Le sottozone del vino italiano: un'occasione da non sprecare

4 Lug 2024, 15:51 | a cura di
Con le Unità geografiche aggiuntive si aprono nuovi scenari per le produzioni di qualità. Ma attenzione: occorre conoscere realmente territori, composizione dei suoli e tipologia dei vigneti per evitare che siano solo degli inutili segni di matita sulle cartine

Il terroir viticolo è un concetto recente che assolve a necessità pratiche ed ideologiche. Sul versante ideologico, deve riuscire a persuadere il consumatore dell’originalità di alcuni suoi vini, prodotti in ambiti delimitati. Su quello pratico, invece, ha la finalità operativa di favorire una migliore espressione qualitativa del vitigno in determinate condizioni pedo-climatiche. La nozione di cru, prima di rappresentare una vigna o una sottozona, identificabili da un toponimo, che richiama nel consumatore un vino dalle caratteristiche particolari e da una disponibilità mercantile limitata, è la constatazione dell’esistenza di un rapporto originale tra le peculiarità pedoclimatiche, le capacità interpretative del viticoltore e la tradizione enologica locale.

Le Uga come opportunità

L’art.29 del Testo unico del vino prevede la procedura da seguire per l’istituzione e l’uso delle Uga-Unità geografiche aggiuntive. I contenuti di questa norma non indicano, però, la modalità con la quale si individuano queste sottozone, con il rischio che vengano delimitate semplicemente con dei segni di matita sulle cartine. Nulla di più sbagliato. Se vogliamo dare dei contenuti e dei valori a queste denominazioni, dobbiamo partire da una conoscenza reale dei territori, dalla composizione dei suoli fino ad arrivare alle caratteristiche tipologiche dei vigneti.

Contraddizione apparente per le grandi Doc

Può sembrare contradditoria la strategia delle macro denominazioni nei confronti di quella delle Uga. Da parte di alcune Do si auspica la creazione di macro denominazioni, alla ricerca un rafforzamento dell’identità territoriale, ampliando alcune aree per evitare che il consumatore possa fare confusione con tante suddivisioni tipologiche. In questo modo, alcune piccole denominazioni si aggregano in una sola Do più grande, offrendo al mercato una maggiore massa critica di bottiglie, necessaria per potenziare le attività di un consorzio e le iniziative di comunicazione soprattutto all’estero. Questa è la proposta delle cosiddette Do regionali, che intendono utilizzare un marchio unico per rafforzare il brand di regioni dal grande impatto culturale. In questa direzione, già si sono mosse con successo alcune denominazioni quali Barolo, Barbaresco, Soave, Prosecco Conegliano e Valdobbiadene, Nobile di Montepulciano, la parte meridionale del Chianti classico e l’Alto Adige, che hanno individuato all’interno del loro territorio, grazie a zonazione e notorietà mercantile, le Unità geografiche aggiuntive.

L'idea di una zonazione nazionale

Le Uga sono anche un'occasione per modificare disciplinari resi poco aderenti alla realtà, rispetto ai disciplinari originari, a causa dei cambiamenti climatici che alterano le condizioni pedoclimatiche, che sono alla base dei caratteri di unicità e identità alle Denominazioni di origine. Il problema, infatti, non è solo l'aumento del grado alcolico medio, ma per gli effetti sulla fisiologia della vite e sul metabolismo della bacca (variazioni nel chimismo dei precursori d’aroma e della materia colorante). Anche la delocalizzazione fa parte di questa strategia che, però, rende necessario un programma nazionale di zonazione viticola, realizzabile con gli strumenti moderni del digitale.

Contributo a cura di:

  • Attilio Scienza

    ordinario di Viticoltura Università degli Studi di Milano

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