Lavare e asciugare le quaglie e con un coltellino affilato ricavare da ognuna due mezzi petti tenendo da parte cosce e carcasse. Ungere i petti d’olio,
peparli, coprirli con pellicola e tenerli al fresco. Preparare mezzo litro di brodo con la cipolla, le foglie di alloro e i grani di pepe.
Tostare in padella carcasse e cosce di quaglia ridotte a pezzi piccoli e unire tutto al brodo in ebollizione, cuocere per una decina di minuti, filtrare, salare e tenere da parte. Preparare un’infusione di liquirizia: tagliare i bastoncini di radice in senso longitudinale, immergerli in mezzo litro d’acqua e portare ad ebollizione. Spegnere la fiamma e lasciar raffreddare completamente. Ridurre la liquirizia pura in polvere finissima utilizzando un mixer alla massima velocità.
Tostare il riso con metà del burro, sfumare con il liquore all’anice e lasciar evaporare. Portare a cottura il risotto con l’infuso di liquirizia filtrato, salato
e portato nuovamente a temperatura bollente. Mantecare il riso con il burro restante e il parmigiano, coprire con un panno asciutto e lasciar riposare
almeno 3 minuti.
Nel frattempo rosolare in padella i petti di quaglia, unire il brodo caldo di carcasse e lasciar cuocere per 5-6 minuti. Togliere i petti dal fuoco, coprirli con carta d’alluminio e lasciar riposare per qualche minuto prima di tagliarli a fettine e salarli. Comporre i piatti con una cucchiaiata di risotto su cui verrà distribuita una punta di liquirizia in polvere e un mezzo petto di quaglia a ventaglio.
Per un gusto più intenso di liquirizia è consigliabile mescolare la polvere al risotto in fase di mantecatura. È possibile anche preparare una “spuma” istantanea di liquirizia, frullando alla massima velocità la polvere con qualche cucchiaio di brodo.
Sapore prediletto da sempre è quello vigoroso e amaro della liquirizia, per me un’irrinunciabile abitudine quotidiana oltre che un utile tonico
contro la pressione bassa. Il liquore all’anice serve ad accentuarne il gusto e nello stesso tempo a donare alla preparazione una sfumatura d’altri tempi
che sa di credenza della nonna e mi piace molto. Di solito uso l’ottimo anice De Giorgi, pugliese ma difficilmente reperibile, oppure il classico secco Varnelli o la più delicata anisetta Meletti (di una antica pasticceria di Ascoli Piceno), ma va bene anche il Pernod.