bianco

Olio di arachidi per friggere

 

Impastare tutto con il gancio tranne i liquidi alcolici. Inserire poi poco alla volta i liquidi alcolici fino ad ottenere un impasto liscio.

Far riposare 2 ore in frigo

Stendere a 0,5 mm. Friggere con olio di arachidi a 170°C.

 

Casa Manfredi | Roma | Aventino, 91 | tel. 06 97605892 | https://www.facebook.com/casamanfrediaventino/

 

 

Gruè di Roma

Marta Boccanera e Felice Venanzi. Premio Pasticceri Emergenti per la guida Pasticceri e pasticcerie d'Italia 2017 

Una storia recente nutrita a suon di studi con grandi maestri (tra cui anche Luigi Biasetto), ricerca attenta della materia prima, richiami alla pasticceria d'Oltralpe. Sono giovani Marta Boccanera e Felice Venanzi - nel panorama romano e in quello italiano - ma non abbastanza da non accendere un riflettore sulla propria attività. Che alterna lievitati da colazione e biscotteria secca, torte e monoporzioni di impianto moderno e praline, piccole opere perfette nella testura come nell'armonia dei sapori, con glasse a specchio ineccepibili che racchiudono costruzioni molto elaborate. Non manca anche una parte dedicata al salato che si attesta su una buon livello, con proposte più tradizionali.

 

Castagnole gruè

Castagnole

2000 g. di latte

20000 g. di acqua

800 g. di burro

200 g. di zucchero

60 g. di sale

4000 g. di uova

3000 g. di farina forte

 

Far bollire acqua, latte, burro, zucchero e sale; arrivato a bollore aggiungere la farina precedentemente setacciata e cuocere fino a che non si stacca dai bordi della pentola.

Mettere in planetaria far raffreddare fino a 60° c e aggiungere le uova a filo.

Dressare, ovvero disporre su una teglia con sac à poche in palline da 15g

Friggere a 175° c in olio di arachide

 

Frappe

4000 g. di farina forte

25 g. di sale

600 g. di zucchero

4 bacche di vaniglia

400 g. di burro

1300 g. di uova

200 g. di vernouth

170 rum agricolo

 

Impastare tutti gli ingredienti insieme mettendo il burro a pomata. Lasciar riposare una notte in frigo stendere dei fogli sottilissimi e tagliare in rettangoli di 16 cm x 6. Friggere a 175° c in olio di arachide. Fare attezione alla temperatura dell'olio e a ritirarle prima che scuriscano.

 

Gruè | Roma | viale Regina Margherita, 95 | tel. 06 8412220 | www.gruepasticceria.it/

 

 

Dolciarte di Avellino

Carmen Vecchione. Due Torte per la guida Pasticceri e pasticcerie d'Italia 2017

Un ambiente grazioso e accogliente e un laboratorio che sforna a tutte le ore una grande pasticceria d'autore, che punta sulle materie prime di altissima qualità, sulla messa a punto di ricette perfette, sulla tecnica e la capacità di confrontarsi anche con dolci che esulano dalla tradizione irpina. Ormai famoso è il suo panettone, proposto tutto l'anno. Ma anche durante il periodo di Carnevale, l'offerta non manca di soddisfare i palati più esigenti, ricchissima com'è di specialità campane, come il migliaccio, il pastiere di riso e altre prelibatezze. Immancabili le frappe, sia con zucchero che con miele.

 

castagnole

Castagnole

1 kg di farina
300 g. di panna
150 g. di zucchero
180 g. di uova
15 g. di baking
50 g. di pasta limone
1 vaniglia in bacca

Impastare il tutto e con un sac à poche dressare come si fa per i bignè su carta forno che va poi tagliata con un taglierino. Friggere in olio a 160 gradi. Inzuccherate da calde.

 

 

Chiacchiere (o frappe)

1,5 kg. di farina
400 g. di uova
150 g. di burro morbido
150 g. di zucchero
15 g. di sale
300 g. di vino bianco secco
Scorza di limone
1 vaniglia in bacca

Olio di arachide per friggere

Impastare tutto insieme tranne il vino che si deve aggiunge poco alla volta.
Stendere a un millimetro di spessore e friggere in olio d'arachide a 165 gradi. spolverare di zucchero a velo o miele

 

Dolciarte | Avellino | via Trinità. 52 | tel. 0825 34719 | www.dolciarte.it

 

a cura di Antonella De Santis

 

Non è Carnevale senza un fritto. Lo abbiamo detto e ridetto. E ora che siamo arrivati all'ultimo giorno di queste lunghe feste vi proponiamo le ricette dei classici di stagione. Ma, anche se si frigge un po' in tutta Italia in questa e molti dolci sono in comune, non è detto che, da nord a sud, vengano realizzati tutti nello stesso modo. Per sincerarcene abbiamo chiesto a tre maestri pasticceri le loro ricette così da poterle confrontare. L'importante poi è seguire le regole per un fritto perfetto, che ci aveva suggerito Iginio Massari.

 

 

Pasticceria Biasetto di Padova

Luigi Biasetto. Tre Torte per la guida Pasticceri e pasticcerie d'Italia 2017

Famoso, famosissimo, anche perché i suoi magnifici prodotti sono in vendita anche in insegne diverse dalla sua. Ma è a Padova che si può conoscere da vicino in ogni sua creazione, dolce o salata, da colazione o dopo cena. Espressione di quell'arte dolce che fa dell'equilibrio tra sapori, forme e struttura l'elemento imprescindibile di ogni boccone. Luigi Biasetto è uno dei nomi che fanno grande la pasticceria italiana nel mondo, impegnato com'è nella didattica, in concorsi internazionali, nelle consulenze. Un grande maestro a tutto tondo che non manca di un richiamo all'aspetto più intimo e familiare del preparare e gustare i dolci, come nel casso delle frappe.

 

Frittelle (o castagnole)

270 g. di latte
100 g. di burro
20 g. di zucchero
1 pizzico di sale

190 g di farina 00

7/8 bianchi d’uovo (200 g) oppure 5 uova intere (250 g)
Buccia grattugiata di 1 arancia
100 g di uvetta
50 g di pinoli
3 g di lievito chimico

olio di oliva per friggere

 

Mettere nella pentola latte, burro, zucchero, il sale e portare a bollore il tutto, aggiungere la farina.

Spegnere il fuoco e mescolare per alcuni minuti la pastella preparata poi trasferire in una boule. Lasciarla raffreddare ancora per alcuni minuti e intanto preparare un composto con le uova, la buccia d'arancia grattugiata

Unire le uova alla pastella finché risulti un impasto ben liscio, aggiungere infine uvetta e pinoli ben mescolati con il lievito.

Mettere la pasta per frittelle nella sac à poche munita della bocchetta grossa, preriscaldare l’olio nella pentola e riscaldarlo finché raggiunga 175°C. Monitorare con una sonda la temperatura dell’olio, che non potrà mai superare i 185°C. Sotto i 170°C le frittelle si riempiranno d’olio.

Su un foglio di carta da forno formare delle palline di circa 20 g, quindi spostare il foglio di carta con sopra le palline nella pentola, facendo attenzione che non si attacchino fra di loro durante lo spostamento.

Dopo alcuni secondi si può sfilare la carta da forno tranquillamente, quindi lasciare per un minuto le frittelle senza toccarle. Per ultimare la cottura, con un movimento da sinistra verso destra e ritorno, far rotolare le frittelle su se stesse con una schiumarola.

A cottura ultimata (prima che diventino scure) scolarle e farle cadere nella carta assorbente.

Spolverare con un po’ di zucchero a velo e servire.

 

Queste frittelle si manterranno belle morbide per il giorno dopo, se tenute in una scatola chiusa. Potete a piacere sostituire la frutta secca con cubetti d’arancio canditi, cedro, noci, fichi, datteri…
Potete utilizzare il tuorlo d’uovo per fare una crema pasticcera per farcire o sostituire il bianco d’uovo con uovo intero

biasetto

Frappe

Da piccolo mi divertiva fare dolci con mia nonna Cesira, è stata lei a insegnarmi come preparare frappe così leggere e friabile. Uno dei segreti è tirare la pasta talmente sottile da appoggiarla sopra un giornale e poter leggere le parole”.Così Luigi Biasetto presenta le sue frappe di cui ci dà la ricetta.

 

280 g di farina

56 g di latte

3 g di lievito chimico

1 uovo

2 cucchiai rasi di zucchero

1 pizzico a tre dita di sale

30 g di vermouth

30 g di burro a pomata

La buccia di ½ arancia

½ baccello di vaniglia

Olio di arachidi per frittura

Zucchero a velo semolato (quanto basta)

 

Versare la farina, lo zucchero, il sale, il lievito e il burro nella boule di vetro, grattugiare l’arancia, aggiungere la vaniglia grattata. Nel centro del contenitore aggiungere le uova, il latte e il vermouth, quindi lavorare fino a ottenere un impasto ben liscio.

Stendere la sfoglia con l’aiuto della tirapasta, passandolo per 5/6 volte a uno spessore sempre più sottile, dare la giusta elasticità all’impasto ripiegandolo su se stesso tutte le volte (come si usa fare per i tagliolini o altra pasta all'uovo). Per stenderle utilizzare meno farina possibile, potrebbe sporcare l’olio. Lasciare riposare un’oretta l’impasto prima di cuocere farà bolle più grosse

Dividere il panetto in più parti e stendere il più sottile possibile, utilizzando un po’ di farina se necessario.

Appoggiare la pasta tirata su un panno leggermente spolverato di farina. Lasciare riposare un’oretta l’impasto prima di cuocere farà bolle più grosse) e quindi tagliare con una rotellina, liscia o rigata, in rettangolini di 15 cm x 4. Mettere a riscaldare l’olio in un contenitore sufficientemente grande per contenere le chiacchiere; mantenere l'olio a 180°C, controllando la temperatura con una sonda o un termometro da cucina.

Appoggiare delicatamente nell’olio le chiacchiere, quattro alla volta facendo attenzione a tenerle ben distese, e non appena si saranno gonfiate girarle su se stesse e ultimare la cottura.

Quando saranno ben dorate la cottura sarà ultimata, toglierle dall’olio e metterle in piedi di profilo sulla carta assorbente.

Appena raffreddate spolverare di zucchero a velo e servire.

Può essere gradevole grattugiare un po’ di limone o arancio prima di spolverare con lo zucchero a velo. In alcune regioni è abitudine mettere anche un po’ di alchermes (in Francia le chiamano bugne di Lione, anche questa è una nostra specialità esportata)

 

Pasticceria Biasetto | Padova | via Facciolati 12 | tel. 049 8024428 | http://pasticceriabiasetto.it/

 

Casa Manfredi di Roma

Giorgia Proia e Simone Porcelli. Due Torte per la guida Pasticceri e pasticcerie d'Italia 2017

Pasticceria di impronta francese, gelato artigianale, praline, mignon e lieviti anche in vasocottura: il panorama della pasticceria c'è tutto, e tutto a partire da ottime materie prime, come per esempio il Latte Nobile per il gelato e il burro francese Corman per i lieviti. Non manca anche pasticceria salata e d'occasione, come quella per il carnevale. Con frappe e castagnole dalla forte personalità.

casa manfredi

Castagnole

1000 g. di farina frolla molino Pasini

500 g. di ricotta di pecora

400 g. di uova

200 g. di zucchero

15 g. di baking

50 g. di rum  

Vaniglia un baccello

Scorza 1 limone

Olio di arachidi per friggere

 

Impastare la ricotta con lo zucchero e gli aromi. Inserire la farina e il baking. Aggiungere le uova e in ultimo aggiungere il rum.

Far riposare 2 ore al frigo. 

Formare delle palline da 3 cm di diametro. 

Friggere a 170° C in olio di arachidi

 

Frappe

1000 g. di farina torta molino Pasini 

150 g. di saccarosio

100 g. di burro

300 g. di uova

10 g. di sale 

100 g. di sambuca

100 g. di vino bianco

Olio di arachidi per friggere

 

Impastare tutto con il gancio tranne i liquidi alcolici. Inserire poi poco alla volta i liquidi alcolici fino ad ottenere un impasto liscio.

Far riposare 2 ore in frigo

Stendere a 0,5 mm. Friggere con olio di arachidi a 170°C.

 

Casa Manfredi | Roma | Aventino, 91 | tel. 06 97605892 | https://www.facebook.com/casamanfrediaventino/

 

 

Gruè di Roma

Marta Boccanera e Felice Venanzi. Premio Pasticceri Emergenti per la guida Pasticceri e pasticcerie d'Italia 2017 

Una storia recente nutrita a suon di studi con grandi maestri (tra cui anche Luigi Biasetto), ricerca attenta della materia prima, richiami alla pasticceria d'Oltralpe. Sono giovani Marta Boccanera e Felice Venanzi - nel panorama romano e in quello italiano - ma non abbastanza da non accendere un riflettore sulla propria attività. Che alterna lievitati da colazione e biscotteria secca, torte e monoporzioni di impianto moderno e praline, piccole opere perfette nella testura come nell'armonia dei sapori, con glasse a specchio ineccepibili che racchiudono costruzioni molto elaborate. Non manca anche una parte dedicata al salato che si attesta su una buon livello, con proposte più tradizionali.

 

Castagnole gruè

Castagnole

2000 g. di latte

20000 g. di acqua

800 g. di burro

200 g. di zucchero

60 g. di sale

4000 g. di uova

3000 g. di farina forte

 

Far bollire acqua, latte, burro, zucchero e sale; arrivato a bollore aggiungere la farina precedentemente setacciata e cuocere fino a che non si stacca dai bordi della pentola.

Mettere in planetaria far raffreddare fino a 60° c e aggiungere le uova a filo.

Dressare, ovvero disporre su una teglia con sac à poche in palline da 15g

Friggere a 175° c in olio di arachide

 

Frappe

4000 g. di farina forte

25 g. di sale

600 g. di zucchero

4 bacche di vaniglia

400 g. di burro

1300 g. di uova

200 g. di vernouth

170 rum agricolo

 

Impastare tutti gli ingredienti insieme mettendo il burro a pomata. Lasciar riposare una notte in frigo stendere dei fogli sottilissimi e tagliare in rettangoli di 16 cm x 6. Friggere a 175° c in olio di arachide. Fare attezione alla temperatura dell'olio e a ritirarle prima che scuriscano.

 

Gruè | Roma | viale Regina Margherita, 95 | tel. 06 8412220 | www.gruepasticceria.it/

 

 

Dolciarte di Avellino

Carmen Vecchione. Due Torte per la guida Pasticceri e pasticcerie d'Italia 2017

Un ambiente grazioso e accogliente e un laboratorio che sforna a tutte le ore una grande pasticceria d'autore, che punta sulle materie prime di altissima qualità, sulla messa a punto di ricette perfette, sulla tecnica e la capacità di confrontarsi anche con dolci che esulano dalla tradizione irpina. Ormai famoso è il suo panettone, proposto tutto l'anno. Ma anche durante il periodo di Carnevale, l'offerta non manca di soddisfare i palati più esigenti, ricchissima com'è di specialità campane, come il migliaccio, il pastiere di riso e altre prelibatezze. Immancabili le frappe, sia con zucchero che con miele.

 

castagnole

Castagnole

1 kg di farina
300 g. di panna
150 g. di zucchero
180 g. di uova
15 g. di baking
50 g. di pasta limone
1 vaniglia in bacca

Impastare il tutto e con un sac à poche dressare come si fa per i bignè su carta forno che va poi tagliata con un taglierino. Friggere in olio a 160 gradi. Inzuccherate da calde.

 

 

Chiacchiere (o frappe)

1,5 kg. di farina
400 g. di uova
150 g. di burro morbido
150 g. di zucchero
15 g. di sale
300 g. di vino bianco secco
Scorza di limone
1 vaniglia in bacca

Olio di arachide per friggere

Impastare tutto insieme tranne il vino che si deve aggiunge poco alla volta.
Stendere a un millimetro di spessore e friggere in olio d'arachide a 165 gradi. spolverare di zucchero a velo o miele

 

Dolciarte | Avellino | via Trinità. 52 | tel. 0825 34719 | www.dolciarte.it

 

a cura di Antonella De Santis

 

Come ha sempre dichiarato apertamente, la sua filosofia è quella di coinvolgere tutti i sensi per raggiungere il piacere più sublime che la pasticceria possa immaginare. Una perfezione che si raggiunge solo mettendo insieme grande tecnica e grande materia prima, con una attenzione all'estetica che, sempre più, è parte integrante dell'esperienza gastronomica, e in modo ancora più decisivo quando si tratta di pasticceria. A questo bisogna aggiungere la capacità di rinnovarsi, non dimenticare il passato, e avere una propria identità. Nel caso dei dolci d'occasione, però, la tradizione vince. Parliamo delle feste comandate, di quelle in cui, attraverso un boccone, si rivive la propria storia, la memoria dell'infanzia. E quando questo avviene attraverso il percorso gastronomico personale di un grande maestro, come Gino Fabbri, il gioco diventa ancora più imperdibile. Bisogna andare a cercare, infatti, tra la tradizione di famiglia per trovare l'origine delle sue sfrappole. Che non sono altro che la versione bolognese dei dolci più famosi di Carnevale, altrove chiamate frappe, cenci, chiacchiere, lattughe o bugie. Queste però, hanno qualcosa in più, un aroma particolare dato dal brandy e dall'aceto di vino. E una struttura friabile, croccante, leggerissima. “È importante che la pasta sia stesa sottilissima, quindi bisogna tirarle in più possibile” ammoniscono dalla pasticceria “e che il fritto sia perfetto”. Consigliano di non usare l'olio di oliva (meglio uno di semi – possibilmente arachidi o girasole) perché troppo vigoroso negli aromi, ma soprattutto di usare sempre un olio fresco, non sfruttato e facendo molta attenzione alla temperatura. Insomma: per fare delle sfrappole meravigliose bisogna partire dall'olio.

A Bologna la tradizione del Carnevale è abbastanza sentita, le persone indulgono ancora con più facilità a un dolce. E, soprattutto, a un dolce fritto. Oltre alle sfrappole, ci sono i classici bigné o le frittelline, “e c'è una gran richiesta” confermano dalla pasticceria di Fabbri. Soprattutto in un periodo che, se non ci fosse questa occasione specifica, probabilmente non sarebbe molto vivace per quanto riguarda i dolci, vicino com'è alle feste di fine anno. Invece no. Nonostante spesso le case siano ancora piene di qualche cioccolatino della calza della Befana, a un dolcetto di Carnevale non si riesce proprio a resistere.

Le sfrappole

430 g. di farina media

160 g. di uova pastorizzate

20 g. di olio di oliva

45 g. di zucchero semolato

2 g. di sale

15 g. di aceto di vino

10 g. di brandy

10 g. di liquore all'anice

scorza di mezza arancia grattugiata

Impastare tutti gli ingredienti nella spirale (solo il tempo necessario a incorporare tutta la farina).

Dare alcune pieghe a sfogliatrice per far prendere struttura e lasciar riposare una notte in frigorifero.

Tirare al minimo spessore possibile; tagliare, girare nel cestello e friggere in olio bollente alla massima temperatura. Spolverare con zucchero a velo.

Gino Fabbri | Bologna | via Cadriano, 27/2A | tel. 051 505074| www.ginofabbri.com/

a cura di Antonella De Santis

Per leggere Carnevale d'autore. Le frittelle di Iginio Massari clicca qui

Per leggere Carnevale d'autore. La Torta Coriandoli di Sal de Riso clicca qui

Per leggere Carnevale d'autore. I cassateddi ra cummari della Pasticceria Corsino clicca qui 

Come ha sempre dichiarato apertamente, la sua filosofia è quella di coinvolgere tutti i sensi per raggiungere il piacere più sublime che la pasticceria possa immaginare. Una perfezione che si raggiunge solo mettendo insieme grande tecnica e grande materia prima, con una attenzione all'estetica che, sempre più, è parte integrante dell'esperienza gastronomica, e in modo ancora più decisivo quando si tratta di pasticceria. A questo bisogna aggiungere la capacità di rinnovarsi, non dimenticare il passato, e avere una propria identità. Nel caso dei dolci d'occasione, però, la tradizione vince. Parliamo delle feste comandate, di quelle in cui, attraverso un boccone, si rivive la propria storia, la memoria dell'infanzia. E quando questo avviene attraverso il percorso gastronomico personale di un grande maestro, come Gino Fabbri, il gioco diventa ancora più imperdibile. Bisogna andare a cercare, infatti, tra la tradizione di famiglia per trovare l'origine delle sue sfrappole. Che non sono altro che la versione bolognese dei dolci più famosi di Carnevale, altrove chiamate frappe, cenci, chiacchiere, lattughe o bugie. Queste però, hanno qualcosa in più, un aroma particolare dato dal brandy e dall'aceto di vino. E una struttura friabile, croccante, leggerissima. “È importante che la pasta sia stesa sottilissima, quindi bisogna tirarle in più possibile” ammoniscono dalla pasticceria “e che il fritto sia perfetto”. Consigliano di non usare l'olio di oliva (meglio uno di semi – possibilmente arachidi o girasole) perché troppo vigoroso negli aromi, ma soprattutto di usare sempre un olio fresco, non sfruttato e facendo molta attenzione alla temperatura. Insomma: per fare delle sfrappole meravigliose bisogna partire dall'olio.

A Bologna la tradizione del Carnevale è abbastanza sentita, le persone indulgono ancora con più facilità a un dolce. E, soprattutto, a un dolce fritto. Oltre alle sfrappole, ci sono i classici bigné o le frittelline, “e c'è una gran richiesta” confermano dalla pasticceria di Fabbri. Soprattutto in un periodo che, se non ci fosse questa occasione specifica, probabilmente non sarebbe molto vivace per quanto riguarda i dolci, vicino com'è alle feste di fine anno. Invece no. Nonostante spesso le case siano ancora piene di qualche cioccolatino della calza della Befana, a un dolcetto di Carnevale non si riesce proprio a resistere.

Le sfrappole

430 g. di farina media

160 g. di uova pastorizzate

20 g. di olio di oliva

45 g. di zucchero semolato

2 g. di sale

15 g. di aceto di vino

10 g. di brandy

10 g. di liquore all'anice

scorza di mezza arancia grattugiata

Impastare tutti gli ingredienti nella spirale (solo il tempo necessario a incorporare tutta la farina).

Dare alcune pieghe a sfogliatrice per far prendere struttura e lasciar riposare una notte in frigorifero.

Tirare al minimo spessore possibile; tagliare, girare nel cestello e friggere in olio bollente alla massima temperatura. Spolverare con zucchero a velo.

Gino Fabbri | Bologna | via Cadriano, 27/2A | tel. 051 505074| www.ginofabbri.com/

a cura di Antonella De Santis

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