Eliminare dalla massa gelatinosa eventuali alghe o impurità. Versarla in una coppa di cristallo e servire. La schiuma di mare non va lavata in quanto si suppone che sia pescata in acque fresche e pulite. Si trova in commercio nei mesi freddi e per comprenderne appieno il sapore va mangiata cruda e
senza condimenti. Tuttavia si può accettare il compromesso di un’emulsione d’olio, sale, pepe e pochissimo limone che “cuoceranno” quel tanto che
basta la schiuma.
Neonata, novellame, minutame, minoscia, nunnata, muccu, mazzulara, russuliddu, rosamarina, bianchetti, gianchetti. Sono i tanti nomi dialettali che assumono i pesciolini appena nati, dall’aspetto ancora informe e dalla consistenza gelatinosa. Devo dire che il nome più appropriato e affascinante per questo cibo delizioso e sempre più raro è, però, quello in dialetto brindisino:“scuma di mari”, la schiuma del mare, come dirne l’essenza, l’anima, l’ineffabile sostanza.
Per me, che da piccola ne ho fatte enormi scorpacciate, ma che adesso lo riesco ad assaggiare solo in occasioni veramente speciali, questo alimento ha assunto il valore del mito, tanto che l’ho elevato a cibo ideale e lo chiamo con nomi echeggianti ancorché errati come brodo primordiale, plancton, nutrimento dell’alba della vita.
Tutta questa enfasi per dire che la schiuma di mare mi piace veramente assai e che, avendone a disposizione in qualità e in quantità, mai ne farei polpette, frittelle, bignè, tortiere e tortini (tutte ricette peraltro buonissime della tradizione regionale italiana), né tanto meno la potrei sacrificare in un finger. L’unica è servirla in un’adeguata coppa di
cristallo e gustarla a cucchiaiate... chiudendo gli occhi e pensando intensamente al mare in tempesta.